Il giudice di Madrid firma altri mandati la cui esecuzione è evitabile con la cauzione. Intanto il governatore destituito se la prende con l'Ue ("Ha appoggiato in maniera vergognosa le azioni repressive spagnole") e pensa a una lista "del presidente" con tutti i detenuti politici
La serie di arresti per gli indipendentisti catalani si allarga. Dopo l’incarcerazione del vicepresidente Oriol Junqueras e di mezzo Govern destituito, il giudice del tribunale supremo di Madrid Pablo Llarena ha firmato un ordine di arresto anche per la presidente del parlamento catalano Carme Forcadell evitabile – dice la Efe, la principale agenzia di stampa spagnola – con il pagamento di una cauzione di 150mila euro. La Forcadell, dice la Vanguardia, trascorrerà la notte in carcere e potrà uscire solo dopo il pagamento della cauzione. Il tribunale ha deciso la detenzione preventiva anche per quattro membri dell’ufficio di presidenza del Parlamento (Lluis Corominas, Lluis Guinò, Anna Simò e Ramona Barrufet) evitabile con il pagamento di una cauzione di 25mila euro. Secondo la Efe la cauzione dovrà essere pagata entro una settimana. Un quinto membro dell’ufficio di presidenza, Josep Joan Nuet, non appartenente al fronte indipendentista, è stato lasciato in libertà.
Giovedì scorso il giudice della Audiencia Nacional di Madrid Carmen Lamela aveva mandato in prigione gli otto membri del governo catalano destituito da Madrid e chiesto l’arresto del presidente Carles Puigdemont e dei 4 ministri che si trovano con lui in Belgio. Ma il President – ormai ex, per le istituzioni spagnole – non si arrende: con mezzo Govern già in prigione, “esule” a Bruxelles con la minaccia di una estradizione verso la Spagna, Puigdemont oggi ha annunciato la creazione di una struttura di “governo legittimo” in esilio. Un annuncio che interviene mentre la morsa di Madrid si fa sempre più stretta. Oggi il giudice Lamela ha anche respinto la richiesta di rimessa in libertà di Junqueras e dei sette ex ministri in carcere a Madrid. Tutti, come Puigdemont e Forcadell, sono accusati dalla giustizia spagnola di “sedizione” e “ribellione“. Rischiano 30 anni di carcere. E, subito, due anni di detenzione preventiva.
Dall’esilio belga Puigdemont si è scagliato non solo contro “la decadenza democratica dello Stato spagnolo” ma anche contro “gli abusi di una Ue che ha appoggiato in maniera vergognosa le azioni repressive spagnole”. La situazione della Catalogna dopo il duro commissariamento scatenato da Madrid all’indomani della dichiarazione di indipendenza del 27 ottobre, con una parte del Govern in carcere, l’altra in esilio e il Parlamento chiuso “è chiaramente contraria allo Stato di diritto e all’ordinamento europeo”.
Le denunce di Puigdemont non hanno per ora scalfito l’allineamento dei governi europei e dell’Ue sul premier spagnolo Mariano Rajoy. A Salamanca accanto a Rajoy il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha confermato l’appoggio dell’eurogoverno a Madrid contro i “veleni nazionalisti” e “qualsiasi forma di separatismo che indebolisca l’Europa e porti frattura e divisione”.
L’opinione pubblica – o almeno parte di essa – sembra invece sensibile alla pacifica “rivoluzione dei garofani” catalana. Il Times di Londra ha denunciato I prigionieri di Rajoy, la teorica dell’anti-globalizzazione la canadese Naomi Klein ha definito “scioccante” e “sproporzionato” l’arresto di mezzo governo catalano. “Che succederebbe se il Canada arrestasse il governo del Quebec? Sarebbe la fine del Paese, garantirebbe la secessione del Quebec!”.
Davanti alla fortissima pressione di Madrid sui ribelli catalani indipendentisti e unionisti preparano la grande sfida nelle urne del 21 dicembre che dovrà chiarire da che parte stia la Catalogna. Rajoy ha invitato gli elettori catalani a votare “in massa”, mentre Puigdemont, nonostante il fallimento delle trattative fra i tre grandi partiti sovranisti per una lista unica, ora chiede una “lista del Presidente“. Dentro: tutti i “detenuti politici”.