Secondo i dati forniti dal direttore generale, in Friuli solo il 20,8% delle persone vaccinate da Emanuela Petrillo avrebbe risposto alla vaccinazione, mentre per le altre assistenti sanitarie (operavano in altri giorni) la risposta è stata del 92,5%. L'avvocato della donna: "Siamo di fronte a un licenziamento basato su fatti che devono ancora essere provati"
Licenziata. Dopo mesi di sospetti, indagini della magistratura, accertamenti da parte delle autorità sanitarie, l’Ulss 2 di Treviso ha inviato una raccomandata a Emanuela Petrillo, l’assistente sanitaria accusata di non aver effettuato le vaccinazioni a qualche centinaio di persone, comunicandole che il rapporto di lavoro è stato interrotto. La motivazione? Giusta causa, per non aver rispettato gli obblighi contrattuali legati allo svolgimento della propria attività.
È così giunto a un primo epilogo il clamoroso caso scoppiato la scorsa primavera, quando fu la direzione sanitaria trevigiana a comunicare l’avvio di un’indagine (con conseguente invio di denunce alla magistratura) nei confronti della donna. “Abbiamo licenziato la dottoressa Emanuela Petrillo per giusta causa. È stato un atto dovuto. L’assistente sanitaria aveva un obbligo previsto dal contratto: vaccinare le persone. Non avendo adempiuto a questo obbligo, non è rimasta che la strada del licenziamento”. Così ha spiegato Francesco Benazzi, direttore generale dell’Ulss. E ha aggiunto: “Per onestà, serietà, limpidezza e trasparenza metto in chiaro che il provvedimento è stato adottato in base all’articolo 2119 del codice civile. Tutti gli operatori, nel momento in cui decidono di lavorare per l’Usl, sanno che devono fare le cose richieste dall’Ulss. Se questo non succede, non ci sono tante alternative”.
La decisione è venuta prima che l’iter giudiziario fosse arrivato a qualche conclusione, quando da tempo Emanuela Petrillo era stata trasferita dal centro La Madonnina (dove avvengono le vaccinazioni) negli uffici dello Spisal. Le motivazioni non starebbero tanto nelle presunte mancate vaccinazioni avvenute nella Marca trevigiana, ma alle omissioni accertate quando la donna prestava servizio nell’Ulss 3 dell’Alto Friuli, a Codroipo. Secondo i dati forniti da Benazzi, in Friuli solo il 20,8% delle persone vaccinate dalla Petrillo avrebbe risposto alla vaccinazione, mentre per le altre assistenti sanitarie (operavano in altri giorni) la risposta è stata del 92,5%. A Treviso, invece, si erano registrati altri numeri, con un campione più ridotto: su 30 bambini vaccinati, solo tre avevano tracce di anticorpi, mentre per i bambini vaccinati da altre assistenti, si arrivava a 45 casi su 46 con presenza di tracce di anticorpi. Delle analisi si sono occupati anche i Nas.
La vede in modo diverso l’avvocato Paolo Salandin, che assiste Emanuela Petrillo. “Quando l’ho informata, dopo aver ricevuto le telefonate di alcuni giornalisti, la dottoressa era sotto choc. Non ne sapeva nulla, il postino con la raccomandata è arrivata mezz’ora dopo. E’ un provvedimento assurdo, incredibile. Siamo di fronte a un licenziamento basato su fatti che devono ancora essere provati. Questo lascia perplessi. È una forzatura. Anche l’Ulss aveva inizialmente adottato una linea molto più prudente, decidendo per la sospensione e poi il trasferimento. Qual’è l’urgenza di questo licenziamento? Non poteva reiterare il presunto reato, visto che è stata trasferita di ufficio e di vaccini non ne fa più neanche uno”. I numeri e le statistiche sono contro l’assistente sanitaria. “Questo va appurato dalle indagini o da un processo. Il 20 novembre è prevista la nomina del consulente tecnico incaricato dell’incidente probatorio chiesto dalla Procura di Udine. Sui 75 campioni trevigiani non potranno essere fatte altre verifiche, perché i pazienti sono stati sottoposti a nuove immunizzazioni”. Secondo il legale non bastano i numeri a dimostrare che le vaccinazioni non sono state fatte. “In Italia non esiste la giustizia su base statistica e per condannare servono le prove”.