Semplici chioschi diventati stabilimenti con migliaia di metri quadrati di spiaggia, piccole attività in cui si sono realizzati ristoranti di lusso, piscine e discoteche. Sono il “bottino” per le mafie del litorale capitolino. Il commissario straordinario Domenico Vulpiani ha intrapreso una battaglia legale che punta alla revoca di un terzo delle autorizzazioni. Ma le istituzioni non hanno ancora compiuto i passi formali per rimettere ordine nel settore. Il commissariamento è terminato, ora tocca di nuovo alla politica
Un giro d’affari da 1,4 miliardi di euro cui le istituzioni sono chiamate finalmente a mettere i giusti paletti. Gli stabilimenti balneari di Ostia sono stati (e lo sono ancora) una parte considerevole dell’oro di Roma. Il “bottino” per le mafie del litorale capitolino, capaci finanche di dare vita a faide sanguinose per difendere gli interessi criminali che vi ruotavano attorno. Una partita in cui il clan Spada – salito agli onori delle cronache negli ultimi giorni per l’aggressione di “Robertino” a una troupe Rai – è solo uno dei giocatori in campo. Semplici chioschi diventati stabilimenti con migliaia di metri quadrati di spiaggia, piccole attività in cui si sono realizzati ristoranti di lusso, piscine e discoteche costruiti grazie ad abusi edilizi su cui mai si è accesa l’attenzione dell’amministrazione pubblica. Dune sbancate per realizzare parcheggi, autorizzazioni passate di mano in mano a suon di milioni senza controlli. E ora proprio le concessioni sono al centro del futuro del mare di Roma. Su alcune, ben 25 su 71, il commissario straordinario Domenico Vulpiani ha intrapreso una battaglia legale che punta alla revoca, ma le altre – nonostante gli abusi – sono sfuggite alle maglie legali del prefetto e, finché il Governo nazionale non deciderà se e come applicare la Direttiva Bolkenstein, resteranno in mano agli imprenditori che le hanno detenute finora. Non solo: mentre in città si arriva a sfrattare istituzioni come la Casa Internazionale delle Donne per presunti canoni non pagati, i concessionari revocati del litorale sono quasi tutti ancora al loro posto. Compresi quelli coinvolti nelle inchieste più compromettenti.
LE “BUONE INTENZIONI” DEL NUOVO PUA – Entro i primi giorni della prossima settimana, quando le elezioni saranno concluse e Ostia avrà la sua nuova amministrazione politica, probabilmente il commissario straordinario Domenico Vulpiani si congederà tenendo una conferenza insieme alla sindaca Virginia Raggi, durante la quale verrà presentato nel dettaglio il nuovo Piano di Utilizzo degli Arenili (detto Pua). Oltre a ripristinare i varchi e abbattere il cosiddetto “lungomuro”, il cuore del piano – a quanto ha potuto apprendere ilfattoquotidiano.it – sarà quello di ordinare la demolizione di tutti i manufatti che non abbiano valore storico – dunque realizzati negli ultimi 15-20 anni – e riportare la situazione “all’origine”, ovvero alle planimetrie prima “occultate” dai traslocatori municipali e poi ritrovate da Alfonso Sabella, in un anfratto dell’ex Fiera di Roma all’Eur (quelle su cui si era lavorato prima, invece, secondo il magistrato ed ex assessore portavano la firma del presidente dell’Assobalneari, Renato Papagni). Un obiettivo ambizioso, tenendo conto finora il Municipio è riuscito a ordinare la revoca solo a un terzo dei concessionari attuali, mentre il X Gruppo Mare della Polizia Locale – nella parentesi in cui era guidata da Antonio Di Maggio – di abusi definiti “gravi” ne aveva rinvenuti ben 77 su 71 stabilimenti. A questo atto “formale”, in realtà di concreto è seguito ben poco: i balneari, anche quelli coinvolti nelle inchieste più compromettenti, sono ancora tutti al loro posto. Il motivo? I provvedimenti municipali vengono sistematicamente impugnati di fronte ai tribunali amministrativi. “Stiamo combattendo una battaglia legale a colpi di cavilli, non è facile ma possiamo farcela”, azzardava giorni fa il prefetto Vulpiani.
FRA ABUSI E INCHIESTE – Basta consultare la lista delle concessioni revocate e vedere a chi sono intestate, per farsi un’idea. Abbiamo lo stabilimento Le Dune, assegnato al presidente della Federbalneari, Renato Papagni, che insieme al limitrofo Tibidabo conterebbe ben 51.528 mq di demanio marittimo contro i 22.600 assegnati dalla concessione, come denuncia anche l’Associazione Mare Libero. Poi c’e’ il Kursall, storico stabilimento intestato a Micaela Balini, sorella di Mauro, il presidente del Porto di Ostia arrestato nel 2015 con l’accusa di associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta e riciclaggio: qui i vigili urbani hanno di fatto lasciato in piedi soltanto l’accesso al mare: via la discoteca, il bar, il ristorante, la piscina, il solarium, la palestra e perfino i magazzini adibiti a cabine, spogliatoi e depositi per sdraio e lettini, per un totale di ben 1500 mq di strutture non autorizzate. Riconducibili alla famiglia del patron del porto ci sono gli stabilimenti Hakuna Matata, Kursaal e La Rotonda-Shilling, intestati rispettivamente ai fratelli Laura, Micaela e Fabio: in totale per loro quasi 5000 mq di strutture abusive. Dal punto di vista della superficie, risulta ancora più ampio il sequestro operato a La Casetta, riconducibile ad Annamaria Ancilli, dove gli agenti hanno messo i sigilli a gazebo, tettoie e percorsi non autorizzati. Non solo. Nella lista troviamo stabilimenti storici come il Venezia, il Pinetina-Nuova Pineta e La Rotonda. Chiudono l’elenco Bagni Vittoria, Capanno, Kellis, Marechiaro, Salus, Sporting Beach, Peppino a Mare, CRAL, Mami, Elmi, Battistini, Curvone, Lido Beach, Lido ristorante, La Caletta, La Capannina e La Plaia. L’unico ad aver chiuso davvero sembra essere stato il Med, dell’ex presidente del Sindacato Italiano Balneari, Fabrizio Fumagalli.
I BALNEARI E IL LORO PROGETTO FARAONICO – Dunque, queste licenze quando verranno rimesse a bando? Torneranno sul mercato solo i 25 revocati o tutti i 71 “abusivi”? La verità è che le istituzioni non hanno ancora compiuto i passi formali per rimettere ordine nel settore. Il Governo nazionale è alle prese con la Direttiva Bolkenstein, che finché non verrà recepita con una legge ad hoc lascerà la possibile ai concessionari di ottenere proroghe per tempi indefiniti nonostante – come accade ad Ostia – le loro autorizzazioni siano scadute. Poi c’è la Regione Lazio che non ha ancora approvato la bozza del Pua regionale presentata nel 2016 (e probabilmente non lo farà prima delle elezioni di marzo). Quindi il Comune di Roma, che ha solo avviato l’iter della revoca delle concessioni. Di fatto, “è ancora tutto fermo, non abbiamo ricevuto nulla”, come conferma a ilfattoquotidiano.it proprio Renato Papagni, presidente di Federbalneari e imprenditore teoricamente “revocato”. Proprio per bocca di Papagni, ora i balneari rilanciano con un progetto faraonico: nuove concessioni in cambio di 40 milioni in opere pubbliche. “Abbiamo presentato al prefetto Vulpiani – racconta – un progetto di autodemolizione di parte dei nostri stabilimenti, a cui si aggiunge l’abbattimento a nostre spese del lungomuro, la realizzazione di una pista ciclabile limitrofa alla strada e il restyling di rotonda, pontile e lungomare, per un investimento complessivo di 40 milioni. Ma ci è stato risposto picche. E noi siamo pronti a denunciare tutto questo”. Insomma un Pua condiviso “dove ci si metta in regola e si lavori insieme per il bene del territorio”. Il commissariamento è terminato, ora tocca di nuovo alla politica.