Fare i conti con il passato in Russia non è mai stato facile, e Vladimir Putin lo sa bene. Glielo hanno insegnato a scuola, da giovane, nel Kgb e persino in famiglia: meglio guardare al presente e al futuro, senza però dimenticare il passato. Ricordare sì ma facendo attenzione. Cento anni fa la presa del Palazzo d’inverno nella capitale di allora San Pietroburgo cambiò per sempre la storia della Russia, e del mondo. Nella notte tra il 6 e il 7 novembre del 1917 – 24 e 25 ottobre secondo il calendario giuliano – c’era però un altro Vladimir al comando: il Partito bolscevico iniziò l’azione armata contro il governo provvisorio e l’insurrezione portò i rivoluzionari alla formazione di un governo presieduto da Vladimir Il’ič Ul’janov, per tutti Lenin. Quella Rivoluzione d’ottobre che segnò il crollo dell’impero russo e la nascita della Repubblica sovietica.

Il no di Putin – A 100 anni da quel fatidico giorno, è difficile mettere d’accordo i russi sulla rivoluzione, tra l’indifferenza di alcuni e la nostalgia di altri. A mettere a tacere tutti è stato ancora una volta Vladimir Putin, da 18 anni il solo uomo al comando della “nuova” Russia: niente festeggiamenti ma spazio ad eventi culturali, mostre e dibattiti presieduti da professori universitari. Del resto anche il portavoce del Cremlino aveva chiarito che non ci sarebbe stato nulla da festeggiare, giustificando l’assenza di un programma ufficiale, seguito dalle dichiarazioni dello stesso Putin che, durante l’intervento al Valdai Club di Sochi, aveva definito i risultati della Rivoluzione di ottobre non univoci, ed oggi strettamente intrecciati a conseguenze sia negative che positive. Eppure, le tracce dell’ottobre 1917 sono indelebili.

La festa dei comunisti – “Prima degli anni Novanta, era grande festa nazionale, tutti i cittadini erano quasi obbligati a partecipare alle celebrazioni”, spiega Andrey, un signore di mezza età cresciuto ai tempi dell’Unione Sovietica. Durante il mandato di Boris Eltsin i carri armati non sfilavano più ma gli uffici rimanevano comunque chiusi e si festeggiava quella festa diversa solo per il nome, diventata il “Giorno della Riconciliazione Nazionale”. Infine nel 2005 fu sostituita con la festa dell’Unità Nazionale, spostata al 4 novembre in ricordo della vittoria dei russi sui polacchi del 1612. “Oggi per me non c’è niente da festeggiare, la rivoluzione fu una tragedia”, conclude Andrey.

Anche se a pensarla così non sono le migliaia di persone atterrate a Mosca in questi giorni: 120 delegazioni arrivate da tutto il mondo, dalla Cina al Venezuela, dalla Corea del Nord all’Italia passando per il Vietnam, tutti per ricordare la rivoluzione e gli eventi legati ad essa. Domenica mattina in tanti hanno fatto la fila per visitare il mausoleo di Lenin, vedere la salma del padre della rivoluzione d’ottobre e deporre garofani sulla tomba del milite ignoto e la sua fiamma eterna che onora la memoria di oltre 20 milioni di sovietici caduti nella guerra contro il nazi-fascismo.

La decisione di Putin non ha comunque fermato i festeggiamenti del Partito Comunista guidato da Gennadij Andreevič Zjuganov: dal 1 all’8 novembre riunioni, serate di gala sia a San Pietroburgo che a Mosca. Nel pomeriggio di oggi la consueta parata attraverserà la centrale via Tverskaya per concludersi davanti alla statua di Marx dietro la Piazza Rossa. E questa sera saranno tutti all’hotel Renaissance di Mosca per una cena speciale o forse solo piena di nostalgia.

Paura della rivoluzione – Tutti tranne Vladimir Putin. Per paura, per bisogno di stabilità in vista delle elezioni presidenziali del prossimo marzo, o forse per cancellare quella parola tanto odiata. Dal latino revolutio, revolutionis, la rivoluzione da sempre significa mutamento radicale di un ordine statuale e sociale, nei suoi aspetti economici e politici. E secondo Putin “la rivoluzione è sempre risultato di un deficit di responsabilità”.

Secondo un sondaggio del Vciom, il Centro di Ricerca di opinione pubblica russa, pubblicato all’inizio del mese di ottobre, su 1.800 persone intervistate, il 57% ha definito la ‘rivoluzione’ come un evento storico inevitabile. Se il 38% dei partecipanti al sondaggio ritiene che gli effetti della rivoluzione siano stati positivi nel suo complesso, per il 92% sarebbe inaccettabile una nuova rivoluzione in Russia, così come i “rivoluzionari” pronti a prenderne parte, solo il 27%.

La stessa ricerca ha rivelato come negli ultimi anni la simpatia nei confronti di Lenin, Stalin e Nicola II siano in aumento, passando da un 37% nel 2005 ad un 52% nel 2017 per il rivoluzionario georgiano, e dal 42% al 60% per l’ultimo imperatore di Russia. Quanto a Putin, se per una volta è stato escluso dal sondaggio del centro, altre ricerche, prime quelle del Levada Center, lo danno ancora in netto vantaggio su altri ipotetici candidati, se mai ce ne dovessero essere.

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