C’è l’uomo che guidava la sanità ai tempi di Totò Cuffaro e quello che stringeva i cordoni della borsa quando sulla poltrona più alta di Palazzo d’Orleans sedeva Raffaele Lombardo. Il redivivo Vittorio Sgarbi e la faccia più affilata di una rarissima corrente: quella del cuffarismo d’opposizione. Poi ecco una serie di fedelissimi dell’ultima ora: in estate erano ancora sostenitori di Rosario Crocetta, poi hanno cambiato cavallo e adesso sono pronti ad incassare il premio di una scommessa vinta. Sono le facce del nuovo-vecchio governo della Regione Siciliana. Facce importanti, facce che contano, tornate in gioco dopo un lustro di panchina. E a volte neanche quello.

L’ex pm al vertice della burocrazia-  Nei giorni scorsi il neopresidente Musumeci ci ha tenuto a spiegare che il suo “metodo di lavoro sarà improntato ad una effettiva discontinuità, nei comportamenti e nei toni, con il recente passato”. Un’excusatio non petita, l’ennesima di una campagna elettorale segnata dall’imbarazzo legato ai candidati impresentabili. Il bello è che il neogovernatore parla esplicitamente di “recente passato”, senza fare cenno alcuno al “passato remoto”: non è un caso. Il primo nome a filtrare dalle nuove stanze del potere infatti è uno e uno solo: quello di Massimo Russo, ex pm a Palermo, già assessore alla sanità di Lombardo, ora magistrato a Napoli. È a lui che Musumeci vuole affidare l’incarico di segretario generale, cioè la poltrona più importante dell’intera burocrazia regionale. Prenderebbe il posto di Patrizia Monterosso, intoccabile segretario generale degli ultimi sette anni, che ha in curriculum una condanna della corte dei conti: deve restituire un milione e duecentomila euro. Nominata da Lombardo ma in carica anche con Rosario Crocetta, Monterosso ha acquisito lo status di zarina di Sicilia, una sorta di Richelieu in gonnella: farla fuori per Musumeci è un atto simbolico, già annunciato in campagna elettorale.

Importanti, che contano, tornate in gioco dopo un lustro in panchina: sono le facce del nuovo-vecchio governo della Sicilia 
B, Cuffaro e Micciché nel 2002

La giunta: 4 assessori certi – Diverso è il discorso per la giunta: già nelle ore successive alla vittoria, dal comitato palermitano del neo presidente filtravano nomi e modalità da seguire per spartirsi poltrone e incarichi, assessorati e uffici di vertice. In una parola: la torta. Al netto di debiti fuori bilancio ed emergenze contabili, infatti, il nuovo governo regionale riceverà in dote 17,6 miliardi dell’ultimo ciclo settennale di fondi europei (2014-2020), ai quali vanno sommati i 2,3 miliardi del Patto del Sud siglato da Matteo Renzi. Di tutto quel denaro Crocetta è riuscito a spendere soltanto 300 milioni. Gestire il resto del tesoro sarà compito di Gaetano Armao, già assessore al Bilancio di Lombardo e ora pupillo di Silvio Berlusconi che lo ha imposto come vicepresidente designato con delega ai conti. È uno dei nomi praticamente certi del nuovo governo. Poi c’è Roberto Lagalla, ex rettore dell’università del capoluogo, neoeletto in consiglio regionale con la lista di Saverio Romano e già assessore alla Sanità di Cuffaro. “Nello la sanità non gliela dà: sarebbe troppo. Forse la formazione”, commentano dallo staff del neopresidente. Viene sempre dalla lista di Romano un altro assessore in pectore: è Totò Cordaro, avvocato palermitano e consigliere regionale uscente che negli ultimi cinque anni ha incarnato il volto del cuffarismo d’opposizione. Certo di un posto in giunta è poi Vittorio Sgarbi, che ha ritirato la sua candidatura a governatore in cambio della delega ai beni culturali: torna in Sicilia dopo l’esperienza da sindaco di Salemi, conclusa con lo scioglimento per mafia del comune.

Il patto del tre percento – Fin qui i nomi certi. Poi ci sono gli altri: quelli che saranno partoriti da un sistema più preciso del manuale Cencelli. Mentre i giornali parlavano del patto dell’arancino – alla catanese – tra Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, infatti, i partiti siglavano un altro patto, molto più solido: quello del tre percento. A ogni forza politica sarebbe toccato un assessore ogni tre punti percentuali raccolti alle urne. Un sistema che serviva a tutelare anche le liste più deboli ma che è stato messo in crisi dal successo della coalizione. Il centrodestra in Sicilia ha vinto troppo: tutte le formazioni hanno superato lo sbarramento. In alternativa al patto del tre percento, quindi, ecco spuntare la più rigida delle formule matematiche: un assessore ogni tre consiglieri eletti. La coalizione ha eletto 36 parlamentari: il risultato della divisione è 12 che è anche l’esatto numero dei posti in giunta.

Per spartirsi il potere i partiti hanno siglato il patto del 3 percento 
Il ritorno di B per Musumeci 2017
 Il ritorno dei trombati – Una proporzione che crea malumori tra la maggioranza. Forza Italia, infatti, vorrebbe considerare sia Armao che Sgarbi in quota tecnici e liberare così sedie ai non eletti. Come Nino Germanà, escluso a Messina dall’ondata di voti di Genovese junior, ma imparentato con i Ricciardello, ricchissimi costruttori finiti nell’inchiesta sulle tangenti Anas. Spazzato via dai 17mila voti di Genovese è stato anche Santi Formica, vicinissimo a Musumeci, che ora spera di tornare comunque a Palermo dove l’assessore regionale l’ha già fatto: venne condannato dalla corte dei conti al pagamento di 378 mila euro per danno erariale. Denaro che aveva tentato di non pagare facendo confluire tutti i suoi beni in un fondo sull’isola di Jersey, canale della Manica, 2.224 chilometri da casa sua. Condannato dalla corte dei conti a pagare 370mila euro è anche il senatore Antonio Scavone, l’uomo che Lombardo in persona vorrebbe in giunta, mentre l’Udc punta tutto su Mimmo Turano, uno che solo pochi mesi stava col centrosinistraGià assessore nel 2001, Turano è stato un sostenitore del governo Crocetta e ad un certo punto ha pure lasciato l’Udc per rimanere in maggioranza con i centristi di Giampiero D’Alia. In primavera, però, ha sentito odore di sconfitta ed è tornato subito alla corte di Lorenzo Cesa. Intanto dai domiciliari fa sentire la sua voce anche Cateno De Luca, il deputato arrestato 48 ore dopo l’elezione: “Musumeci, se lei oggi è presidente della lo deve anche a me”, scrive su facebook. Spinge per fare l’assessore anche Pippo Gennuso: è uno dei cosiddetti “impresentabili” a causa di un’indagine per truffa ma vuole mettere a frutto i suoi 6.557 voti.


Lo spoil system  – 
E mentre gli alleati litigano per spartirsi le poltrone, Musumeci sta già studiando un altro settore delicato: quello dei dirigenti. L’obiettivo è lo spoil system: a rischiare la poltrona sono soprattutto i tre dirigenti – Rosaria Barresi all’ambiente, Dario Cartabellotta alla Pesca e Patrizia Valenti ai programmi europei – che hanno fatto gli assessori con Crocetta. Poi sarà la volta delle partecipate con Antonio Ingroia che potrebbe lasciare il vertice di Sicilia digitale, la società che si occupa dell’informatizzazione della Regione. “Non ero del Pd con Crocetta, non diventerò di destra con Musumeci. Ma credo che la logica spartitoria degli incarichi, secondo i criteri dell’appartenenza, che ha sempre regnato in Sicilia e nel Paese vada abbandonata”, ha detto di recente l’ex pm, replicando a chi gli contestava di “strizzare” l’occhio alla nuova maggioranza per mantenere il suo incarico.

Forza Italia vuole liberare sedie per i trombati porta voti

Il ritorno di Micciché – Dopo la giunta e le partecipate, la spartizione entrerà dunque direttamente a Palazzo dei Normanni. I consiglieri si insedieranno dopo l’Immacolata, ma la poltrona di presidente dell’Assemblea regionale è stata già rivendicata da un altro volto in bianco e nero: quello di Gianfranco Micciché. L’uomo dei 61 seggi a zero delle politiche del 2001 è tornato a fare il vicerè di Berlusconi sull’isola riportando Forza Italia alla vittoria. Ora vuole tornare a sedere sulla poltrona che fu sua già fino al 2008, dieci anni e un’era politica fa. Il centrodestra, in teoria, ha i voti per eleggerlo subito ma la presidenza dell’Ars viene rivendicata anche dall’opposizione. Il Pd? Nossignore. È il Movimento 5 Stelle che chiede di poter occupare la poltrona più alta di Sala d’Ercole dopo essere stato di gran lunga il partito più votato alle regionali. Come finirà? I maligni suggersicono addirittura che alla fine Micciché potrebbe tornare a fare il presidente dell’Ars anche con i voti del Pd. Ai dem in cambio andrebbe una vicepresidenza in una prova generale di larghe intese che non sembra suscitare alcun imbarazzo. Ma d’altra parte il centrodestra si è ripreso l’isola – in attesa delle politiche – mettendo in scena il più spregiudicato degli esperimenti: andare oltre il Gattopardo. Tomasi di Lampedusa faceva dire a don Fabrizio di Salina che per non cambiare nulla bisognava cambiare tutto? Bene: gli eredi di Berlusconi in Sicilia non hanno cambiato nulla. E basta.

Twitter: @pipitone87

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