Andrà a votare solo un elettore su due.
Al posto dei sondaggi sulle intenzioni di voto bisognerebbe fare i sondaggi sulle intenzioni di non voto: chiedere a chi non vota da quanto e perché. Non lo faranno, non è interesse dei grandi partiti che commissionano i sondaggi, poiché in politica non esiste il boicottaggio.
Le compagnie telefoniche ti tempestano di telefonate se le abbandoni per un altro operatore. Ti promettono sconti e vantaggi per convincerti a tornare. I partiti non lo fanno, perché la quantità di denaro e potere che si spartisce chi arriva in Parlamento non aumenta né diminuisce in funzione di quanti vanno a votare. Quel che conta è spartirsi la torta, nessuno si cura degli elettori delusi, impoveriti dai governi che hanno preferito salvare le banche invece delle persone e le imprese invece dei lavoratori.
Questa sofferenza diffusa si è canalizzata quasi sempre nel rifiuto, nella disillusione, nel non voto. Più raramente nel voto al Movimento Cinquestelle o in quello dichiaratamente reazionario alla Lega, nella convinzione che la novità e la reazione fossero comunque meglio della conservazione dello status quo.
E la sinistra? Non è mai apparsa sufficientemente nuova o non è mai sufficientemente apparsa: quella che andava in tv era rassegnata ad accettare i rapporti di forza, prometteva di mitigare l’ingiustizia, invece di che di combatterla, poiché faceva accordi con quelli che l’ingiustizia l’hanno prodotta attraverso le leggi che hanno votato: il pareggio di bilancio in Costituzione, la legge Fornero, lo Sblocca-Italia, il Jobs Act.
L’altra sinistra – quella che ha sempre avversato questi provvedimenti e quelli che li hanno votati – in tv non viene invitata. Partiti come Rifondazione Comunista o il Partito Comunista che hanno mille volte più militanti, elettori, eletti e sedi di Casapound e che chiedono di cancellare la legge Fornero, vengono ignorati, mentre Di Stefano imperversa in prima serata, essendo funzionale al disegno dei grandi partiti conservatori (“Vota Pd o arrivano i fascisti!”. Una volta era: “Vota Pd o arriva Berlusconi che cancella l’art. 18”. Che nostalgia). A parlare di pensioni si invita la stessa Fornero, ministra di Monti, che quando si è misurato con il consenso elettorale ha racimolati pochi parlamentari per lo più confluiti nel Pd. Per questo Fornero viene invitata in tv e la sinistra che vuole cancellare la sua legge no.
Tra gli elettori di sinistra, la delusione e il conseguente bisogno di una rappresentanza politica alternativa si è andata allargando mano a mano che Renzi cancellava l’articolo 18, minacciava di riformare la Costituzione e la legge elettorale riducendo spazi di democrazia, imponeva 400 ore di lavoro gratuito agli studenti in alternanza.
Per molti tra gli elettori delusi dal centrosinistra le offerte alternative non sono potabili. Preferiscono astenersi piuttosto che votare per Di Maio che minaccia di riformare i sindacati – i sindacati li riformano i lavoratori – e che definisce con disprezzo “taxi del mare” le barche delle Ong che salvano vite umane, così come preferiscono astenersi piuttosto che votare per il Pd di Renzi che difende Marchionne e di Minniti che ha stretto accordi con gli ex trafficanti per trattenere i profughi nei lager libici.
Alcuni elettori di sinistra avevano riposto fiducia nel processo del Brancaccio, esploso per le sue contraddizioni. L’unità a sinistra è fallita per aver inseguito chi invocava il compromesso – un nuovo centrosinistra – prima della svolta radicale, e la svolta radicale solo come ripiego tardivo se proprio non c’erano margini per il compromesso.
In tanti avevano sperato che le ambiguità e le contraddizioni si risolvessero grazie al potere taumaturgico del programma radicale. Si erano illusi che bastasse farlo sottoscrivere a chi ha votato il pareggio di bilancio in Costituzione, la legge Fornero, il Jobs Act, per costruire un partito credibile e attrattivo per quelli che queste riforme le hanno subite e combattute: a patto di chiedere a chi aveva avuto incarichi di governo di non candidarsi.
A pochi mesi dalle elezioni, quel programma era ancora da scrivere, il passo indietro – mai imposto – non è stato fatto, il Brancaccio è saltato.
Ne avevo scritto mesi fa, con Marta Fana, su questo giornale. Continuo come allora, sommessamente, a credere che gli elettori non vogliano una sinistra unita ma una sinistra credibile. Che i voti non si sommano ma si conquistano.
Che la politica sia anche compromesso ma soprattutto coerenza, che sia anche confronto ma soprattutto lotta, che sia anche prudenza ma soprattutto coraggio, slancio, determinazione. Perché se non si è convinti – se si oscilla ogni giorno tra il centrosinistra e il quarto polo – non si è convincenti, e lo ha dimostrato il voto in Sicilia.
Al posto dell’assemblea del Brancaccio, sconvocata dai suoi promotori, domani a Roma ce ne sarà un’altra, alle 11 al Teatro Italia di Via Bari. L’hanno indetta i giovani militanti dell’Ex Opg Je so pazzo e in centinaia stanno aderendo da tutta Italia. Di loro ho scritto qui, per le battaglie a favore dei migranti, e qui, per quelle contro il lavoro nero.
Avevano partecipato alla prima assemblea del Brancaccio, erano stati allontanati dopo che una di loro era salita sul palco per protestare in modo scomposto perché si dava la parola a Miguel Gotor, di Mdp, e non a loro e perché c’era Massimo D’Alema in prima fila: «Come la costruisci la sinistra dal basso con Bersani e D’Alema?!». «Una provocazione», si disse. Anche molto sgarbata. Ma le contestazioni, per essere efficaci, devono indisporre chi viene contestato, perciò sono spesso prive di garbo.
Alla luce di come sono andate le cose, quella contestazione che allora era sembrata fuori luogo (li avrebbero comunque fatti parlare, ma dopo Gotor) appare, nel merito, centrata: Mdp ha avuto più voce in capitolo della “società civile” e ha incoronato leader della lista alternativa al Pd Pietro Grasso, che fino a ieri era nel Pd. Così ha dichiarato Tomaso Montanari, spiegando le ragioni per le quali il Brancaccio è saltato: «I segretari di Mdp, Possibile e Sinistra italiana hanno scelto un leader. E questo ha ‘risolto’ tutti i problemi: nella migliore tradizione messianica italiana. Poi hanno lanciato un’assemblea, che si sta costruendo come una spartizione di delegati tra partiti, con equilibri attentamente predeterminati». I tre segretari hanno sottoscritto un documento escludendo Rifondazione Comunista – sgradita a Mdp – che aveva aderito al percorso del Brancaccio, e lo stesso Montanari che di quel documento, dice, aveva partecipato alla stesura della sola introduzione e riteneva il testo inaccettabile.
Mentre tutto si lacera (diversi esponenti di Sinistra Italiana si sono sospesi dalle cariche: a Firenze, tutti i consiglieri comunali) e monta lo smarrimento e lo sconforto nei militanti, i ventenni dell’Ex Opg propongono di fare comunque l’assemblea, aperta a tutti quelli che vogliono costruire una lista di sinistra alternativa – come volevano e ancora vogliono molti tra i protagonisti del Brancaccio – e che abbia come punto di partenza e non di approdo un programma radicale, in totale contrapposizione con le riforme che hanno impoverito il 99 per cento di noi e arricchito l’un per cento degli altri: «Da troppo tempo ormai la sinistra è lontana dal popolo, si perde in inutili accrocchi invece di risolvere i problemi reali delle persone. L’annullamento dell’assemblea che sabato avrebbe dovuto dare seguito al percorso del Brancaccio, per cui tante e tanti avevano profuso impegno in buona fede, è stata l’ennesima dimostrazione. Noi che siamo stati cacciati dal Brancaccio, vogliamo accogliere tutti, dare modo a tutte quelle forze pulite, alle assemblee territoriali, di riaprire una strada».
Parteciperanno in tanti tra quanti, del resto, avevano già comprato il biglietto del treno. «La storia ci dice che sarà l’ennesimo partitino di sinistra», scrive qualcuno. La storia ci dice anche che una cosa è impossibile finché non arriva qualcuno che la fa.