Giovedì 9 novembre è cominciata la trattativa all’Aran per il rinnovo del comparto “Istruzione e ricerca”, che le parti sperano di chiudere entro fine anno. Possibile cambio di rotta dopo la riforma Renzi-Giannini: meritocrazia e bonus sono i cardini della riforma, spostare le risorse della Legge 107 sul contratto nazionale significa svuotarla di soldi e rinnegarla
Un nuovo contratto per il personale della scuola italiana. Con un aumento in busta paga superiore ai 100 euro, che sommati al mantenimento degli 80 euro di Renzi significherebbe quasi 200 euro in più al mese. È il grande obiettivo, neanche troppo nascosto, dei sindacati, realizzabile solo a patto di portare sul contratto nazionale tutte le risorse (e parliamo di oltre mezzo miliardo di euro) per la Legge 107. Ma farlo significherebbe smantellare definitivamente la tanto contestata “Buona scuola”: stavolta con i soldi, e non solo a parole.
AL VIA LE TRATTATIVE – Giovedì 9 novembre è cominciata la trattativa all’Aran per il rinnovo del comparto “Istruzione e ricerca”, che le parti sperano di chiudere entro fine anno. Una partita nella partita del più generale rinnovo degli statali, la più importante se si considera che tra scuola e università lavora oltre un terzo di tutti i dipendenti pubblici del Paese (solo i docenti assunti sono circa 800mila). Al tavolo i confederali si sono presentati compatti: sentono che fare il colpo grosso è davvero possibile. Un po’ per l’arrivo al Miur di Valeria Fedeli, che in virtù del suo passato da sindacalista si è mostrata più propensa al dialogo, un po’ per il clima da campagna elettorale che rende incline il governo a concessioni. Le risorse, in realtà, non sono tantissime: quelle stanziate all’interno dell’ultima legge di stabilità, 2,85 miliardi per il 2018, dopo i 300 milioni messi in cascina con la manovra per il 2016 e i 900 aggiunti lo scorso anno; più la promessa della “sterilizzazione” del bonus di 80 euro. Cifre che secondo i calcoli del governo dovrebbero garantire un aumento medio pro capite di 85 euro al mese. Ma la scuola ha anche un altro tesoretto da parte: i soldi della riforma Renzi-Giannini.
TESORETTO DA MEZZO MILIARDO – Da due anni, da quando è andata a regime la tanto criticata “Buona scuola”, 200 milioni di euro vengono utilizzati per premiare gli insegnanti più bravi: ad ogni istituto spettano in media 24mila euro a testa, e un comitato diretto dal preside decide a chi e a quanti docenti destinarlo. Poi c’è la “carta del prof”, 500 euro da spendere per l’aggiornamento professionale (o il più delle volte nell’acquisto di tablet o pc), fortemente voluta da Matteo Renzi in persona: sono altri 380 milioni l’anno. In totale parliamo quindi di oltre mezzo miliardo di euro. Spostarlo sul contratto nazionale cambierebbe in maniera significativa i termini del rinnovo.
VANTAGGI A LUNGO TERMINE – In realtà la cifra va diluita nell’enorme platea dei beneficiari: anche con la messa a sistema dell’intero pacchetto dei bonus (obiettivo a dir poco ambizioso), in busta paga ai docenti arriverebbero circa 25 euro al mese netti. Mentre attualmente la carta da sola ne garantisce 500 all’anno (quindi 40 al mese). I vantaggi, però, sarebbero a lungo termine: innanzitutto diventerebbero soldi veri, non più vincolati ad alcune spese. Sommati al rinnovo normale (85 euro) e al bonus Renzi (80 euro), farebbero comunque poco meno di 200 euro al mese, così da estendere anche ai docenti il riconoscimento appena accordato ai presidi (per cui la manovra prevede un aumento di 400 euro). E poi l’accrescimento della massa salariale avrebbe ricadute positive su tredicesima e pensione. “È un’operazione di democratizzazione delle risorse, per non fare più distinzioni tra assunti e precari, docenti di Serie A e di Serie B”, spiega Francesco Sinopoli, segretario della Flc-Cgil. “Vogliamo invertire la tendenza negativa della ‘Buona scuola’, che buona non è, attraverso il nuovo contratto”, gli fa eco Pino Turi della Uil.
LE RESISTENZE NEL PD – Tutto questo, però, va esattamente nella direzione opposta di quanto fatto dal governo negli ultimi tre anni. Meritocrazia e bonus sono i cardini della riforma: spostare le risorse della Legge 107 sul contratto nazionale significa svuotarla di soldi e rinnegarla, forse definitivamente. Per questo la trattativa non sarà semplice: c’è ancora un pezzo del Pd e del ministero che non vuole rinunciare a quella riforma. Senza considerare che, almeno per i soldi della “card”, potrebbe servire un intervento normativo per cambiarne la destinazione d’uso (ora sono esentasse, per l’acquisto di beni e servizi). Ma il clima nel governo e a viale Trastevere è cambiato, e l’atto di indirizzo firmato lo scorso mese non a caso si mantiene molto vago, non dice e non esclude nulla. Il rinnovo del contratto della scuola è tutto da scrivere.
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