Con la sentenza di primo grado e le maxi condanne dei presunti responsabili, sembrava ormai una verità "acquisita" quella dello scempio ambientale provocato dalla camorra casalese, in combutta con imprenditori collusi e funzionari pubblici corrotti, ma la decisione dei giudici potrebbe metterla in discussione
Poco meno di due anni fa l’Istituto superiore di Sanità aveva certificato che nella Terra dei Fuochi ci si ammala e si muore di più per diverse patologie collegate in qualche modo allo smaltimento illegale dei rifiuti. Pochi mesi dopo, a luglio, con la sentenza di primo grado e le maxi condanne dei presunti responsabili, sembrava ormai una verità “acquisita” quella dello scempio ambientale provocato dalla camorra casalese, in combutta con imprenditori collusi e funzionari pubblici corrotti, nei comuni di Giugliano in Campania (Napoli) e Parete (Caserta) mediante lo smaltimento incontrollato e illegale in grosse discariche come la Resit di rifiuti urbani e tossici, spesso provenienti dal Nord. Oggi però – come riporta l’Ansa – tutto potrebbe essere messo in discussione, in quanto al processo d’appello in corso a Napoli, la Corte d’Assise ha accolto le richieste dei difensori di alcuni imputati, cui la Procura generale non si è opposta, disponendo una nuova perizia che dovrà accertare se siano effettivamente inquinati i suoli sottostanti alla maxi-discarica ubicata a cavallo tra le province di Caserta e Napoli.
In primo grado la corte d’Assise non aveva mai disposto una propria perizia, affidandosi invece alla numerose consulenze di parte depositate dal pm Alessandro Milita (oggi Procuratore Aggiunto a Santa Maria Capua Vetere) e dalla difesa degli imputati; le prime attestavano la contaminazione di suoli e delle falde acquifere mettendola in relazione con la mancanza di coibentazione delle pareti della discarica, cosa che negli anni avrebbe provocato l’infiltrazione nel terreno di liquidi tossici prodotti dai rifiuti, come il percolato; le consulenze difensive raggiungevano chiaramente risultati opposti, e tutte affermavano che non c’erano elementi certi per provare l’inquinamento dei terreni.
In primo grado però il tribunale partenopeo accolse l’ipotesi accusatoria, condannando il principale protagonista dello scempio, l’avvocato Cipriano Chianese, ritenuto l’inventore delle ecomafie per conto del clan dei Casalesi, a venti anni di reclusione per disastro ambientale e traffico illecito di rifiuti con l’aggravante mafiosa; con Chianese fu condannato a 5 anni e sei mesi di carcere anche l’ex sub-commissario per l’Emergenza Rifiuti Giulio Facchi, stretto collaboratore di Bassolino, per il quale il pm aveva chiesto 30 anni di carcere. Condanne anche per gli imprenditori del clan attivi nel settore dei rifiuti, come Gaetano Cerci (16 anni), i fratelli Elio, Generoso e Raffaele Roma, difesi da Mario Griffo, cui sono stati inflitti pene dai cinque anni e mezzo ai sei anni.
La discarica Resit di Giugliano in Campania, emerse, oltre ad essere usata dalla camorra per i propri traffici di rifiuti tossici dal Nord al Sud, fu utilizzata anche dal Commissariato per l’Emergenza in occasione di uno dei periodi più acuti della crisi rifiuti in Campania, a metà degli anni 2000. Con la nuova perizia i magistrati giudicanti vogliono mettere un punto definitivo sulla contaminazione dei suoli, cosa necessaria per poter confermare l’ipotesi di reati del disastro ambientale; il rischio è che se non si raggiunga una prova certa, la Corte possa ribaltare il verdetto di primo grado lasciando in bianco una pagina inquietante della recente storia campana. Si torna in aula il 17 novembre prossimo per il conferimento dell’incarico peritale ai professionisti, tutti torinesi, Silvia Bonapersona (ingegnere ambientale), Cesare Rampi (chimico) e Stefano Davide Murgese (geologo ambientale).