Quello che segue è il primo di una serie di “consigli per gli ascolti” che troverete in questo mio spazio nel prossimo mese. Girando l’Italia nelle giurie di alcuni raffinati premi di canzone d’autore, a volte capita di scovare perle rare e cantautori che per profondità e ricercatezza meritano di essere ascoltati dal più ampio pubblico possibile. Ecco dunque questi miei consigli, sperando che possano incontrare anche il vostro gusto.
Il brano a cui è dedicato questo primo scritto si intitola Badabùm, ed è del cantautore Gerardo Pozzi, già Premio De André e Premio Botteghe d’Autore per il miglior testo.
Su un arpeggio di piano essenziale, l’anima musicale del brano prefigura una sorta di scoppio, una agnizione dovuta al terzinato a ritmo ascendente. “Si parla della difficoltà di sentirsi diversi”, ci dice l’autore. Il racconto del testo è funzionale al fatto di arrivare al momento esatto in cui ci sarà la consapevolezza di far pace con questa diversità: solo allora ci sarà la palingenesi, la rinascita. Ricordo che la prima volta che sentii questo brano mi colpì l’aspetto musicale, per quanto (volutamente) minimale. Non capii perché, lo intuii solamente. In quel terzinato ascendente, ostinato, con parole scandite da un canto che si mette a nudo, accorato ma fermo, profondo, orizzontale e fatale, si vuole evidenziare il nucleo ritmico delle due sillabe atone e dello “scoppio” improvviso della tonica: ta-ta-tà.
È come se le due sillabe atone rappresentassero il momento di inadeguatezza, spazzato via dalla sillaba tonica come in un lampo, come in un baleno. È una sensazione che la musica ci permette solamente di intuire, mentre il testo ce la racconta, denotandola: prima si prefigura nelle strofe e poi deflagra nel ritornello, palesandosi nell’onomatopeico “Badabùm”. È lì che musica e parole si uniscono in un tutt’uno inscindibile, come se il testo andasse incontro all’urgenza connotativa della musica.
Badabùm è una rivoluzione della propria esistenza, il momento in cui tutto cambia, l’artificio e la meraviglia di ciò che succederà da lì in avanti: ciò che forse nemmeno l’io poetico era in grado di immaginare fino a un attimo prima. In quel preciso istante, il protagonista conquista la consapevolezza di decidere del proprio destino e di non inginocchiarsi più alla società, a un mondo di imposizioni, “tantomeno al cospetto di Dio”, capovolgendo anche l’estrema genuflessione del giudice di De André.
Il video è molto riuscito. Scritto e diretto da Michele Pastrello, regista veneto autore di vari videoclip e di micro-movie emozionali, sintetizza le suggestioni del brano, partendo da un aforisma del filosofo greco Epittèto: “Nessuno è libero finché non è padrone di se stesso”. La storia è quella di un uomo e del suo stesso fantasma- raffigurato come un uomo nero- che amorevolmente lo (in)segue ogni giorno, vincolandolo a una vita che non vuole. Il protagonista è l’attore Diego De Francesco, assieme ad Arianna Addonizio e Fabio Benetti. Il cast è completato dalla partecipazione straordinaria della cantautrice Erica Boschiero.
Ecco allora di seguito il videoclip ufficiale del brano, che fa il suo debutto sul web in esclusiva assoluta per il Ilfattoquotidiano.it