Diritti

Biotestamento: onorevoli parlamentari, non lasciate che il tempo scada per colpa del voto

Onorevoli parlamentari, a chi appartiene la mia vita?
(Associazione Luca Coscioni)

“Cosa vuole che le dica, che facciamo schifo?”. Emilia De Biasi, parlamentare del Pd e presidente della commissione Sanità del Senato, si è stizzita un paio di giorni fa, mentre Luigi Franco le ricordava tutto quello che la politica, ossia i partiti, ossia gli eletti in Parlamento hanno fatto da quando nel 2006 è morto Piergiorgio Welby, da quando nel 2009 è morta Eluana Englaro, da quando a febbraio hanno versato tutti in coro i lacrimoni in memoria di dj Fabo: cioè niente.

La risposta della senatrice De Biasi è stata la stizza. Ha fatto partire – con il tono di chi parla a un ottuso – la tiritera dei regolamenti del Senato che vanno rispettati e del confronto che serve tra le varie posizioni e delle leggi sui diritti civili che sono sempre così combattute. E una mezza dozzina di altre frasi da ascensore. La realtà che irrita la senatrice De Biasi è che nel tapis roulant di retorica sul quale tutti i partiti (nessuno escluso) corrono, a ogni ora del giorno e con ogni mezzo, temi come quello del biotestamento arrivano sempre dopo la polvere. Più precisamente: mai.

Una settimana fa, Michele Gesualdi, uno degli allievi di don Lorenzo Milani, malato di Sla, ormai incapace anche di parlare, ha scritto alle Camere e a tutti i partiti per chiedere di accelerare l’iter della legge sul testamento biologico: “Personalmente – ha scritto Gesualdi tra l’altro – vivo questi interventi come se fosse una inutile tortura del condannato a morte prima dell’esecuzione. Come tutti i malati terminali negli ultimi cento metri del loro cammino, pregano molto il loro Dio, e talvolta sembra che il silenzio diventi voce e ti dica: ‘Hai ragione tu, le offese a me sono altre, tra queste le guerre e le ingiustizie sociali perpetrate a danno della umanità. Chi mi vuole bene può combatterle con concrete scelte politiche, sociali, sindacali, scolastiche e di solidarietà’”. L’appello di Gesualdi, quasi disperato, – il termine che ha usato nella sua lettera rivolta ai politici è stato implorarvi – è stato ricoperto da tonnellate di silenzio, alle quali ha contribuito con una certa caparbietà anche il partito della senatrice De Biasi.

Hanno risposto, quasi per educazione, i presidenti Laura Boldrini e Piero Grasso. Grasso, in particolare, ha la doppia pena di veder galleggiare da mesi la legge nella Camera che presiede e ha potuto limitarsi a “sperare” che la prossima conferenza dei capigruppo, chissà quando, calendarizzi il voto in Aula sulla legge. Una volta all’esame dell’assemblea del Senato, bisognerà sperare poi che il testo non venga modificato nemmeno di una virgola. Perché altrimenti dovrebbe tornare alla Camera. Ma tempo non ce n’è più: c’è la legge di bilancio che il Senato approverà entro fine novembre e che la Camera discuterà a dicembre. A marzo ci sono le elezioni, la legislatura muore forse già a gennaio. E questo è il Parlamento che sui diritti civili è quello più a sinistra della storia del Paese. Un altro così non ci sarà, tantomeno da marzo in poi.

Mentre il Parlamento aspetta, secondo l’Istat mille italiani ammalati si tolgono la vita, come fece Mario Monicelli, altri mille ci provano. Secondo una ricerca dell’istituto Mario Negri, ormai vecchia di dieci anni, ogni anno 20mila malati terminali vedono accelerata la loro fine dopo l’intervento dei medici. Poi c’è la possibilità – per chi ha le risorse – di cercare conforto di andare in Svizzera, come Lucio Magri. O come Dj Fabo, pochi mesi fa. Anche allora, a febbraio, i malati che la pensano come lui si sentivano un po’ meno soli.

Matteo Renzi, per esempio, ne parlò nel discorso con cui tornava in campo dopo aver finto di lasciare la politica:  “Sappiamo – disse al Lingotto, da dove lanciava la sua mozione congressuale – che, quando un ragazzo quarantenne muore in Svizzera perché non ce la fa più a vivere, è un problema enorme e terribile e facciamo di tutto per trovare una soluzione che nasca da un confronto e non da uno slogan”. Luigi Di Maio sconsolato denunciava che “tanto non c’è più un Parlamento in grado di votare. C’è solo un Parlamento che rinvia: abbiamo chiesto la calendarizzazione in Aula di questa proposta ma non voglio neanche dire che la dobbiamo discutere il prima possibile”. In quei giorni si sentiva un po’ meno solo anche Marco Cappato, rimasto ora l’unico a battersi come allora, anche sulla sua pelle, visto che è appena iniziato il processo in cui è imputato per aiuto al suicidio.

Eppure, sulla carta, una maggioranza parlamentare questa legge ce l’ha, a parole: deboluccia, con una composizione a coriandoli, al limite del caravanserraglio. Quello che manca in questo caso è invece l’urgenza. Il biotestamento era già in agenda a luglio e invece no, c’erano troppi emendamenti e l’ostruzionismo dei parlamentari clericali. “L’approveremo prima della fine della legislatura. Promesso” assicurò Pietro Ichino. La legge fu rinviata a settembre. La De Biasi, per interrompere l’ostruzionismo, ha minacciato per otto volte (otto) le dimissioni, ma ha deciso di darle solo pochi giorni fa.

Nel frattempo siamo a novembre e non c’è stata nessuna battaglia, di nessuno, sul calendario dei lavori. Renzi ha continuato a pensare ai migranti e perfino alle banche, il M5s alle pensioni dei parlamentari e ai colpi di Stato che denuncia ogni mese. Questa volta, quindi, niente voti di fiducia perché sui temi etici non si può, specie se in maggioranza ci sono Casini e Alfano. Niente inversioni di ordini dei lavori, come fecero con lo Ius soli (ma anche quella era una mascherata), niente emendamenti-canguro, ghigliottine o altri stratagemmi raffinati per troncare la discussione, come sul decreto Imu-Bankitalia. Non ci sono eroici deputati sul tetto di Montecitorio.

Non ci sono cartelli in Aula o parlamentari bendati come per il Rosatellum. Non ci sono parlamentari che si incatenano. Niente flash-mob in giro per il Senato, niente vene ingrossate in televisione, niente sfide su Twitter, niente post su Facebook. Non c’è urgenza.

Su questi argomenti non c’è mai urgenza: il timore di perdersi una fettina di elettori è così grande. Non c’è mai urgenza, da almeno dieci anni. Forse aveva ragione quella senatrice del Pd: un po’ schifo questa storia dovrebbe farlo. Il tempo di ripulirlo, se esiste la volontà, c’è.