Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini, Candreva, Florenzi, Jorginho, Parolo, Darmian, Gabbiadini, Immobile, più Belotti, El Shaarawy e Bernardeschi. Allenatore: Gian Piero Ventura. Da oggi, l’uomo più odiato d’Italia: fischiato a bordate prima della partita, bersagliato di insulti alla fine. Italia-Svezia è solo 0-0: la sua nazionale, questa formazione, verrà ricordata nella storia come quella che non si qualificò ai Mondiali di Russia 2018.
Inutili i 73mila spettatori di San Siro, che hanno cantato l’inno di Mameli fino all’ultimo, un paio di aiutini dell’arbitro Lahoz che avrebbe potuto far finire prima l’agonia fischiando almeno un rigore piuttosto netto (forse due), le occasioni sprecate, la maschera gettata al vento da Bonucci, il cuore azzurro che davvero non è mancato. Ma non è bastato. La fortezza dei vichinghi, tutt’altro che inespugnabile se non fosse stata per la scarsa vena di questa nazionale e per il suo percorso segnato, ha retto. Il portiere avversario Olsen ne ha prese tante, ma neanche troppe: molte sono finite di poco fuori, un paio sui legni, una salvata sulla linea. In un modo o nell’altro, non è mai entrata. Ed è soprattutto questo a dare torto a Ventura.
Poi c’è tutto il resto. Una partita giocata con tanto cuore, ma le idee ancora confuse. Prima col solito 3-5-2, poi nel momento della disperazione anche col 4-2-3-1, ma sempre senza Lorenzo Insigne, il calciatore italiano più forte in circolazione su cui il ct aveva impostato tutto il biennio, lasciato inspiegabilmente in panchina per tutti e novanta i minuti della gara decisiva. Con l’azzardo Gabbiadini che non ha pagato neanche un po’, frizzante per dieci minuti e poi evanescente, sostituito dopo un’ora. Le carte della disperazione, come anche Bernardeschi nel finale, sono quasi sempre perdenti. Molto meglio l’oriundo Jorginho in mezzo al campo, che si è sbracciato come un vigile urbano per dare un senso alla manovra azzurra. Decisamente tardivo l’ingresso di El Shaarawy, che a sinistra avrebbe potuto cambiare la storia della doppia sfida. Facile da dire col senno di poi, ma forse anche da capire con quello di prima.
Il piano degli svedesi, invece, ha funzionato di nuovo: palla lunga e tutti sotto a saltare, solo ancor più difensivo, per tutto il secondo tempo senza neppure far finta di giocare o oltrepassare la metà campo. L’Italia stavolta ha provato a rispondere alle rudezze scandinave, ma ci ha messo troppo tempo. Di fatto ha regalato i primi 40 minuti, quelli che avrebbero dovuto fare la differenza, e invece sono stati propositivi, ma lenti e macchinosi. Il finale di primo tempo, cinque minuti da Italia e tre occasioni nitide, una clamorosa con Immobile murato sulla linea da Granqvist, è durato troppo poco. Il secondo tempo è iniziato bene ma mai abbastanza, e poi a un certo punto è finita la benzina. E pure la partita.
Lo 0-0, contro una squadra mediocre e piuttosto scorretta, che in 180 minuti ha tirato mezza volta in porta, ci condanna oltre il dovuto. Ma in fondo quel tiro del carneade Johansson è il destino che questa nazionale si è andata a cercare: se segni sole tre reti nelle ultime sei partite, contro avversari del calibro di Albania, Macedonia, Israele e Svezia, forse è quello che ti meriti. L’Italia, 60 anni dopo la prima e ora non più unica volta, è fuori dai Mondiali. È la fine della disgraziata era Ventura, forse pure di quella Tavecchio. Potrebbe essere stata l’ultima partita di Gianluigi Buffon, che vede sfumare il record del suo sesto mondiale. È la chiusura di un ciclo neanche troppo d’oro. È la Figc che si appresta a perdere 25 milioni di euro e a vivere un terremoto politico ed economico. È l’apocalisse (Tavecchio dixit) del calcio italiano.