Presi dalle polemiche per Gian Piero Ventura che se ne va con 800mila meritatissimi euro per non aver portato l’Italia ai Mondiali e concentrati su Carlo Tavecchio che pensa di sopravvivere asserragliato nel fortino facendosi scudo con la faccia di Carlo Ancelotti, abbiamo colpevolmente dimenticato di raccontare una storia collaterale che spiega assai bene quale abissale differenza corra tra noi e la Svezia, partecipazione a Russia 2018 a parte.
Mentre con una mano esultavano per aver fatto lo scalpo agli azzurri, con l’altra i quotidiani svedesi scrivevano che il signor Mikael Lustig non è proprio degno di vestire quella maglia gialla e di andare a Mosca con i compagni. La condanna del terzino è racchiusa in quattro parole: “Jävla fittor är dom”, un’espressione volgare e omofoba che il 31enne ha pronunciato alla fine dell’inno suonato a San Siro e fischiato da buona parte del pubblico italiano. Rompiamogli il c*** a questi. Una reazione all’incivile, nuova usanza italiana di ricoprire di buuuu il canto nazionale degli avversari. Secondo gli svedesi, Lustig è un esempio per migliaia di giovani e adulti perché veste la maglia della nazionale, quindi certe espressioni che solitamente vengono usate per denigrare la virilità degli uomini non può proprio pronunciarle. Hanno chiamato in causa anche la moglie, per chiederle se tra le mura domestiche il ragazzo è solito usare determinate modalità espressive.
Ora immaginate quanto spazio avrebbe avuto a parti invertite una situazione simile dopo un nostro trionfo nazionale. Avremmo proposto la “legittima difesa” oppure saremmo subito andati a cercare gli amici gay del nostro calciatore, ché sicuramente ne avrà, li frequenta ed è molto affezionato a loro. E poi basta con questo moralismo spicciolo: con l’adrenalina addosso se ne dicono tante, tantissime. Ancora: non ricordate quella volta che Lustig fece quella campagna contro l’omofobia?
Il buon Mikael, quindi, può stare tranquillo. Se a Stoccolma dovessero decidere che quelle quattro parole sono abbastanza perché non metta più piede in campo con la Svezia, qui siamo pronti ad accoglierlo a braccia aperte. Asilo politico. Qualora il prossimo commissario tecnico dovesse preferirgli Florenzi, sappia che può sempre puntare a diventare direttamente il presidente della Federcalcio. Sopravviverà a un linguaggio inappropriato e resterà in sella anche in caso di una mancata qualificazione ai mondiali.