Cultura

Fumetti, perché considerarli una forma infantile di linguaggio è un pregiudizio colossale

Recentemente ho visitato la mostra Mangasia- Wonderlands of Asian Story. Questa splendida mostra, curata da Paul Gravett e ospitata al Palazzo delle esposizioni di Roma, consente di viaggiare attraverso stili, epoche e narrazioni di molti paesi dell’Estremo Oriente, prossimi tra loro nei confini eppure lontanissimi per storia e cultura. Il loro trait d’union sta nello sforzo creativo di autori che, per diverse ragioni, hanno trovato nel fumetto il comune mezzo espressivo. C’è di tutto nelle tavole esposte: dalla religione alla mitologia, dall’erotismo al reportage di guerra, a dimostrare, laddove ce ne fosse ancora il bisogno, che considerare i fumetti una forma infantile di linguaggio è da sempre un pregiudizio colossale. La capacità del fumetto di pizzicare le corde dell’animo umano risiede in quel suo stare un passo avanti al racconto, grazie alla forza delle illustrazioni e alla sapienza registica degli autori che, plasmando la materia immaginaria, imprimono su carta visioni capaci di arrivare anche senza l’ausilio del testo.

In un’epoca come la nostra, in cui l’esperienza è divenuta economia, possedere le chiavi di un simile linguaggio non può che essere vantaggioso, considerando anche le inusitate possibilità offerte dalla rete. Ma riempire una pagina di scritte o scarabocchi non fa di nessuno un buon autore. Per distinguersi e fare la differenza è necessario conoscere la materia, amarla da tempo, come un lettore seriale o un collezionista. E tutto questo aiuterebbe senza tuttavia ancora bastare perché, oltre alla passione, c’è bisogno di tecnica ed esperienza, doti che permettono a chi desidera cimentarsi nel mondo della scrittura delle storie, di superare il blocco della pagina bianca o l’apnea della mancanza d’ispirazione.

Per chi volesse provare a muovere i primi passi in questo mondo, alla ricerca dei segreti che si nascondono dietro la creazione di una storia, è recentemente uscita, per Dino Audino editore, una versione aggiornata dell’ottimo Raccontare a fumetti, di Stefano Santarelli. L’autore è un professionista dei comics, un raffinato artigiano che da oltre vent’anni scrive per Bonelli, firma cartoni animati e insegna nella Scuola romana dei Fumetti, di cui è membro fondatore.

Il suo manuale, diviso in due parti, è un vero e proprio grimorio per aspiranti maghi della narrazione, provvisto di tutti gli incantesimi necessari ad accendere la magia della creatività, da quelli semplici a quelli più avanzati. Scorrendo il sommario si ha la sensazione di interloquire con l’autore che, utilizzando un linguaggio tecnico e al tempo discorsivo, spiega nel dettaglio ogni particolare relativo alla costruzione della storia, lungo il cammino che conduce dall’idea al soggetto e poi alla sceneggiatura, andando così dal totale al particolare.

Un approccio che, già nella sua semplicità, rappresenta un corretto metodo di lavoro, replicabile nei numerosi ambiti grazie a cui oggi, più o meno consapevolmente, fruiamo le storie. Una volta appreso, tale metodo diviene garante di un sistema di visione per mondi in creazione, che può essere messo al servizio dello spot, del racconto, del romanzo, fino a sfiorare i criteri di ragionamento di un social media manager. Tutto questo è impreziosito da numerosi contributi visivi, grafici e multimediali che, oltre a migliorare la gradevolezza della lettura, offrono esempi utili ed esplicativi, con cui mettere sempre più a fuoco le nozioni apprese, usandole non solo per inventare, ma anche per desumere schemi e metodi di autori affermati, procedendo poi per conto proprio.

Nella seconda parte del testo, Santarelli esamina il fumetto oltre il fumetto, andando ad analizzare tutti quei campi contaminati dal medium coi balloon: dalle secolari regole del teatro, ai delicati meccanismi della trasposizione, fino a giungere a questi nostri giorni illuminati in cui la pubblicità, il sociale, il web e perfino la divulgazione scientifica hanno fatto ricorso alla rapidità di impatto, tipica di questo genere, per promuovere contenuti sensibili o complessi. Non a caso l’autore, all’inizio dell’introduzione, si rifà all’umano bisogno di creare. Bisogno che nasce dal volersi in qualche modo opporre alla caducità, allo scorrere del tempo, verso la ricerca dell’immortalità. Una condizione raggiunta da autori come Goscinny, Barks, Pratt o Fellini, sulle orme dei quali potremmo iniziare a incamminarci proprio grazie a questo prezioso manuale. Gulp!