È passato un anno dall’8 novembre 2016, quando Donald Trump scioccando mezzo mondo ha conquistato la Casa Bianca.
Ad un anno dall’elezione molti opinionisti si stanno ancora interrogando sul perché di quella vittoria. Oggi, a mente fredda, dopo aver visto Trump all’opera, abbiamo una risposta?
Per fare un’analisi nuova, separarmi da ciò che ho già detto, ho chiesto aiuto ad uno dei maggiori esperti di marketing in Italia, Frank Merenda. Merenda si occupa di aziende, ma ogni tanto si lascia trascinare da me nell’arena politica. L’ultima volta era inizio aprile e su questo blog avevamo previsto il fallimento dell’appena lanciato blog del Pd. Il blog “In Cammino” infatti è fermo da luglio. Anche quello personale di Renzi è stato abbandonato, per le stesse ragioni riportante in quell’analisi.
Sapendo che Frank si trovava in viaggio negli Stati Uniti per gli ultimi preparativi del suo prossimo evento, il corso di formazione Venditore Vincente, l’ho raggiunto telefonicamente per analizzare con lui, un anno dopo, le ragioni della vittoria di Trump.
Il segreto del successo di Donald Trump sta nella sua comunicazione. Dalla nostra chiacchierata sono emersi tre punti estremamente interessanti che tutti i politici, e anche le aziende, possono applicare nella propria di comunicazione.
1 – Fight of the week (la battaglia della settimana)
Trump detta l’agenda mediatica americana (spesso anche mondiale). Gli altri lo inseguono.
Comunicando su Twitter, Trump ha aggirato i blocchi che i media tradizionali gli ponevano ed è riuscito a far passare i suoi messaggi. Opposizione al trattato di Parigi, rinegoziazione degli accordi sul nucleare con l’Iran, le bombe ad Assad, le minacce a Kim Jong-un, fino a “piccolezze” (secondo i suoi parametri) come il non dare la mano alla Merkel.
Messaggi così forti da essere in grado di dettare settimana dopo settimana i temi di cui parlare. Trump fa questo in modo scientifico. Ogni settimana lancia una bomba mediatica ottenendo due risultati: si parla sempre di lui e non si approfondisce realmente nessun tema.
Qualcuno dirà: proprio a causa delle sue sparate però Trump ha tanti nemici. In realtà è proprio grazie a questa polarizzazione, a questa capacità di dividere che Trump, se da una parte fomenta i suoi detrattori, dall’altra compatta i suoi fans, lo zoccolo duro.
Quella di piacere a tutti è solo un’illusione. Il sistema bipolare statunitense richiede di avere poco più della metà dei consensi. Metà nazione dalla tua parte basta.
2 – Non si è fatto inghiottire dal sistema
È tipico dei candidati anti-sistema il fatto di farsi inghiottire dal Palazzo, omologandosi alla politica dei partiti, dopo qualche mese di governo.
Donald Trump non è un politico. In principio ha vinto contro il “suo” partito, prima di battere la Clinton, proprio perché rappresentava qualcosa di diverso dai partiti. Sta riuscendo a mantenere un atteggiamento anti-sistema anche un anno dopo. È così che Trump rappresenta ancora qualcosa di nuovo, a cui nessuno si è abituato.
I vari licenziamenti che ha fatto da quando è Presidente e le dimissioni di membri del suo staff sono la cifra di questo. È normale, come a Roma con il M5S, che non si possa andare d’accordo coi burocrati se si vuole essere anti-establishment.
3 – Una visione grande
Da un anno, ogni singola settimana, molti analisti italiani dicono che la scarsa credibilità delle promesse di Trump gli costerà la poltrona. Continuano a non capire che è proprio per questo tipo di comunicazione che i suoi fan lo amano.
Oltre alle battaglie settimanali elencate sopra, anche promesse come il muro col Messico e il muslim ban per esempio risuonano perfettamente con il suo modo esagerato di comunicare “Sarò il più grande creatore di posti di lavoro sulla Terra”, “Sarò il miglior presidente di sempre”.
È la retorica provocatoria del “Make America great again”, una metafora, non qualcosa da prendere troppo sul serio. Si tratta di una proiezione del proprio sentimento, un sentimento di rivalsa, condiviso da molti americani.
I suoi supporter amano Trump per il solo fatto di dire certe cose, non conta che le faccia. Tanto il Pil cresce lo stesso, non è di certo la politica ad influenzarlo, pensano soprattutto quelli che hanno mandato alla Casa Bianca un anti-politico.
È anche per questo che i movimenti di protesta non dovrebbero mai scendere sul piano dei risultati, del pragmatismo, quando affrontano un dibattito contro un esponente dei partiti. Dovrebbero piuttosto restare sulla visione, sull’ideologico, non sul pratico.
Un esempio italiano dell’efficacia di questi tre punti elencati, in comunicazione politica, è quello di Beppe Grillo, il quale non è mai voluto entrare nel sistema, ha sempre dettato l’agenda mediatica grazie al web e preferisce di gran lunga parlare di visione, con metafore e provocazioni, anziché scendere sul piano degli esponenti dei partiti rispondendo alle loro domande secondo il loro linguaggio, che lui trova surreale.