Il candidato dem lancia la difficile campagna elettorale da Milano con lo slogan "Andiamo a cominciare". Annuncia che non si dimetterà da sindaco di Bergamo almeno fino al voto e parla di legalità, sicurezza e autonomia dei territori. Poi contro l'avversario del Carroccio: "Manterremo noi le sue promesse da marinaio e aboliremo il superticket e via le liste d'attesa". In prima fila anche Giuliano Pisapia in segno distensivo nel centrosinistra, assente Renzi
“Andiamo a cominciare”. Giorgio Gori lancia la campagna elettorale per le Regionali della Lombardia facendo il verso alla nota canzone di Rovazzi (“Andiamo a comandare”) nella sala piena dell’auditorium Verdi a Milano, poco meno di 1300 posti a sedere. In prima fila il centrosinistra delle grandi occasioni, addirittura con l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia arrivato per dare segnali di distensione, e con grande assente il segretario Pd Matteo Renzi. Ventidue anni di governo del centrodestra un po’ di paura la fanno. Ma Gori sostiene di vedere il bicchiere mezzo pieno, anche a fronte della difficile lotta che lo aspetta contro il leghista Roberto Maroni: “Forse essere stati per tanto tempo lontani dalla stanza dei bottoni ci ha insegnato qualcosa”. Il primo cittadino di Bergamo strappa applausi e sostegni almeno in casa. Innanzitutto resta fermo sulla sua posizione: non lascerà la poltrona da primo cittadino, almeno non fino al voto nonostante le richieste di M5s e Lega Nord di dimettersi: “Mi farò il doppio del mazzo, perché voglio continuare a fare bene il sindaco e impegnarmi nella campagna elettorale”. Fuori dalla sala dell’auditorium Verdi ci sono i banchetti con le urne della raccolta fondi. Il logo della campagna è una lampadina: una, vera, viene consegnata simbolicamente a Pisapia. L’iniziativa di fundraising è stata lanciata da Maurizio Carrara, presidente del Pio Albergo Trivulzio, storica istituzione milanese che opera nel sociale, e ora anche alla guida del comitato “Per Giorgio Gori”. Proprio lui sale sul palco, nonostante le critiche della Lega Nord che in seguito alla scelta di sostenere il candidato ne hanno chiesto le dimissioni. Ma lui taglia corto: “Le cose belle non si possono fare senza soldi. E comunque sarà tutto rendicontato sul sito del comitato”.
Le parole chiave della giornata sono immigrazione e sicurezza, ma anche sanità, innovazione e, a sorpresa, autonomia. Poi due parole d’ordine: legalità (“la mafia è un cancro”) e laicità (“con me non vedrete più certe scritte sul Pirellone”). Gori dice che “non basta Milano, serve una Regione metropolitana, tutta la Regione”. Importante il tema immigrazione, su cui si giocherà buona parte della campagna elettorale: “Non voglio giocarla in difesa la partita dell’immigrazione, ma all’attacco. Perché siamo noi che ci giochiamo la battaglia per la legalità, l’integrazione e la dignità delle persone, non chi sfrutta la paura e dice ‘tanto meglio tanto peggio'”. La sua proposta è di rendere la Regione protagonista del sistema di accoglienza dei richiedenti asilo, puntando sull’accoglienza diffusa (Sprar) ma senza “parcheggiare per 18 mesi questi ragazzi arrivati dall’Africa”, “oziare è un disastro per loro”, perché se non fanno nulla in attesa dell’esame della loro domanda influiscono negativamente sulla “percezione che i cittadini hanno dell’immigrazione”. Gori immagina l’obbligo di stare “20 ore a scuola e 20 ore al lavoro, a imparare il lavoro degli artigiani”, perché “formazione, lavoro, legalità e integrazione sono un tutt’uno con la sicurezza”. Finora, secondo il sindaco di Bergamo, “sul tema dell’immigrazione la Regione Lombardia ha dato il peggio di sé, rispetto ad altre Regioni: zero regia, zero aiuti, anzi ostacoli ai sindaci che hanno accolto. Siamo stati lasciati soli ad affrontare questo problema”.
Secondo Gori la Lombardia è una regione a vocazione europea, ma “c’è ancora un sacco di lavoro da fare e lo faremo noi”. Il candidato presidente parla di far ripartire l’ascensore sociale, ora bloccato (“Deve diventare indifferente il fatto di essere nato in una famiglia ricca o povera, in città o periferia”), vuole un’istruzione più indirizzata alla ricerca del lavoro (“Servono più istituti tecnici”), ma senza finti stage che nascondono sfruttamenti. Invoca una burocrazia più snella e una riforma dei trasporti pubblici. Sulla sanità, cavallo di battaglia dell’amministrazione leghista, annuncia cure dentistiche gratuite per tutti i bambini e denuncia la mancanza di presidi territoriali. “Va arginato il ricorso agli ospedali per qualunque cosa, non vogliamo più vedere i pronto soccorso intasati e le liste d’attesa fino a 18 mesi per un esame”. Ma soprattutto promette: “Manterremo noi le promesse da marinaio di Maroni: azzereremo le liste di attesa con un piano straordinario e facendo finalmente funzionare il call center regionale. E lo stesso faremo sul superticket, iniquo e controproducente (perché sta portando molte persone a scegliere la sanità privata low cost al posto di quella pubblica), che combatteremo per abolire”.
Poi appunto l’autonomia. Non quella su cui ha il copyright il presidente uscente Roberto Maroni. Piuttosto l’autonomia dei territori, perché la Lombardia “non è solo Milano”. “Non basta un opuscolo per dire che questa regione è speciale – spiega Gori dal palco – Sotto la superficie ci sono tante disuguaglianze, servono politiche che riguardino tutto il bacino padano per favorire uno sviluppo multipolare e valorizzare i territori dimenticati”. All’autonomia leghista e al referendum del 22 ottobre, che tuttavia Gori ha sostenuto, solo un accenno: “Finalmente siamo usciti dalla nuvola della propaganda e parliamo di competenze – continua il candidato presidente – Ma evitiamo che questo diventi l’alibi della Lega per tutto quello che non è stato fatto in questi anni”.
L’ex manager di Mediaset è preceduto sul palco da una serie di interventi che servono a introdurlo. E a delinearlo non solo come politico, ma anche come amico, collega e amministratore. E così si susseguono aneddoti sulla sua gioventù, sulla militanza nel comitato degli studenti socialisti, sull’esperienza da giornalista terminata con il licenziamento da Bergamo Oggi ad opera di Vittorio Feltri. E poi ancora la lode del “metodo Gori”, definito “un gentile martello pneumatico, stakanovista e innovatore” da Niccolò Carretta, il più giovane consigliere comunale della città guidata dal candidato governatore. Tanto che a un certo punto la vicesindaco di Milano Anna Scavuzzo, che modera l’evento, scherza sulla positività di tutti quei ritratti: “Ma non è che stiamo candidando San Giorgio da Bergamo?”.
Gli interventi politici puntano tutti all’unità del centrosinistra e alla necessità di una componente civica nella formazione che sosterrà il candidato. L’appello più diretto e autorevole arriva da Giuliano Pisapia: “Stamattina mi ha chiamato il professor Romano Prodi per dirmi di andare avanti nel tentativo di riunire il centrosinistra”, ha detto a sorpresa il leader di Campo Progressista dal palco, invitando a un riavvicinamento gli scissionisti di Mdp. Che, sfumata l’ipotesi di primarie, non sembrano voler dare il proprio appoggio a Gori. A fianco del sindaco di Bergamo ci sono per ora Partito Democratico, Campo progressista, il Patto civico di Umberto Ambrosoli, socialisti, verdi e Italia dei Valori, a cui potrebbero aggiungersi anche i Radicali. Tra il pubblico della convention si intravedono il ministro Maurizio Martina e il deputato dem Emanuele Fiano, ma l’applauso più lungo e partecipato va all’ex sindaco di Torino Piero Fassino, autore in questi giorni del tentativo di ricompattare la sinistra a livello nazionale. Per Beppe Sala, che ha fatto appello al “grande civismo lombardo”, “Giorgio è di gran lunga il miglior candidato che ci possa essere”.