“Non so se sono uscito io dal Pd oppure è il Pd che non c’è più…”. Per la prima volta il presidente del Senato Pietro Grasso spiega meglio la sua uscita dal Partito democratico. Lo fa al Festival della Letteratura, a Pescara, intervistato da Luca Sofri. Grasso viene da una serie di incontri che a Palazzo Giustiniani lo ha visto ricevere vari esponenti della sinistra: da Giuliano Pisapia a Gianni Cuperlo (della minoranza Pd) fino ai leader dei tre soggetti che già vogliono unirsi, a sinistra dei democratici, cioè Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana), Roberto Speranza (coordinatore di Mdp) e Pippo Civati (che guida Possibile). “Il Pd – spiega meglio Grasso – era quello del bene comune. Quello di Bersani insieme a Sel, quelli erano i principi e i valori che incarnavano il ragazzo di sinistra che aveva avuto per tutta la vita compressa questa sua natura dei valori di uguaglianza dei diritti, di libertà. Compressi prima come magistrato che non può farsi influenzare dalle proprie idee politiche e poi dal ruolo istituzionale di presidente del Senato. Ora vediamo se finalmente alla bellissima età che ho raggiunto posso riuscire a esprimere me stesso”.
Un punto di partenza che rende per il momento complicato il dialogo tra il Pd e le forze alla sua sinistra che con molta prudenza continuano a chiamare Grasso. Il tentativo di costruire ponti è ancora quello di Andrea Orlando e Gianni Cuperlo che arrivano a invocare Walter Veltroni e Romano Prodi. “Chi può dia una mano al Pd”, è il ragionamento dei due dirigenti della sinistra del Pd, o il rischio è “una tragica irrilevanza“. Il ministro della Giustizia in particolare chiede, già dalla direzione nazionale di lunedì prossimo, che Matteo Renzi passi agli “atti concreti” nella costruzione di una coalizione che riunisca tutto il centrosinistra. Ma è gelido il silenzio del Professore: “E’ una tragedia, l’Italia rischia il baratro”, è lo sfogo raccolto da Repubblica. E i timori di non riuscire a costruire un’alleanza larga crescono anche nella maggioranza del partito. Renzi ostenta tranquillità, fa sapere che darà la sua road map lunedì e rinsalda l’asse con Dario Franceschini.
E’ in questo contesto che Grasso per la prima volta ammette che sì, “se ci sono le condizioni forse” ha voglia “di fare politica”. A Grasso già guardano come leader Mdp, Sinistra Italiana e Possibile. Con lui parla anche Campo Progressista, con l’obiettivo di una sinistra “non residuale”. Mentre gli uomini vicini a Pisapia osservano che al momento non vedono margini per un’alleanza con Renzi: è “inaccettabile”, dicono, fare la sua “lista civetta“.
Intanto col treno Pd Renzi fa tappa in giornata a Treviso, Porto Marghera, Padova, Rovigo. Molte delle zone in cui le urne si sono rigonfiate di schede al referendum per l’autonomia voluto dal centrodestra e in particolare dalla Lega Nord. Il segretario democratico rilancia la battaglia sulle banche, incontrando i risparmiatori delle venete e di CariFerrara. Affronta i contestatori e incassa il sostegno dei supporter. Evita ogni discorso sulle coalizioni. Ma, assicurano i suoi, è anche lui “al lavoro“, come tutti i dirigenti Pd, per tessere la tela delle alleanze. Più di quel che ha concesso – correre da alleati ciascuno con il suo leader o fare le primarie di coalizione – non può. Ma Mdp viene reputata irrecuperabile. Con tutti gli altri, dalla Bonino a Pisapia, fervono i contatti: quando verranno definiti i collegi, si inizierà – spiegano i renziani – a entrare nel dettaglio. E il fischio di fine partita suonerà solo al deposito delle liste.
Il lavoro sotterraneo non basta, incalza Andrea Orlando: “Servono atti concreti o rischiamo di fare la riedizione 2.0 del Psi prima Repubblica”. Orlando è pronto a presentare un documento con Michele Emiliano per incalzare Renzi in direzione. Ma potrebbe servire a poco, perché i numeri sono tutti per il segretario. Renzi ha anche rinsaldato, dopo le incomprensioni degli ultimi mesi, l’asse con Dario Franceschini, che lo accompagna a Ferrara e poi a cena a Ravenna con Riccardo Muti. Anche se chi è vicino al ministro mostra disappunto per uscite come quella di Matteo Orfini (“alleanze non a tutti i costi”).
Le preoccupazioni espresse dalla minoranza democratica ora iniziano però a emergere anche nei ragionamenti dei parlamentari di maggioranza, convinti che il tempo stia per scadere. E a rasserenare il clima non contribuiscono battaglie di Renzi come quella sui vitalizi: i senatori orlandiani minacciano di non votare la legge e denunciano la tentazione dei renziani di chiedere al governo di mettere la fiducia. In un clima del genere, nulla è escluso, neanche la scissione. La evoca Gianni Cuperlo, così: “Se non ricostruiremo l’unità ci ritroveremo di fronte a un bivio e ognuno di fronte a una scelta”.