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‘Ndrangheta, appalti condizionati dalle cosche: 50 misure cautelari nel Reggino

L'operazione “Cumps-Banco Nuovo” ha acceso un faro sulle nuove leve della cosca Morabito-Palamara di Africo, che avevano anche fatto irruzione durante una riunione di giunta del Comune di Brancaleone. L'obiettivo era accaparrarsi lavori pubblici

I rampolli degli “africoti” avevano fatto addirittura irruzione durante una riunione di giunta del Comune di Brancaleone (Reggio Calabria) per imporre al sindaco, al vicesindaco e agli altri assessori le ditte che, nel piccolo paesino della Jonica, dovevano accaparrarsi tutti gli appalti. A partire dai lavori per la realizzazione della rete idrica e della rete fognaria che, se non venivano assegnati alle imprese “amiche”, non si sarebbero eseguiti in quanto tutte le altre ditte avrebbero rifiutato.

È scattata stamattina all’alba l’operazione “Cumps-Banco Nuovo” che ha acceso un faro sulle nuove leve della cosca Morabito-Palamara di Africo. La squadra mobile della polizia di stato e i carabinieri hanno eseguito 50 ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip di Reggio Calabria su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Sono 32 le persone finite in carcere, 7 ai domiciliari mentre per altri 11 indagati è stato disposto l’obbligo di dimora nel comune di residenza.

In manette sono finiti i rampolli della cosca Morabito tra cui alcuni nipoti dell’anziano boss di Africo Giuseppe Morabito, conosciuto con il soprannome di “Tiradritto”. Ma anche i fratelli Alati che, stando alle indagini coordinate dal procuratore Federico Cafiero De Raho e dall’aggiunto Giuseppe Lombardo, cercavano di ritagliarsi uno spazio nelle dinamiche criminali della zona jonica reggina. Spazio che, nonostante qualche iniziale frizione, è diventato “competenza” degli africoti la cui influenza non è solo nel territorio di Africo ma anche nei centri di Brancaleone e Bruzzano Zeffirio.

I rampolli come i boss più blasonati. La storia è sempre la stessa così come i cognomi della famiglie mafiose della Locride e del basso Jonio reggino. Gli indagati sono accusati di associazione mafiosa, estorsione, illecita concorrenza con violenza e minaccia, turbata libertà degli incanti, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, violenza e minaccia a pubblico ufficiale, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi clandestine e munizionamento, ricettazione, commessi con l’aggravante del metodo mafioso.

L’inchiesta “Cumps-Banco Nuovo” della Dda di Reggio Calabria ha cristallizzato i nuovi assetti organizzativi della ‘ndrangheta all’indomani della “pace” raggiunta dalle cosche dopo la sanguinosa faida di Africo-Motticella che ha visto affermati i gruppi Palamara-Scriva e Mollica-Morabito. I nuovi assetti hanno visto emergere il cosiddetto “Banco Nuovo”, la locale di ‘ndrangheta caratterizzata dalla spiccata tendenza degli affiliati a controllare i lavori e le opere pubbliche del comune di Brancaleone.

Giovani leve, definite “CUMPS”, disposte a tutto per diventare i dominatori incontrastati del territorio. Anche ad azioni eclatanti, con armi ad elevato potenziale offensivo, se queste sarebbero servite ad affermare il loro predominio. Per il procuratore Cafiero De Raho “c’era un controllo capillare degli appalti pubblici. A Brancaleone i lavori dovevano essere eseguiti necessariamente dalle imprese della ‘ndrangheta che, imponeva agli altri di rinunciare. Quel che è peggio è che la tracotanza della ‘ndrangheta arriva al punto da poter fare irruzione nel pieno di una riunione di giunta”.

Amministratori locali che, stando alle indagini, non hanno avuto nessuna reazione immediata alle richieste dei rampolli delle cosche. “Questo dimostra – conclude De Raho – che ci troviamo di fronte a una situazione in cui la libertà non è più un diritto per nessuno”.

Nel corso della conferenza stampa, organizzata stamattina in Procura, i pm e gli investigatori hanno spiegato i dettagli dell’inchiesta coordinata dai sostituti procuratori Antonio De Bernardo (da poco trasferitosi alla Procura di Catanzaro), Simona Ferraiuolo e Francesco Tedesco.

Dalle carte dell’indagine, spunta fuori uno spaccato di giovani “africoti” particolarmente attivi coi i social network. Attivi e arroganti. “Qui comandiamo noi”. Nel fascicolo dell’inchiesta sono finiti messaggi e fotografie pubblicati su Facebook dagli indagati che, in un’occasione, avrebbero caricato anche qualche frame di soggetti che tenevano in pugno armi. Soggetti che sono stati identificati, ma quelle foto hanno consentito agli inquirenti di ricostruire i rapporti tra i rampolli della cosca che su Facebook, come ha spiegato il capo della squadra mobile Francesco Rattà, tra loro si chiamavano “Cumps”, un termine utilizzato come abbreviato di “compare”.

Con l’operazione “Cumps – Banco Nuovo”, la Dda è riuscita a scoprire come i “boy boss” godevano di entrature all’interno dell’amministrazione comunale. Tra gli arrestati, infatti, c’è anche Domenico Vitale, responsabile dell’ufficio tecnico di Brancaleone. Era lui, secondo la ricostruzione degli inquirenti, a garantire i clan nelle richieste di permessi e autorizzazioni.

“Risulta ormai dimostrato che i rapporti ‘ndrangheta-pubblica amministrazione – è il commento del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo – sono costanti e imprescindibili proprio perché la criminalità organizzata evoluta cerca il contatto soprattutto con le amministrazioni locali e dello Stato per stabilizzare il proprio ruolo e la propria forza criminale.Negli ultimi anni abbiamo spesso inquadrato i rapporti tra pubblici amministratori e organizzazioni mafiose come di favoreggiamento o di concorso esterno. Le ultime acquisizioni, invece, fanno sempre più pensare che vi sia una strategia di più alto profilo che tende a includere il pubblico amministratore nel settore funzionale della struttura criminale organizzata. Ovviamente l’impostazione che daremo alle nostre indagini in futuro sarà quella di verificare la reale portata e l’effettiva esistenza di tali rapporti. Si rende necessario, infatti, impedire che la ‘ndrangheta o le strutture mafiose similari possano condizionare irrimediabilmente le attività di impresa e alterare normali meccanismi di mercato, che incidono pesantemente sul tessuto sociale di realtà economiche comunque fragili”

“Lo Stato, con le sue articolazioni – ha aggiunto il questore Raffaele Grassi – non ha mai concesso, né concederà spazi ai criminali e a quanti credono di distruggere risorse pubbliche per fini personali”. “Il primo nemico da abbattere è l’omertà – ha concluso il procuratore De Raho – Se solo gli imprenditori denunciassero, demoliremo la ‘ndrangheta”.