Da qualche tempo convivo con un dubbio; esternato agli amici di Critica Liberale, con cui finisco sempre – come di prammatica – in disaccordo (secondo la costante per cui ogni liberale è convinto di essere l’unico vero liberale): alle prossime, imminenti, elezioni politiche non sarebbe meglio che la Sinistra si astenesse dal partecipare?
Me lo chiedo sia perché ogni rilevazione conferma l’attuale posizione da terzo incomodo insignificante assunta, tanto dal Pd che – a maggior ragione – dalle formazioni collocate al suo lato mancino, sia per una pur sommaria “prova finestra” della loro reale composizione antropologica.
Ammesso e non concesso che il Pd – o meglio PdR, il Partito Di Renzi – possa ancora essere considerato un soggetto potenzialmente in ripresa, dopo gli schiaffoni dal 4 dicembre alla Sicilia, e – comunque – un soggetto di sinistra; dopo la corsa a perdifiato in senso opposto impostagli dal signore delle tessere che vi spadroneggia (appunto, Matteo Renzi). Infatti, se Destra è conservazione e privilegio, in questo caso dell’establishment, il PdR di tale opzione è l’indiscutibile capofila (ancora più della becero-Destre di Salvini e Meloni); praticata con un’attitudine al maneggio e alla spregiudicatezza proterva che nulla hanno da invidiare al modello berlusconiano.
Sicché, parlando di Sinistra, resterebbero in campo soltanto le sparse frattaglie che vanno dagli incattiviti del Mdp al Campo del pigolante Pisapia, i Nosferatu di Rifondazione e gli “ultima raffica” del SI. Con l’innesto dei presidenti delle Camere quali personaggi in cerca d’autore. Una zattera della Medusa di tipetti in ansia per la propria sopravvivenza, assicurata dalla politica come fancazzismo parolaio, che sancisce la crudele verità di “questa” Sinistra ridotta a manufatto inservibile. Il bagno di coltura di aspirazioni senza le carte in regola, condite dai peggiori vizi appresi nei corridoi della politica politicante: i colpi di mano e le spartizioni come riflesso condizionato di biografie che vanno dai cascami del Sessantotto ai decenni di una ininterrotta involuzione morale.
Merce avariata. Come se ne stanno rendendo conto perfino i cosiddetti “civici”, l’accademico in pectore Tomaso Montanari e la cristiana nipote di Giacomo Mancini, Anna Falcone (con i loro biglietti da visita non proprio il massimo del “secondo moderno”), a lungo illusi che l’intero non-voto potesse essere terra di conquista di una presenza revival del Rosso Antico. Certo, i vecchietti terribili Corbyn e Sanders hanno spazzato via le paraculaggini di Terza Via del duo Clinton-Blair, ma poi la loro pars construens è risultata un campionario del retrò novecentesco.
Il Brancaccio si ferma. Per ripartire. https://t.co/PH8ZnrXao4
— Tomaso Montanari (@tomasomontanari) 13 novembre 2017
Pertanto, date queste valutazioni non mi parrebbe incongruo che quel che resta dell’arcipelago chiamato Sinistra si preparasse a saltare un turno elettorale. Per due ragioni: essudare tutti gli umori cattivi sotto forma di imbarcati-zavorra che sanno solo riprodurre antichi vizi suicidi (un po’ come mio nonno quando metteva in una gabbietta le lumache a spurgare), creare un trauma da nuovo inizio che consenta entrate ed elaborazioni innovative.
Fantapolitica? Indubbiamente, avendo a che fare con professionals della politica ossessionati dal presenzialismo. Gente che – stando alle più accreditate rilevazioni – è comunque destinata ad andare a schiantarsi contro muri ancora più alti di quelli dove ha sbattuto il muso nel recente passato. Sicché, invece di arizigogolare su possibili accrocchi che evitino l’inevitabile (la vittoria alle prossime elezioni di sfasciacarrozze quali il rassemblement destrorso o il Di Maio in bilico tra Pertini e Almirante), sarebbe auspicabile che i liberali critici di sinistra (per intenderci, gli avversari di liberisti e demagoghi) incominciassero seriamente a riflettere su un possibile “dopo” come effettiva discontinuità.