L'ufficio studi di Piazzetta Cuccia ha calcolato che Facebook sulle attività al di fuori degli Stati Uniti ha un carico fiscale che si ferma all’1%. Alphabet, ex Google, paga il 4%. Nel complesso quasi due terzi dell’utile ante imposte dei 21 gruppi del settore è tassato nei Paesi dove la pressione fiscale è inferiore. Contando anche Apple, attiva soprattutto nel software, la cifra sale a 69 miliardi
Tra il 2012 e il 2016 i gruppi del software e del web hanno eluso 46 miliardi di euro di tasse, che diventano 69 se si aggiunge Apple che genera la maggior parte del fatturato nell’hardware. Lo afferma un rapporto dell’ufficio studi di Mediobanca, secondo il quale il risparmio fiscale avviene essenzialmente attraverso l’utilizzo dei paradisi: in Europa soprattutto Irlanda, Olanda e Lussemburgo. Si pensi che Facebook ha un tax rate dell’1% sulle attività al di fuori degli Stati Uniti.
Per le società statunitensi, l’aliquota media risulta del 19,5%, quando quella americana è al 35%. Di conseguenza fuori dai confini nazionali (e in particolare in Europa) pagano molte meno tasse, con un’aliquota media di circa il 10%. Merito della cosiddetta ottimizzazione fiscale: accordi fra la capogruppo statunitense e le sue controllate con sede nei paradisi fiscali. Tutti i gruppi cinesi maggiori, a cominciare da Alibaba e Tencent, hanno sede direttamente nelle isole Cayman.
Dopo Facebook (che destina gli utili ante imposte alle controllate, pari al 49% del totale, soprattutto in Irlanda e a Singapore) nella classifica di chi riesce a pagare meno tasse c’è Alphabet, con un 4% di tax rate all’estero, dove genera il 50% degli utili complessivi. Segue Paypal con il 6% di aliquota media). E’ un trend in crescita: secondo R&S Mediobanca, il settore nel solo 2016 ha risparmiato oltre 11 miliardi di imposte contro i soli 7 miliardi elusi nel 2012.