La teoria è molto semplice: finita l’era dei Totti, dei Del Piero, dei Vieri, dei Baggio, il movimento calcistico italiano in questo momento storico è capace di proporre campioni di caratura internazionale solo in panchina. Per intenderci: Conte, Allegri, Ancelotti. Per cercare di colmare il gap con le nuove, vecchie potenze del pallone internazionale, un presidente federale non può non pensare di affidare la guida della nazionale a un allenatore di fama mondiale. È l’unica carta da giocare. La controprova non è lontana nel tempo: nell’estate del 2016, con una nazionale dal livello tecnico ancor più mediocre di quello attuale, Antonio Conte (prima mossa dell’allora neo presidente Tavecchio, ndr) è riuscito a portare l’Italia fino ai quarti di finale degli Europei di Francia, battendo nella fase a gironi il Belgio, eliminando la Spagna agli ottavi e cedendo solo ai rigori con la Germania. Organizzazione, motivazione, fare di necessità virtù. In una parola: italianità. Ma Conte è Conte. Ventura è solo un allenatore di buon livello, che mai ha avuto le caratteristiche dello stratega e che mai avrebbe sognato di poter allenare la nazionale. Quando glielo hanno proposto non ha creduto ai suoi occhi. Era il coronamento di una vita, ovviamente ha accettato. Lui, bravo quando le cose vanno bene, raramente capace di far invertire la rotta nei periodi di difficoltà. Tradotto: uomo di campo, ma non di vittoria. La carriera, del resto, parla per lui. Carlo Tavecchio lo sapeva. E ha sbagliato a sceglierlo. Un errore clamoroso, che è costato all’Italia la peggiore figura dai tempi del Secondo Dopoguerra. Solo per questo dovrebbe dimettersi. Si dirà: il ragioniere di Ponte Lambro è stato l’artefice dell’introduzione del Var, con lui la Federazione si appresta a varare alcune riforme attese da anni. Tutto vero. Ma se condanni la nazionale di calcio alla mediocrità, tu stesso sarai ricordato come un presidente mediocre, “l’unico a non qualificarsi ai mondiali dal lontano 1958“.

Un marchio di disonore che il numero uno della Figc dividerà per sempre con l’allenatore da lui scelto. Diciamolo chiaramente: dopo il 3-0 rimediato in Spagna, Gian Piero Ventura è andato totalmente nel pallone. Numeri e sensazioni. Nelle ultime sei partite, l’Italia ha segnato solo tre gol al cospetto di avversari del calibro di Albania, Macedonia, Israele e Svezia. Già questo basta e avanza per una bocciatura senza appello. Giusto, insomma, non andare ai mondiali. Ma c’è di più. Perché oltre allo spettacolo indegno sul campo, l’ex allenatore del Torino è riuscito a far peggio davanti alle telecamere. Dopo la Caporetto in salsa iberica, è stato capace di bofonchiare un “erano davvero troppo forti per noi”. Come un umile allenatore di provincia al cospetto del Real Madrid. Ma sei il ct dell’Italia: non puoi esprimerti con un’arrendevolezza così palese. Ne va dell’autostima di un’intera nazione, offri un messaggio troppo negativo e nessuna prospettiva. E infatti da qui è iniziato il baratro, anche comunicativo. Venerdì scorso la seconda puntata. Dopo la figuraccia di Solna, Ventura ha avuto il coraggio di prendersela con l’arbitro, reo di esser stato troppo indulgente con il gioco maschio degli scandinavi. A eliminazione ormai divenuta realtà, poi, il capolavoro: il tecnico genovese ha disertato la canonica intervista post-partita. Evidentemente non aveva nulla da dire: ha preferito evitare di fare altri danni.

Perché di danni tattici, sia chiaro, Ventura ne ha fatti tantissimi nella doppia sfida contro la Svezia. Innanzitutto la preparazione dei 180 minuti contro quel tipo di avversario. Forsberg e compagni sono forse la nazionale svedese peggiore degli ultimi 30 anni. Una squadra lenta, senza qualità, che si affida esclusivamente alla lotta fisica, lancio lungo e speriamo che succeda qualcosa. Insomma: questo offre il convento di Stoccolma e il loro tecnico a questo si affida, riuscendo a rimanere imbattuto tra le mura amiche per oltre due anni. Per batterli serviva palleggio, fraseggio, manovra, fasce laterali, spirito propositivo. Tattica, ritmo e personalità. Ma niente: non si è visto nulla di tutto questo, specie a Solna, dove la nazionale è apparsa presuntuosa e senza anima. A San Siro, invece, la volontà degli azzurri è stata encomiabile, ha prodotto occasioni da rete ma anche tanta, troppa confusione. Tradotto: niente idee, solo orgoglio. Non sono bastati: è giusto guardare Russia 2018 dalla tv. La speranza, nel frattempo, è che il futuro sia già iniziato. Con un progetto tecnico preciso, un big italiano in panchina e un presidente più moderno e meno gaffeur nelle stanze del potere. Per stasera, invece, dietro Tavecchio e Ventura si vede solo un’ombra: quella di Optì Pobà e di una banana ancor più gialla delle maglie svedesi.

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