C’è una frase a cui Tiziana Ferrario è più affezionata delle altre e che nel suo ultimo libro, “Orgoglio e pregiudizi, il risveglio delle donne ai tempi di Trump” (Chiarelettere) ripete due volte: “C’è un posto speciale all’inferno per le donne che non aiutano le altre donne”. Ci è più affezionata, o forse solo salta più all’occhio in questi giorni in cui (finalmente) il dibattito su molestie e discriminazioni per le donne è tornato sulla scena. La pronuncia la ex segretaria di Stato Usa Madeleine Albright durante la campagna elettorale in sostegno di Hillary Clinton. Quando lo dice, Hillary non ha ancora perso le elezioni e un milione di donne non hanno ancora sfilato per le strade di Washington per protestare contro l’insediamento di Donald Trump. La Albright sarà sommersa dalle critiche: come se avesse voluto dire che chi non la pensa come lei andrà all’inferno. Ma ogni donna, nel suo cuore, sa bene il significato di quelle parole. Diciamolo pure che il libro della giornalista, inviata e conduttrice Rai, arriva nel momento giusto, quando nel dibattito pubblico c’è più bisogno di sedersi intorno a un tavolo e scrivere a che punto sono arrivate le donne. Per la Ferrario, che ha l’occhio attento di chi più volte ha dovuto fare la cronaca della storia, è un vero e proprio “risveglio”, partito negli Usa e capace di arrivare fino a casa nostra. Forse con più fatica e con qualche tentennamento, ma ce la fa. Nel testo si ripercorre una storia americana di parità, di donne che lottano in ambiti che vanno dalla politica al lavoro fino all’esercito o alla scena di Hollywood. Ma soprattutto si parla di futuro: le bambine che siamo state e quelle che saranno.
Il punto zero di questa storia è la sconfitta di Hillary Clinton. 8 Novembre 2016. L’amarezza di non avercela fatta, la solitudine al quartier generale e la consapevolezza che ancora per una donna la strada per arrivare alla presidenza degli Stati Uniti è molto lunga. Di tutti gli aneddoti, vale la pena di bruciarne uno (ma anche di stamparlo a caratteri cubitali sulla parete di casa). La storia di Lily Heinz, sette anni, che dopo aver visto la Clinton in tv ha chiesto alla mamma di poter cambiare il suo nome in Lilary per poter avere più possibilità di diventare presidente Usa. La mamma ha scritto una lettera alla candidata democratica: “Grazie a lei mia figlia può sognare di fare la presidente”, ha detto in sintesi. Si chiama cambio di paradigma, di modo di pensare, di modelli che all’improvviso dallo schermo della tv sanno dirti che “sì, sì può”. Vale la pena rileggersi la cronaca di quella sconfitta, comunque la si pensi. “E’ stata la disfatta dell’intero movimento femminista americano”, scrive Ferrario. Non è esagerato. Quando un politico vince o perde, ci si dimentica di guardare al suo programma. E nel programma della Clinton c’erano paletti che Trump, l’uomo delle discriminazioni, non prenderà mai in considerazione: dalla parità salariale ai permessi parentali. In questa storia sono c’entrati tanto anche i pregiudizi: “Più una donna ha successo ed è ambiziosa, meno piace”, ha dichiarato la Clinton.
Da quel punto zero, che racconta amarezza e disillusione, è iniziato però qualcosa. Ora la sfida è ad esempio per le elezioni di Midterm del 2018: far eleggere più donne possibile, preparare le leader di domani. Il problema è sempre quello: riuscire a riunire più anime. Ce l’hanno fatta Teresa Shook, Bob Bland e Breanne Butler organizzando la marcia contro l’insediamento di Trump il 21 gennaio scorso. Ma il cammino è una salita: si dovrà fare i conti con il 53 per cento delle donne che sostiene il presidente Usa pur, in alcuni casi, dichiarandosi “femminista”, e con chi non riconosce in Hillary Clinton la giusta leadership. Preoccupa quello che potrà essere, dagli interventi legislativi alle priorità nell’agenda pubblica in un’ottica di minaccia alle donne che viene mitigata solo dall’impegno della figlia Ivanka, la first daughter più attiva nella storia della Casa Bianca. La sua credibilità è messa a dura prova dal padre, ma a suo modo ci sta provando a fronte di una matrigna, Melania, che forse più di tutte rischia di essere schiacciata.
A chi ha preso l’eredita del potere negli Usa, Tiziana Ferrario contrappone una carrellata di “cattive ragazze”. Dove il cattive sta per donne forti da cui ripartire. Quindi naturalmente Michelle Obama, l’ex first lady che ha emozionato l’America, ma soprattutto lavorato per Hillary Clinton. Poi Madonna, la rockstar che ha avuto il coraggio di mettere al centro del dibattito la difficoltà “dell’invecchiare” per una donna come una delle ultime frontiere ancora non accettate dalla società. Ancora la senatrice Elizabeth Warren, colei che ha osato chiamare Trump “bullo” e che in tutta risposta si è sentita definire Pocahontas; o la statua della ragazza senza paura davanti a Wall Strett, osteggiata solo perché ritenuta “fuori posto”; infine la tennista Serena Williams che ha chiesto paghe e premi al pari dei colleghi uomini o l’atleta Simone Biles che ha gridato un “siate voi stesse”, ma soprattutto rivendicato a gran voce “non sono la nuova Phelps, ma sono la prima Simone Biles”.
La parità di salario è un altro dei tasselli fondamentali nel lungo ed infinito cammino verso l’uguaglianza. I dati sono analizzati nel dettaglio in una delle parti del libro che più rende la grandezza del problema di cui stiamo parlando: negli Usa nel 2016 le donne hanno guadagnato il 20 per cento in meno degli uomini a parità di impiego. Lo sconforto è facilmente raggiungibile scorrendo la percentuale di donne pubblicata da Linkedin nelle professioni più retribuite: sono il 7 per cento (7!!) dei chirurghi o il 21 dei chief revenue officers. Ferrario ha il coraggio di andare oltre e toccare anche la disastrosa situazione italiana dove ad esempio, secondo Eurostat, siamo all’ultimo posto per “numero di donne manager che in media guadagnano un terzo in meno dei loro colleghi”. Il motivo non è molto difficile da individuare: come segnalato da Tito Boeri lo stipendio delle lavoratrici donne cala del 35 per cento nei due anni successivi alla nascita. Perché manca di tutto, nel nostro Paese, dagli asili nidi ai servizi dell’infanzia. Non tutto è perduto: Ferrario cita il famoso libro “Lean in” di Sherly Sandberg, o meglio l’arte di imporsi e negoziare anche per le donne. E i passi avanti, scrive, esistono e sono concreti.
La giornalista Rai non dimentica, naturalmente, le donne molest(at)e. Mettendo tra parentesi quel “at” quasi a dire che chi infastidisce il sistema poi è condannato a subirne le conseguenze ed essere tacciata per “molesta” a sua volta. Viene quindi ripercorsa l’appassionante storia di Megyn Kelly, tra le poche giornaliste che ebbe il coraggio di fare a Donald Trump una domanda sulle donne durante il primo dibattito elettorale. Ne è seguita una lotta che le ha cambiato la vita, anche in termini di pubblicità e promozioni, e dove la parte più importante è stata la sua capacità di superare l’orgoglio e ripresentarsi davanti a Trump per un’intervista. Perché il lavoro della giornalista è anche quello, spiega: superare gli ostacoli personali per rimettersi a fare il proprio mestiere. Kelly è stata poi, guarda caso, anche tra le prime sostenitrici di Gretchen Carlson, la conduttrice di Fox News che ha denunciato molestie sola contro tutto e tutti. Ferrario scrive quando ancora il caso Weinstein non era scoppiato, e già invoca l’inizio di una battaglia pubblica delle donne contro le molestie sui luoghi di lavoro. La giornalista trova anche il giusto spazio per la presidente della Camera italiana Laura Boldrini: incarnazione di un odio maschilista a prescindere delle ragioni razionali, è vittima e oggetto di tutti gli odi sociali di generazioni di uomini. E proprio a proposito di cattive ragazze, o presunte tali, la giornalista sceglie di pubblicare integrale la lettera di una ragazza stuprata a Stanford, che durante il processo che ha assolto il suo aggressore ha letto un documento. Va letto tutto, non lo si può riassumere: è la voce di una ragazza che si trova a raccogliere le forze per spiegare che se anche era ubriaca “no questo non significava che volesse essere violentata fuori da un campus”. Va spiegato, ancora oggi. E no, non ci credono tutti.
Tiziana Ferrario chiude il libro “Orgoglio e pregiudizi” con il futuro. Con un capitolo che parla delle bimbe che verranno, quelle che, come da esperimento scientifico, si mettono nel gruppo di chi è “disposto ad impegnarsi molto”, mentre i bambini scelgono quello di chi è “very very smart” e se lo dicono da soli. Le bambine sono sempre quelle che non scelgono la scienza e che evitano l’ingegneria o l’informatica. Quelle che poi da grandi saranno costrette a sentirsi spiegare cose di cui sono esperte. E’ pensando a loro che la giornalista parla alle mamme. Lo fa con i decaloghi scritti da donne importanti, ma che vogliono dire tutti una e una sola cosa: siate donne complete, che si amano e credono alla propria libertà, e le figlie sapranno che strada seguire. Che è un po’ come dire, anche a chi mamma non è, che serve alzarsi in piedi per essere modello di chi c’è e di chi verrà. Tiziana Ferrario intanto fa la sua parte.