La Sicilia ha una elevata autonomia. Con lo stesso modello, forse la Catalogna non avrebbe invocato l’indipendenza. Il voto regionale siciliano, che elegge una sorta di “presidente” dell’isola, offre quindi un dato significativo sul mal di pancia della democrazia in Italia e in Europa, compresa la mancanza di sorprese. Non stupisce la vittoria di Nello Musumeci, prevista da molti sondaggi in linea con la traiettoria nordista di Zaia, Maroni e Toti, tutti personaggi con un proprio carisma. Né il successo del M5S, che surclassa tutti gli altri partiti come movimento politico organico e coerente. E, purtroppo, non stupisce neppure la conferma di una tendenza ormai storica, la perdita di rappresentatività della democrazia. Una conferma dal sapore amaro.
La favola che l’isola sia da sempre allergica alle urne è una frottola (Fig.1). Fin dall’avvento del suffragio universale, dopo la seconda guerra mondiale, l’isola ha partecipato in modo convinto. Nel 1947 andò alle urne l’80% dei siciliani, eleggendo Giuseppe Alessi; nel 1951 l’82%; e nel 1955 l’87%. Fino al 1976 l’affluenza superava l’80%. Poi una progressiva caduta, a partire dagli anni 90 del secolo scorso, per arrivare al crollo delle ultime due tornate: il 47,4% nel 2012 e il 46,8% di domenica 5 novembre 2017. I gloriosi trent’anni (Jean Fourastié, Les Trente Glorieuses ou la révolution invisible de 1946 à 1975, Fauyard: Paris, 1979) quando ha trionfato la società del benessere e la diseguaglianza sembrava destinata ad assottigliarsi ovunque, non erano passati invano neppure nell’isola. E neppure gli ultimi anni, purtroppo; quelli delle passioni tristi e dei loro rappresentanti.
Figura 1
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Se si analizza la partecipazione elettorale in Europa, il calo è consolidato quasi ovunque, come dimostrano tutte le presidenziali dei nostri vicini di casa. L’Austria passa dal 97% del 1951 al 72% del 2016, ma nel 2010 era crollata a meno del 54%. La Francia dall’84% del 1965 al 74% del 2017, poi crollato al 48,7% nel ballottaggio: la più bassa affluenza dei tempi moderni. La Croazia dal 75% del 1992 al 59% del 2015. La Slovenia dall’86% del 1992 al 42% del 2012. In Svizzera, dove votò il 73% dei cittadini nelle elezioni parlamentari del 1947, solo il 48% lo ha fatto nel 2015, meno della metà degli aventi diritto. È fuorviante dire che negli Stati Uniti, una culla della democrazia rappresentativa, il turnout (cioè l’affluenza) è da sempre modesto (Fig.2), almeno del Novecento in poi. Dal dopoguerra si è comunque mantenuto costante, tra il 50 e il 60%; e nell’ultima tornata, quando ha vinto Trump, ha partecipato quasi il 56%, meglio della precedente: male che vada un presidente Usa viene votato da almeno un americano su quattro; se va meglio, da uno su tre. Un consenso ben superiore a quello del presidente francese Emmanuel Macron.
Figura 2
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Il profondo scontento europeo, che la statistica mette a nudo senza scampo, suggerirebbe una riflessione sul nostro modello di democrazia. La democrazia partecipativa, quella che utilizza Internet, cerca di dare una risposta; ma forse è una risposta ancora insufficiente. Così la democrazia diretta dei referendum è confinata a pochi ambiti, difficilmente estendibili. Quasi tutti sorridono quando parlo di introdurre correttivi basati sul sorteggio di chi ci deve rappresentare, come nell’Atene di Pericle e nella Venezia dei Dogi, in sintonia con il pensiero di Aristotele, Montesquieu e Jefferson. Eppure hanno dimostrato come una quota di parlamentari scelti con il sorteggio aumenti l’efficienza e la produttività dell’istituzione legislativa. Più casualità e meno antipolitica non è una ricetta irragionevole, ma fondata su rigorose analisi statistiche e suscita l’interesse di chi ha a cuore la democrazia e ne teme la deriva olicraturale.
Renzo Rosso
Idraulico insigne
Società - 7 Novembre 2017
Se alle elezioni trionfa l’astensione, troviamo un’alternativa alla democrazia rappresentativa
La Sicilia ha una elevata autonomia. Con lo stesso modello, forse la Catalogna non avrebbe invocato l’indipendenza. Il voto regionale siciliano, che elegge una sorta di “presidente” dell’isola, offre quindi un dato significativo sul mal di pancia della democrazia in Italia e in Europa, compresa la mancanza di sorprese. Non stupisce la vittoria di Nello Musumeci, prevista da molti sondaggi in linea con la traiettoria nordista di Zaia, Maroni e Toti, tutti personaggi con un proprio carisma. Né il successo del M5S, che surclassa tutti gli altri partiti come movimento politico organico e coerente. E, purtroppo, non stupisce neppure la conferma di una tendenza ormai storica, la perdita di rappresentatività della democrazia. Una conferma dal sapore amaro.
La favola che l’isola sia da sempre allergica alle urne è una frottola (Fig.1). Fin dall’avvento del suffragio universale, dopo la seconda guerra mondiale, l’isola ha partecipato in modo convinto. Nel 1947 andò alle urne l’80% dei siciliani, eleggendo Giuseppe Alessi; nel 1951 l’82%; e nel 1955 l’87%. Fino al 1976 l’affluenza superava l’80%. Poi una progressiva caduta, a partire dagli anni 90 del secolo scorso, per arrivare al crollo delle ultime due tornate: il 47,4% nel 2012 e il 46,8% di domenica 5 novembre 2017. I gloriosi trent’anni (Jean Fourastié, Les Trente Glorieuses ou la révolution invisible de 1946 à 1975, Fauyard: Paris, 1979) quando ha trionfato la società del benessere e la diseguaglianza sembrava destinata ad assottigliarsi ovunque, non erano passati invano neppure nell’isola. E neppure gli ultimi anni, purtroppo; quelli delle passioni tristi e dei loro rappresentanti.
Figura 1
Se si analizza la partecipazione elettorale in Europa, il calo è consolidato quasi ovunque, come dimostrano tutte le presidenziali dei nostri vicini di casa. L’Austria passa dal 97% del 1951 al 72% del 2016, ma nel 2010 era crollata a meno del 54%. La Francia dall’84% del 1965 al 74% del 2017, poi crollato al 48,7% nel ballottaggio: la più bassa affluenza dei tempi moderni. La Croazia dal 75% del 1992 al 59% del 2015. La Slovenia dall’86% del 1992 al 42% del 2012. In Svizzera, dove votò il 73% dei cittadini nelle elezioni parlamentari del 1947, solo il 48% lo ha fatto nel 2015, meno della metà degli aventi diritto. È fuorviante dire che negli Stati Uniti, una culla della democrazia rappresentativa, il turnout (cioè l’affluenza) è da sempre modesto (Fig.2), almeno del Novecento in poi. Dal dopoguerra si è comunque mantenuto costante, tra il 50 e il 60%; e nell’ultima tornata, quando ha vinto Trump, ha partecipato quasi il 56%, meglio della precedente: male che vada un presidente Usa viene votato da almeno un americano su quattro; se va meglio, da uno su tre. Un consenso ben superiore a quello del presidente francese Emmanuel Macron.
Figura 2
Il profondo scontento europeo, che la statistica mette a nudo senza scampo, suggerirebbe una riflessione sul nostro modello di democrazia. La democrazia partecipativa, quella che utilizza Internet, cerca di dare una risposta; ma forse è una risposta ancora insufficiente. Così la democrazia diretta dei referendum è confinata a pochi ambiti, difficilmente estendibili. Quasi tutti sorridono quando parlo di introdurre correttivi basati sul sorteggio di chi ci deve rappresentare, come nell’Atene di Pericle e nella Venezia dei Dogi, in sintonia con il pensiero di Aristotele, Montesquieu e Jefferson. Eppure hanno dimostrato come una quota di parlamentari scelti con il sorteggio aumenti l’efficienza e la produttività dell’istituzione legislativa. Più casualità e meno antipolitica non è una ricetta irragionevole, ma fondata su rigorose analisi statistiche e suscita l’interesse di chi ha a cuore la democrazia e ne teme la deriva olicraturale.
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Politica
La Camera respinge la sfiducia a Santanchè: “Sulle dimissioni rifletterò”. Conte: “Siete responsabili di un disastro morale”. Schlein: “Meloni ancora in fuga”
Economia & Lobby
A Milano indagine per evasione fiscale su Twitter-X. Mancati pagamenti Iva per 12,5 milioni
Cronaca
Francesco, condizioni critiche ma stazionarie: “Nuova tac di controllo”. Ha visto il cardinale Parolin. Buenos Aires in ansia per il ‘suo’ Papa
Tel Aviv, 25 feb. (Adnkronos) - Ofri Bibas, sorella dell'ostaggio liberato Yarden Bibas, ha criticato duramente il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, nonché i notiziari, gli utenti dei social media e i diplomatici pubblici, per aver descritto in dettaglio, contro la volontà della famiglia, gli omicidi avvenuti durante la prigionia della moglie di Yarden, Shiri, e dei suoi figli piccoli Ariel e Kfir. Pubblicare tali informazioni nonostante le ripetute richieste della famiglia è stato "un abuso fine a se stesso nei confronti di una famiglia che ha attraversato 16 mesi di inferno e che deve ancora affrontare il peggio", ha sritto Ofri Bibas su Facebook.
Netanyahu ha descritto l'omicidio dei ragazzi in modo molto dettagliato in un discorso tenuto davanti all'America Israel Public Action Committee e, mentre teneva in mano una foto delle vittime, durante una cerimonia militare tenutasi ieri, in seguito alla quale, la famiglia Bibas ha inviato una lettera di diffida a Netanyahu e ad altri uffici governativi, chiedendo loro di smettere di pubblicare dettagli non approvati sugli omicidi, riporta il sito di notizie Ynet.
Washington, 25 feb. (Adnkronos) - "Questa decisione lacera l'indipendenza di una stampa libera negli Stati Uniti". Lo ha detto il presidente della White House Correspondents' Association Eugene Daniels, criticando l'amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per aver affermato che d'ora in poi sarà lei stessa a decidere quali giornalisti potranno seguire gli eventi della Casa Bianca. "In un paese libero, i leader non devono scegliere le testate" da accreditare, ha aggiunto.
Washington, 25 feb. (Adnkronos) - La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha dichiarato durante il briefing di oggi che l'amministrazione determinerà quali organi di stampa faranno parte del pool stampa della Casa Bianca. Attualmente la White House Correspondents Association aiuta a coordinare la copertura del pool.
La Leavitt ha affermato che alle "testate tradizionali" sarà comunque consentito di unirsi al pool, ma ha osservato che l'amministrazione consentirà l'adesione anche ad altri siti. "Sono orgogliosa di annunciare che restituiremo il potere alle persone che leggono i vostri giornali, che guardano i vostri programmi televisivi e che ascoltano le vostre stazioni radio", ha aggiunto.
(Adnkronos) - L'indagine su Twitter International Uk vede due indagati - si tratta di due ex amministratori (un irlandese e un indiano) - che si sono succeduti negli ultimi anni alla guida del social poi rilevato da Elon Musk a fine 2022. L'indagine nasce da un controllo fiscale della Gdf, concluso ad aprile 2024, proprio sulla piattaforma americana, che oggi si chiama 'X', sulla scia delle stesse verifiche fatte su Meta. Il fascicolo è affidato dal pm Giovanni Polizzi, già protagonista di altre indagini sui colossi del web.
Il punto centrale del fascicolo affidato a Polizzi, lo stesso che si è occupato dell'inchiesta su Meta, è l'idea che debbano essere tassate come transazioni commerciali le iscrizioni gratuite alle piattaforme online in cambio della cessione dei propri dati personali, che hanno un valore economico, visto che consentono la profilazione degli utenti.
Solo lo scorso dicembre la procura di Milano ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti dei rappresentanti legali della società di diritto irlandese Meta, titolare dei social Facebook e Instagram. L'inchiesta - ancora aperta - ipotizza per il colosso l'omessa dichiarazione e mancato pagamento - tra il 2015 e il 2021 - dell'Iva per un totale di oltre 877 milioni di euro.
Washington, 25 feb. (Adnkronos) - La Casa Bianca attribuisce il grosso livido sulla mano destra di Donald Trump, che era visibile durante l'incontro di ieri con il presidente francese Emmanuel Macron, alle strette di mano del presidente americano.
"Il presidente Trump è un uomo del popolo", ha affermato la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt, aggiungendo: "Il suo impegno è incrollabile e lo dimostra ogni singolo giorno. Il presidente Trump ha lividi sulla mano perché lavora costantemente e stringe mani tutto il giorno, tutti i giorni".
Roma, 25 feb. (Adnkronos) - Sono due i momenti della replica di Daniela Santanchè sottolineati dalle opposizioni, che oggi hanno votato compatte la mozione di sfiducia alla ministra del Turismo. Il primo quello sull''intemerata' del tacco 12 e il glamour, della sinistra che odia la ricchezza. Un tentativo di 'buttarla in caciara' e uscire dal merito, grave, della vicenda, dicono le opposizioni. L'altro passaggio è meno di colore e più inquietante, sostengono, ed è quando la ministra ha detto che alla prossima udienza valuterà le dimissioni "ma lo farò da sola - ha scandito- con me stessa, senza nessuna costrizione e forzatura". Una sottolineatura che, secondo le opposizioni, è un chiaro messaggio a Giorgia Meloni. E fa crescere l'interrogativo: perché la premier Meloni si fa trattare in questo modo? E' la domanda dei parlamentari di minoranza in Transatlantico.
Giuseppe Conte intervenendo in aula nelle dichiarazioni di voto ha dato una sua versione: "Ci sono solo due plausibili spiegazioni. La prima è che lei, Santanchè, ricatta Meloni. Può darsi che all'opposizione abbiate condiviso segreti che oggi mettono in imbarazzo la presidente del Consiglio e allora comprenderemmo perché ogni giorno Meloni dice che non è ricattabile... La seconda è che Fdi dopo aver avuto come motto 'legge e ordine', oggi che siete al potere si sentite casta intoccabile. Il caso Delmastro è l'esempio di questa vostra convinzione di essere al di sopra della legge".
Anche Elly Schlein si rivolge alla premier Meloni: "Cosa le impedisce di far dimettere Santanchè? Come è possibile accettare in silenzio, dopo che Santanchè ha detto che del pressing di Fdi se ne frega, che lei e solo lei decide se dimettersi come se non esistesse una presidente del Consiglio?". E insiste: "Meloni è stata campionessa mondiale di richieste di dimissioni e oggi ha disertato quest'aula, come fa non vergognarsi della sua incoerenza, come fa a non rendersi conto di quanto sia vigliacco il suo atteggiamento di continua fuga da quest'aula e dalla realtà? Dove si è nascosta la premier? Forse sta registrando un altro video, un contributo da inviare a una convention fra motoseghe e saluti nazisti?".
Conte ribatte anche al passaggio 'tacco 12' della ministra: "Lei ha detto che odiamo la ricchezza, ma non dica baggianate, siete voi che avete fatto la guerra ai poveri, che odiate i poveri. Noi odiamo o meglio ancora contrastiamo, la disonestà". Una questione, quella dei tacchi e delle borsette, che fa sbottare Schlein: "Lei viene qui a difendere le borsette, chi difende gli italiani dalla bollette? Noi non siamo qui per fare un processo ma per porre una gigantesca questione di opportunità politica: davanti ad accuse così gravi, per non ledere le istituzioni, avrebbe dovuto dimettersi".
La segretaria del Pd si rivolge quindi alla maggioranza: "Speriamo in un sussulto della maggioranza e dei singoli parlamentari. Se oggi salvate Santanchè dimostrate che a voi interessa difendere i vostri più che difendere l'onore delle istituzioni. Questa non è difesa nazionale, è difesa tribale". Per Elisabetta Piccolotti che interviene a nome di Avs, "il problema non è la ricchezza della ministra, il problema è che quando si è ricchi e non si pagano" gli stipendi ai lavoratori e si umiliano "le persone più povere".
Anche Iv, Più Europa e Azione che non avevano sottoscritto la mozione di sfiducia, hanno comunque dichiarato il voto a favore in aula. "Noi sappiamo che la mozione di sfiducia non sarà approvata, ma chiunque si è accorto che la ministra Santanchè non è sfiduciata da coloro che hanno presentato questa mozione ma dalla sua stessa maggioranza, dalla premier Meloni", dice Davide Faraone di Iv. Per Azione Antonio D'Alessio spiega: "Le mozioni di sfiducia non ci piacciono" e "la ministra non è colpevole fino a prova contraria" ma "è il quadro complessivo che finisce con il restituirci una politica rispetto alla quale scivolano via situazioni che non consentono una azione della ministra libera di condizionamenti". Linea simile a Riccardo Magi di Più Europa: "Per noi Santanché dovrebbe dimettersi" non per le questioni giudiziarie, ma "perché ha inanellato una serie di fallimenti da ministro". Intanto in serata l'aula ha respinto la sfiducia con 206 voti.
Londra, 25 feb. (Adnkronos/Afp) - Il primo ministro britannico Keir Starmer ha confermato che ospiterà colloqui sull'Ucraina con gli alleati nel fine settimana, dopo essere tornato dall'incontro con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump alla Casa Bianca. "Ospiterò diversi paesi questo fine settimana per continuare a discutere di come procedere insieme come alleati alla luce della situazione che ci troviamo ad affrontare", ha detto ai giornalisti.