Aumentano gli incidenti "faccia a faccia", secondo il report dell'organizzazione "Tell Mama": "Eventi particolarmente importanti che stimolano il dibattito pubblico su temi come immigrazione e Islam, come ad esempio attacchi terroristici, possono portare a un picco dei casi"
Offese, minacce, molte lanciate faccia a faccia e non da dietro lo schermo di un computer. Ma anche veri e propri attacchi fisici. La popolazione musulmana in Gran Bretagna, secondo l’ultimo report pubblicato dalla ong Tell Mama e riferito al 2016, deve fare i conti con un aumento del 47% delle minacce subite in luoghi pubblici. Una crescita che preoccupa e fa passare in secondo piano il calo del 15% riferito invece agli attacchi online, soprattutto sui social network: se le minacce si spostano dal web alla strada, il pericolo per l’incolumità della persona aumenta.
A farne maggiormente le spese sono le donne, che rappresentano il 56% delle vittime, soprattutto se esibiscono sul proprio corpo simboli religiosi che le rendono più facilmente identificabili, mentre gli autori sono in gran parte uomini bianchi (66%). Le minacce e i comportamenti violenti di stampo islamofobico, rileva il centro di ascolto, aumentano sensibilmente in occasione di appuntamenti politici o fatti di cronaca di grande importanza, come votazioni, referendum o attacchi terroristici. Una settimana dopo il voto per la Brexit, ad esempio, gli attacchi contro i musulmani in Gran Bretagna sono aumentati del 475%.
Nel 2016, l’organizzazione, presieduta da Shahid Malik, primo ministro musulmano della storia britannica, ha ricevuto 1.223 segnalazioni di incidenti di stampo islamofobico, laddove con il termine “incidente” si intende “ogni atto negativo nei confronti di musulmani, delle loro proprietà o di organizzazioni islamiche, oppure ogni atto che abbia un’evidente motivazione anti-musulmana […]. Sono inclusi anche gli atti dove la persona offesa è stata percepita come musulmana”. Di tutti questi casi, Tell Mama ha accertato il movente islamofobico per 953: si va dalla diffusione di contenuti anti-Islam, alle azioni di violenza estrema nei confronti di musulmani, passando per minacce, scritte o dirette, e atti di violenza verso le proprietà.
Ciò che preoccupa l’organizzazione, però, è che ad aver registrato un aumento significativo siano gli incidenti ritenuti più gravi, ossia i cosiddetti attacchi offline, quelli che si concretizzano in qualsiasi ambito che non sia il web. Con 642 casi, questi rappresentano il 67% degli incidenti totali, un +47% rispetto al 2015, quando la conta si era fermata a 437. A crescere in rapporto all’anno precedente, poi, sono il numero di casi che prevedono la presenza di entrambe le parti coinvolte, dai quali vengono appunto esclusi i volantinaggi anti-Islam, le manifestazioni e gli episodi di vandalismo che non colpiscono direttamente un soggetto o le sue proprietà. Dei 642 casi offline verificati, il 54% (349) è rappresentato da abusi verbali e non verbali (+4%), il 19% (120 casi) da attacchi fisici (+2%) e l’8% (49) da atteggiamenti o comportamenti minacciosi (+0,5%). Questi incidenti di stampo islamofobico possono concretizzarsi in qualsiasi ambito che non sia quello del web, con i luoghi e i trasporti pubblici (30% e 13%), locali (13%) e proprietà private (12%) che rappresentano la fetta più importante.
Questo aumento degli incidenti faccia a faccia, in gran parte nei luoghi pubblici, passati da un 25% dei casi del 2015 al 30% del 2016, dimostrano che, nell’arco di un solo anno, si è assistito a un ulteriore sdoganamento dei comportamenti aggressivi nei confronti della popolazione musulmana. A influire su questo elemento è anche il clima di insicurezza dovuto agli attentati di matrice islamista che hanno colpito l’Europa dal 2015. Lo confermano anche i dati di Tell Mama: “Eventi particolarmente importanti che stimolano il dibattito pubblico su temi come immigrazione e Islam – si legge -, come ad esempio attacchi terroristici, possono portare a picchi di incidenti nei confronti de musulmani. Tell Mama ha registrato un aumento del 475% nel numero degli attacchi anti-Islam nella settimana seguente al voto sulla Brexit (dai 12 della settimana iniziata il 17 giugno ai 69 di quella del 24). Gli autori di questi attacchi hanno riportato spesso motivazioni influenzate dal dibattito mainstream su Islam e migrazione”.
Oltre alle segnalazioni ricevute, i redattori del report hanno esaminato anche altri dati che sono il risultato di una collaborazione con 18 diverse forze di polizia britanniche. Solo in questi 18 distretti di competenza, sono 2.840 gli episodi di attacchi anti-Islam registrati. A farne le spese sono soprattutto le donne, che rappresentano il 56% delle vittime, in particolar modo quelle che indossano o portano sul proprio corpo indumenti o simboli che le identificano come musulmane. “Muovi quella cavolo di borsa! hai una bomba dentro o cosa?”, oppure “cosa diavolo stai facendo? Adesso ti strappo quel velo dalla testa. Vai a chiamare il tuo Isis”, sono alcuni degli esempi riportati nello studio. A pronunciarle, nel 69% dei casi, sono uomini bianchi che rappresentano la maggioranza degli autori degli attacchi.
Episodi di questo tipo hanno conseguenze psicologiche, sociali, ma anche economiche sulle vittime, soprattutto quando non trovano l’appoggio delle altre persone presenti durante il torto subito: situazione che alimenta la percezione di una società ostile che condivide il punto di vista dell’autore dell’attacco. Alcune delle vittime, riferiscono gli analisti dell’organizzazione, iniziano a limitare i propri spostamenti per paura di essere nuovamente vittime di abusi, oppure sviluppano stati di ansia quando si allontanano dai propri quartieri o da quelli che reputano più sicuri. Anche un incidente meno grave può avere ripercussioni psicologiche: ad esempio, alcune vittime, soprattutto le donne, vengono spinte a mutare il proprio modo di vestire e a nascondere i simboli che possano ricondurre alla loro appartenenza religiosa. Altre, invece, creano una barriera con il mondo esterno che le rende meno capaci di reagire anche ai soprusi in casa, a scuola e nell’ambito lavorativo, aumentando così la loro vulnerabilità.