L’incubo di non vivere le solite “notti magiche”, in piazza, al bar, ovunque ci sia uno schermo con la partita è realtà. L’aspetto socializzante, quello aggregante che, ogni quattro anni scattava in automatico a ogni edizione dei campionati del mondo di calcio verrà meno nel 2018. Tra il 14 giugno e il 15 luglio noi italiani faremo altro, o comunque, proveremo una sensazione nuova: guardare una competizione senza pathos, più o meno, ma molto in piccolo ciò che successe nel 1992 quando non partecipammo alla fase finale del Campionato Europeo in Svezia (il fatto che le grandi furono bastonate dal miracolo Danimarca alleviò il dolore). L’Italia fuori dal mondiale, dopo 60 anni, è il capolinea di una generazione. I rimasugli di quella che ha vinto il titolo nel 2006, disputato una finale all’Europeo 2012 e fatto vedere ancora qualche cosa buona fino all’era Conte, non bastano più. Quest’altalena di risultati, che solleva e sotterra gli umori azzurri in base al punteggio, è priva di disegno, di progettualità.
Rifondare, azzerare, ripartire, ripensare. In questi e in altri mille modi verrà chiamato quel “nuovo corso” che urge inaugurare quanto prima. Non tutte le “tragedie”, calcistiche s’intende, vengono per nuocere, anche se sono certo che oltre la metà dei tifosi avrebbe preferito l’ennesimo rimando, con un’Italia che magari, fra sofferenze immani, avesse staccato il biglietto per Russia 2018, tanto poi tutto può succedere. In parte è vero, anzi, una squadra disastrata ha spesso tirato fuori orgoglio e risultati insperati ma, fermiamoci alla cruda realtà. L’Italia non ci sarà, e bisogna studiare soluzioni valide a medio/lungo termine per creare un gruppo decente che insegua un disegno solido.
Non m’improvviserò docente in “soluzioni calcistiche”, in giro ce ne sono già milioni, quindi ho semplicemente analizzato i percorsi delle altre big del calcio mondiale che della tragedia hanno fatto tesoro. Un popolo, molto vicino a noi, questa “tragedia” la visse due volte, per di più consecutivamente. La Francia, non si qualificò per i Mondiali del 1990 e del 1994. Ma come, proprio loro che erano reduci dal terzo posto a Messico ’86 ed erano stati campioni d’Europa nel 1984. Sì proprio loro, arrivarono alla fine di un ciclo al termine degli anni 80, la generazione dei Rocheteau, Bossis e Giresse e ovviamente Platini, aveva dato tutto e anche la “spremitura” dei reduci, generò solo delusioni. Dopo due mancate partecipazioni arrivò la prima Coppa del Mondo della storia transalpina (e poi l’Europeo del 2000), un caso? Forse no. Quali furono le mosse che costruirono un futuro ai Bleus? L’11 giugno 1988, in piena crisi d’identità, la federcalcio francese inaugurò il Centro tecnico nazionale Fernand-Sastre (Clairefontaine). Una vera accademia per la formazione dei talenti calcistici francesi. Qualche nome? Nicolas Anelka, Louis Saha, William Gallas, Thierry Henry. Per arrivare ai giorni nostri il nome Kylian Mbappé vi dice qualcosa?
Andiamo oltre: anche i francesi andarono oltre le due mancate qualificazioni mondiali e l’Europeo in Svezia disastroso nonostante in panchina sedesse da tempo l’idolo assoluto Michel Platini. La breve avventura di Houllier che portò alla mancata spedizione a Usa ’94 fu la goccia che fece traboccare il vaso con Libération che all’indomani dell’eliminazione titolò ironicamente: “Francia qualificata ai Mondiali del ’98” (certi solo di essere presenti ai Mondiali successivi poiché paese ospitante). Houiller fu rimpiazzato da Aimé Jacquet, assunto provvisoriamente e confermato solo dopo una striscia positiva di 30 partite. Jaquet, che aveva comunque vinto scudetti sia da giocatore che da allenatore, mica un signor nessuno, puntò su una Francia multietnica accantonando “bandiere” ammainate o appannate dal tempo come Cantona, Jean-Pierre Papin o David Ginola per dirne alcuni. La semifinale agli Europei del 1996 fu l’anticamera dei successivi cinque anni trionfali che ricorderete tutti (Mondiale ’98, Europeo 2000 e Confederation Cup 2001). Jaquet, Lemerre, Domenech furono i tecnici cosiddetti “di federazione” che godettero della rinascita mentre la nuova crisi, inevitabile al cambio della guardia dopo il 2006, è stata gestita ancora con intelligenza e affidata, dopo Laurent Blanc, a Didier Deschamps. Volto felice dell’epoca dei trionfi ma che in quella nazionale aveva iniziato a sgomitare negli anni bui, subendoli perché lo spazio per giocare era ristretto per via dei “senatori” che non mollavano il campo.
Non so se l’esempio può aiutare la nostra nazionale di calcio, imitare i francesi non è mai bello, di solito sono loro a farlo (perdonate un attimo di sano campanilismo) ma apriamo gli occhi e ricalchiamo gli indizi. Creare un’accademia sempre attiva, pensionare i senatori e far sedere in panca un allenatore che ha indossato quella maglia, nei momenti bui e in quelli radiosi. È così difficile ipotizzare qualcosa del genere? Per provare a fare qualcosa di nuovo, adesso, bisogna far sloggiare chi abita ai piani alti e forse proprio per questo, da lassù, non vede bene la partita che si sta giocando.