In principio fu lo storico summit del Grand Hotel delle Palme a Palermo. Da una parte i padrini siciliani, dall’altra i gangster americani, tornati a casa per provare a fare evolvere gli antiquati cugini. Un tentativo riuscito: anche troppo. Poi fu la volta delle assisi collegiali, con votazioni segrete, regole che ambivano alla democrazia, persino incompatibilità tra cariche. Quindi vennero gli anni nerissimi: dalle commissioni si passò ai triumvirati, poi ai capi fantoccio, fino a quando Cosa nostra non divenne semplicemente cosa sua. Sua di Totò Riina, l’ultimo capo dei capi riconosciuto, titolare di un regno lunghissimo: dai primi anni Ottanta, cioè dopo la cosiddetta seconda guerra di mafia, all’esalazione del suo ultimo respiro, il 17 novembre del 2017.
“Se non muoiono tutti e due, luce non ne vede nessuno“, dicevano due boss della storica famiglia di Villagrazia riferendosi a Riina e a Bernardo Provenzano. Tradotto: se non fossero morti entrambi gli anziani padrini, malati e detenuti al 41 bis, Cosa nostra non si sarebbe mai potuta riorganizzare. Ed è per questo motivo che adesso – morti sia Binnu ‘u tratturi che Totò ‘u curtu – osservatori e analisti si interrogano: che succederà dentro Cosa nostra? Sarà subito individuato un nuovo capo per riorganizzare e rilanciare l’organizzazione ridotta ai minimi termini dopo le stragi decise da Riina? O il nuovo superboss è già stato indicato in gran segreto? Ci sarà una nuova stagione di guerra dovuta proprio a una vacatio di potere? O la piovra tornerà all’antica, inabissandosi e tornando a un regime collegiale di gestione degli affari?
Il futuro: una nuova Commissione? – Tutte domande legittime, alle quali corrispondono altrettante opinioni di magistrati, inquirenti e storici, ma che non possono avere per il momento alcuna risposta. In questi giorni successivi alla morte di Riina, però, è la mitologia di Cosa nostra ad avere ripreso il sopravvento. Da più parti si immagina il ritorno della commissione, la Cupola, che dovrebbe essere già pronta ad eleggere il nuovo capo dei capi. Per la verità, però, al momento non c’è alcun elemento investigativo che suggerisca un’ipotesi simile. Una e una sola è la certezza: l’ultima riunione della cupola risale al 15 gennaio del 1993, giorno dell’arresto di Riina. Per risalire alla prima, invece, bisogna andare indietro nel tempo di sessant’anni esatti.
La prima volta: l’hotel delle Palme – È il 12 ottobre del 1957 e a Palermo, nel lussuoso hotel delle Palme di via Roma arrivano degli ospiti particolarissimi: ben vestiti, capelli impomatati, parlano un italiano stentato, pieno di parole americane e qualche traccia di dialetto del Sud Italia. Anche le generalità raccontano di migrazione: accanto a nomi di battesimo inglesi ci sono cognomi italianissimi. Lucky Luciano, Joseph Bonanno, John Bonventre, Carmine Galante, Frank Garofalo, Santo Sorge: nessuno ancora lo sa, ma quei signori distinti sono il gotha di Cosa nostra negli Stati Uniti d’America. Nella hall dell’albergo incontrano un altro gruppo di persone, che però hanno un aspetto molto diverso: indossano giacche di velluto, camicie di fustagno, qualcuno ha anche la coppola. Sono Gaspare Magaddino da Castellammare del Golfo, Vincenzo Rimi di Alcamo, Cesare Manzella di Cinisi , Giuseppe Genco Russo di Mussomeli. Forse c’erano anche i palermitani Salvatore “Cicchiteddu” Greco e Angelo La Barbera: sembrano agricoltori, ma sono i capi delle famiglie mafiose siciliane. Convocati dai cugini d’Otreoceano che sono tornati in Sicilia per avanzare una proposta: entrare nel traffico internazionale di stupefacenti. Alle Palme – come dicono i palermitani – i due gruppi rimarrano quattro giorni, fino al 16 ottobre. Quando lasciano l’hotel è praticamente nata una nuova Cosa nostra: quella che gestirà droga e potere su due continenti praticamente per mezzo secolo. In quei quattro giorni, però, non si parla solo di affari. Gli americani, infatti, propongono ai siciliani di dotarsi di una struttura di vertice come già avviene negli Stati Uniti: la chiamano “Commissione” e serve ad organizzare l’ordine tra le file dei vari clan, risolvendo – quando è il caso – i conflitti interni.
Una struttura segreta svelata solo da Buscetta – Un’idea che piace anche ai siculi. Che infatti costituiscono una loro Cupola: la sua esistenza rimarrà segreta per trent’anni, fino al pentimento di Tommaso Buscetta, il cicerone che condurrà Giovanni Falcone a scoprire il ventre molle di Cosa nostra. È l’accento americano di Buscetta a narrare al mondo la struttura della piovra dall’aula bunker dell’Ucciardone, dove depone al Maxi processo. Solo a quel punto si scoprirà che Cosa nostra è divisa in “famiglie“, ognuna guidata da un capo, detto “rappresentante“, eletto da tutti gli “uomini d’onore“, assistito da un vice e da un “consigliere”. Le elezioni si svolgono ovviamente in gran segreto con gli immancabili pizzini che contengono le preferenze. In ogni famiglia gli uomini d’onore – detti anche “soldati“- sono coordinati, a gruppi di dieci, da un “capodecina“. Due o tre famiglie costituiscono un “mandamento” e i capi-mandamento (anch’essi eletti) fanno parte della “Cupola“, che è il massimo organismo dirigente di Cosa nostra. Nella prima Commissione, quella nata su input degli americani e guidata da Salvatore Greco, vigevano addirittura clausole d‘incompatibilità: il capomandamento scelto da due o più famiglie doveva essere un mafioso minore non un capofamiglia. Un modo per non concentrare il potere in mano a pochi boss.
Guerre e triumvirati – Divieto che salterà presto. E che sarà uno dei casus belli della prima guerra di mafia: i fratelli Angelo e Salvatore La Barbera si risentirono molto quando una serie di boss (come Michele Cavataio o Calcedonio Di Pisa) iniziarono a sommare l’incarico di capo famiglia e capomandamento. Dopo la prima guerra di mafia ecco che Cosa nostra torna a riorganizzarsi: viene nominato un triumvirato per dirimere i dissidi tra le varie cosche. Ne fanno parte Gaetano Badalementi, Stefano Bontate e Luciano Liggio, latitante e spesso sostituito da Riina. Da lì si passerà poi a una seconda commissione, guidata sempre da Badalamenti. È l’inizio della fine. I clan palermitani di Bontate e da Salvatore Inzerillo sono ormai multimiliardari grazie alla gestione in esclusiva degli stupefacenti con gli Stati Uniti. I due boss imperversano all’interno della commissione dove continuano ad essere formalmente eletti dagli uomini d’onore delle rispettive famiglie.
I voti di Bontate, la scalata di Riina – Elezioni che erano una farsa. Almeno stando a quanto confidato nel 2016 da Salvatore Profeta, boss di Santa Maria di Gesù, tornato libero dopo essere stato condannato ingiustamente per la strage di via D’Amelio, e poi nuovamente arrestato dopo pochi mesi. “All’epoca le elezioni si facevano mi pare ogni cinque anni: ma sempre Stefano Bontate acchianava (veniva eletto ndr)”, diceva l’anziano boss intercettato ricordando i tempi passati. Durerà ancora per poco. Il ghigno di Riina è ormai sullo sfondo: prima fa estromettere Badalamenti dalla commissione, poi con gli omicidi Bontate e Inzerillo comincia lo sterminio dei palermitani. È la seconda guerra di mafia, quasi mille morti ammazzatti, tutti o quasi dalla stessa parte: una vera e propria mattanza. Poi, con le acque ormai calme verrà il momento dei prestanome: al vertice della Commissione viene eletto Michele Greco, il Papa di Cosa nostra, ma è solo la testa di legno di Riina, che impera sullo sfondo. Ci vorrà l’arresto del Papa per convincere il capo dei capi a farsi avanti senza farsi scudo con nessuno: si incorona ufficialmente unico imperatore di Cosa nostra, senza votazioni o clausole d’incompatibilità: ci rimarrà per più di trent’anni, fino alla morte. Ora quel posto è libero.
Twitter: @pipitone87
Mafie
Totò Riina morto apre la corsa alla successione. Dall’hotel delle Palme alla Cupola: così la mafia ha scelto i suoi capi
Nei giorni successivi alla morte del boss corleonese, la mitologia di Cosa nostra ha ripreso il sopravvento. Da più parti si immagina il ritorno della commissione, la Cupola, che dovrebbe essere già pronta ad eleggere il nuovo capo dei capi, anche se non c'è alcun elemento investigativo a suggerire un'ipotesi simile. Dalla prima riunione con i cugini americani alla mattanza: ecco la storia degli organismi di vertice della piovra
In principio fu lo storico summit del Grand Hotel delle Palme a Palermo. Da una parte i padrini siciliani, dall’altra i gangster americani, tornati a casa per provare a fare evolvere gli antiquati cugini. Un tentativo riuscito: anche troppo. Poi fu la volta delle assisi collegiali, con votazioni segrete, regole che ambivano alla democrazia, persino incompatibilità tra cariche. Quindi vennero gli anni nerissimi: dalle commissioni si passò ai triumvirati, poi ai capi fantoccio, fino a quando Cosa nostra non divenne semplicemente cosa sua. Sua di Totò Riina, l’ultimo capo dei capi riconosciuto, titolare di un regno lunghissimo: dai primi anni Ottanta, cioè dopo la cosiddetta seconda guerra di mafia, all’esalazione del suo ultimo respiro, il 17 novembre del 2017.
“Se non muoiono tutti e due, luce non ne vede nessuno“, dicevano due boss della storica famiglia di Villagrazia riferendosi a Riina e a Bernardo Provenzano. Tradotto: se non fossero morti entrambi gli anziani padrini, malati e detenuti al 41 bis, Cosa nostra non si sarebbe mai potuta riorganizzare. Ed è per questo motivo che adesso – morti sia Binnu ‘u tratturi che Totò ‘u curtu – osservatori e analisti si interrogano: che succederà dentro Cosa nostra? Sarà subito individuato un nuovo capo per riorganizzare e rilanciare l’organizzazione ridotta ai minimi termini dopo le stragi decise da Riina? O il nuovo superboss è già stato indicato in gran segreto? Ci sarà una nuova stagione di guerra dovuta proprio a una vacatio di potere? O la piovra tornerà all’antica, inabissandosi e tornando a un regime collegiale di gestione degli affari?
Il futuro: una nuova Commissione? – Tutte domande legittime, alle quali corrispondono altrettante opinioni di magistrati, inquirenti e storici, ma che non possono avere per il momento alcuna risposta. In questi giorni successivi alla morte di Riina, però, è la mitologia di Cosa nostra ad avere ripreso il sopravvento. Da più parti si immagina il ritorno della commissione, la Cupola, che dovrebbe essere già pronta ad eleggere il nuovo capo dei capi. Per la verità, però, al momento non c’è alcun elemento investigativo che suggerisca un’ipotesi simile. Una e una sola è la certezza: l’ultima riunione della cupola risale al 15 gennaio del 1993, giorno dell’arresto di Riina. Per risalire alla prima, invece, bisogna andare indietro nel tempo di sessant’anni esatti.
La prima volta: l’hotel delle Palme – È il 12 ottobre del 1957 e a Palermo, nel lussuoso hotel delle Palme di via Roma arrivano degli ospiti particolarissimi: ben vestiti, capelli impomatati, parlano un italiano stentato, pieno di parole americane e qualche traccia di dialetto del Sud Italia. Anche le generalità raccontano di migrazione: accanto a nomi di battesimo inglesi ci sono cognomi italianissimi. Lucky Luciano, Joseph Bonanno, John Bonventre, Carmine Galante, Frank Garofalo, Santo Sorge: nessuno ancora lo sa, ma quei signori distinti sono il gotha di Cosa nostra negli Stati Uniti d’America. Nella hall dell’albergo incontrano un altro gruppo di persone, che però hanno un aspetto molto diverso: indossano giacche di velluto, camicie di fustagno, qualcuno ha anche la coppola. Sono Gaspare Magaddino da Castellammare del Golfo, Vincenzo Rimi di Alcamo, Cesare Manzella di Cinisi , Giuseppe Genco Russo di Mussomeli. Forse c’erano anche i palermitani Salvatore “Cicchiteddu” Greco e Angelo La Barbera: sembrano agricoltori, ma sono i capi delle famiglie mafiose siciliane. Convocati dai cugini d’Otreoceano che sono tornati in Sicilia per avanzare una proposta: entrare nel traffico internazionale di stupefacenti. Alle Palme – come dicono i palermitani – i due gruppi rimarrano quattro giorni, fino al 16 ottobre. Quando lasciano l’hotel è praticamente nata una nuova Cosa nostra: quella che gestirà droga e potere su due continenti praticamente per mezzo secolo. In quei quattro giorni, però, non si parla solo di affari. Gli americani, infatti, propongono ai siciliani di dotarsi di una struttura di vertice come già avviene negli Stati Uniti: la chiamano “Commissione” e serve ad organizzare l’ordine tra le file dei vari clan, risolvendo – quando è il caso – i conflitti interni.
Una struttura segreta svelata solo da Buscetta – Un’idea che piace anche ai siculi. Che infatti costituiscono una loro Cupola: la sua esistenza rimarrà segreta per trent’anni, fino al pentimento di Tommaso Buscetta, il cicerone che condurrà Giovanni Falcone a scoprire il ventre molle di Cosa nostra. È l’accento americano di Buscetta a narrare al mondo la struttura della piovra dall’aula bunker dell’Ucciardone, dove depone al Maxi processo. Solo a quel punto si scoprirà che Cosa nostra è divisa in “famiglie“, ognuna guidata da un capo, detto “rappresentante“, eletto da tutti gli “uomini d’onore“, assistito da un vice e da un “consigliere”. Le elezioni si svolgono ovviamente in gran segreto con gli immancabili pizzini che contengono le preferenze. In ogni famiglia gli uomini d’onore – detti anche “soldati“- sono coordinati, a gruppi di dieci, da un “capodecina“. Due o tre famiglie costituiscono un “mandamento” e i capi-mandamento (anch’essi eletti) fanno parte della “Cupola“, che è il massimo organismo dirigente di Cosa nostra. Nella prima Commissione, quella nata su input degli americani e guidata da Salvatore Greco, vigevano addirittura clausole d‘incompatibilità: il capomandamento scelto da due o più famiglie doveva essere un mafioso minore non un capofamiglia. Un modo per non concentrare il potere in mano a pochi boss.
Guerre e triumvirati – Divieto che salterà presto. E che sarà uno dei casus belli della prima guerra di mafia: i fratelli Angelo e Salvatore La Barbera si risentirono molto quando una serie di boss (come Michele Cavataio o Calcedonio Di Pisa) iniziarono a sommare l’incarico di capo famiglia e capomandamento. Dopo la prima guerra di mafia ecco che Cosa nostra torna a riorganizzarsi: viene nominato un triumvirato per dirimere i dissidi tra le varie cosche. Ne fanno parte Gaetano Badalementi, Stefano Bontate e Luciano Liggio, latitante e spesso sostituito da Riina. Da lì si passerà poi a una seconda commissione, guidata sempre da Badalamenti. È l’inizio della fine. I clan palermitani di Bontate e da Salvatore Inzerillo sono ormai multimiliardari grazie alla gestione in esclusiva degli stupefacenti con gli Stati Uniti. I due boss imperversano all’interno della commissione dove continuano ad essere formalmente eletti dagli uomini d’onore delle rispettive famiglie.
I voti di Bontate, la scalata di Riina – Elezioni che erano una farsa. Almeno stando a quanto confidato nel 2016 da Salvatore Profeta, boss di Santa Maria di Gesù, tornato libero dopo essere stato condannato ingiustamente per la strage di via D’Amelio, e poi nuovamente arrestato dopo pochi mesi. “All’epoca le elezioni si facevano mi pare ogni cinque anni: ma sempre Stefano Bontate acchianava (veniva eletto ndr)”, diceva l’anziano boss intercettato ricordando i tempi passati. Durerà ancora per poco. Il ghigno di Riina è ormai sullo sfondo: prima fa estromettere Badalamenti dalla commissione, poi con gli omicidi Bontate e Inzerillo comincia lo sterminio dei palermitani. È la seconda guerra di mafia, quasi mille morti ammazzatti, tutti o quasi dalla stessa parte: una vera e propria mattanza. Poi, con le acque ormai calme verrà il momento dei prestanome: al vertice della Commissione viene eletto Michele Greco, il Papa di Cosa nostra, ma è solo la testa di legno di Riina, che impera sullo sfondo. Ci vorrà l’arresto del Papa per convincere il capo dei capi a farsi avanti senza farsi scudo con nessuno: si incorona ufficialmente unico imperatore di Cosa nostra, senza votazioni o clausole d’incompatibilità: ci rimarrà per più di trent’anni, fino alla morte. Ora quel posto è libero.
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Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - "Il nostro governo ha scelto di realizzare i termovalorizzatori con risorse pubbliche, stanziando 800 milioni di euro attraverso il Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc). Questo per evitare che il costo di ammortamento potesse ricadere sui cittadini attraverso tariffe esorbitanti. Noi vogliamo evitare questo errore e garantire un sistema sostenibile dal punto di vista economico, ambientale e sociale. Non solo". Così, in un intervento sul Giornale di Sicilia il Presidente della Regione siciliana Renato Schifani. "I termovalorizzatori rappresentano una grande opportunità anche per il nostro sistema energetico- dice -In un periodo storico in cui i costi dell’energia sono sempre più elevati e la transizione ecologica è una priorità globale, trasformare i rifiuti in energia significa rendere la Sicilia più autonoma, ridurre la dipendenza da fonti fossili e creare un sistema. Il nostro cronoprogramma: entro questo marzo/aprile bando per progettazione; entro settembre 2026 inizio lavori (durata diciotto mesi). La Sicilia non può più permettersi di rimanere prigioniera dell’emergenza, della precarietà, dell’inerzia. È il momento di agire con coraggio e senso del dovere".
"Chi si oppone abbia almeno l’onestà di dire chiaramente perché e di assumersi la responsabilità di condannare questa terra al degrado e all’inefficienza- dice Schifani - Non possiamo accettare che il futuro della Sicilia venga bloccato da interessi di parte, da vecchie logiche a volte ambigue. Non possiamo più tollerare un sistema che penalizza i cittadini, le imprese e l’ambiente. La nostra Regione merita di voltare pagina. Merita un futuro fatto di pulizia, decoro e sostenibilità. Noi andremo avanti, con determinazione e con la convinzione che questa sia l’unica strada possibile. Anche se in salita. In tutti i sensi. Perché la Sicilia merita di più".
Palermo,9 mar. (Adnkronos) - "Perché, dopo vent’anni di dibattiti e promesse mancate, ancora oggi qualcuno si oppone alla realizzazione di impianti di termovalorizzazione? L’esperienza europea dimostra che questi impianti sono una soluzione efficiente e sicura per chiudere il ciclo dei rifiuti, trasformando ciò che non può essere riciclato in energia pulita. Eppure, in Sicilia si è continuato a rinviare, mentre le discariche si riempiono e i cittadini pagano bollette sempre più alte per smaltire i rifiuti altrove. È davvero un problema di tutela ambientale? No, perché i moderni termovalorizzatori sono progettati per garantire emissioni praticamente nulle, rispettando i più severi standard europei". Così il Presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, in un intervento sul Giornale di Sicilia. "Parlare di inquinamento è oggi fuori luogo: in molte città del Nord Italia, in Europa e nel mondo, questi impianti convivono con i centri abitati senza alcun impatto sulla qualità dell’aria", dice.
"Forse si vuole difendere il business delle discariche? È un dubbio legittimo. Il sistema attuale, infatti, ha spesso alimentato interessi economici poco trasparenti, in alcuni casi perfino legati alla criminalità organizzata. E di questo ho parlato in occasione della mia audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle ecomafie", conclude Schifani.
Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - "La Sicilia, purtroppo, vive da decenni un’emergenza che sembra diventata strutturale. Il mio governo ha individuato fin dalla campagna elettorale questo come un obiettivo primario, consapevole che la gestione dei rifiuti non è solo un problema ambientale, ma anche sociale ed economico. Abbiamo ereditato una situazione di stallo, con un sistema fondato su discariche ormai al collasso, senza un’efficace pianificazione e con una raccolta differenziata ancora insufficiente. E soprattutto, mancava uno strumento fondamentale: il Piano rifiuti, indispensabile per poter programmare e realizzare qualsiasi intervento strutturale. Lo abbiamo speditamente adottato nel novembre scorso, dopo un grande lavoro di squadra che ha coinvolto vari organi istituzionali preposti al ramo". Così, in un intervento sul Giornale di Sicilia, il Presidente della Regione siciliana, Renato Schifani,.
"Sapevamo che sarebbe stato un percorso difficile, sia dal punto di vista normativo che politico- prosegue - E a volte avvertiamo una condizione di solitudine, nel dover difendere un’idea di sviluppo che dovrebbe essere patrimonio comune, ma che invece incontra resistenze incomprensibili e a volte ambigue. Non cori da stadio, ma silenzi a volte trasversali e imbarazzanti".
"Non è un caso che il tema dei termovalorizzatori in Sicilia sia presente nel dibattito pubblico da oltre vent’anni, senza mai trovare una concreta soluzione- aggiunge Schifani - In tutto questo tempo, mentre in altre regioni italiane e in Europa si realizzavano impianti di ultima generazione per trasformare i rifiuti in energia, in Sicilia si continuava a rinviare, accumulando ritardi su ritardi e lasciando che il problema si aggravasse. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: città invase dai rifiuti, discariche sature, costi di smaltimento sempre più elevati e una dipendenza dall’estero per l’invio della spazzatura che pesa sulle tasche dei cittadini siciliani per oltre cento milioni all'anno". "Ciò che trovo più preoccupante è la rassegnazione diffusa tra i siciliani. Dopo decenni di annunci e promesse mancate, molti ormai non credono più che il cambiamento sia possibile. Ma io dico che questa volta è diverso. Questa volta il governo regionale ha fatto una scelta chiara e irreversibile: realizzare gli impianti e dare finalmente alla Sicilia una gestione moderna ed efficiente dei rifiuti. E per questo obiettivo dedico due pomeriggi al mese per monitorare di persona il percorso, spesso complesso ma che ci sforziamo di velocizzare. Per non parlare dei numerosi ricorsi presentati contro il mio piano per bloccare il tutto. A questi ci opporremo con fermezza e competenza".
Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - I vigili del fuoco del Comando provinciale di Palermo resteranno per tutta la notte tra via Quintino Sella e via Gaetano Daita per tenere sotto controllo l'edificio in cui ieri mattina si è propagato un vasto incendio che ha distrutto l'appartamento all'ultimo piano dell'ex sottosegretario alla Salute, Adelfio Elio Cardinale, e della moglie, l'ex magistrato Annamaria Palma. I due sono riusciti a mettersi in salvo, tutti i residenti sono stati evacuati, un uomo di 80 anni è rimasto intossicato. "Le fiamme sono state circoscritte e non si propagano più. Sono in corso adesso le operazioni di bonifica che consistono nello smassamento della parte combusta e nello spegnimento dei focolai residui. Per tutta la notte sul posto sarà effettuato un servizio di vigilanza antincendio", ha spiegato in serata all'Adnkronos Agatino Carrolo, direttore regionale dei vigili del fuoco della Sicilia, da ieri mattina sul luogo del rogo.
"Abbiamo dovuto tagliare il tetto con le motoseghe. I miei uomini hanno lavorato a 25 metri su un piano inclinato di 30 gradi e abbiamo lavorato con la dovuta cautela. Tagliato il tetto si impedisce alle fiamme di propagarsi. Quindi rimangono da effettuare le operazioni di bonifica, di rimozione del materiale combusto e laddove ci sono dei focolai residui spegnerli. Oltre a questo si prevede di effettuare un'operazione di vigilanza antincendio ceh consiste in un presidio fisico a vigilare lo stato dei luoghi fino a quando non ci sarà più bisogno", ha detto.
E ha aggiunto: "Ci siamo trovati ad operare ad un altezza di 25 metri dal piano di calpestio. Dobbiamo spegnere un incendio importante di un tetto di circa 400 mq di falde e le fiamme sono particolarmente insidiose perché questa combustione è caratterizzata dal cosiddetto fuoco covante ossia una combustione in condizione di sotto ossigenazione che corre nello spazio di ventilazione del tetto. Quindi in superficie non si vede nulla ma ad un certo punto le fiamme affiorano dove è possibile".
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "Non c’è molto da dire, se non che mi vergogno e che mi dispiace molto. Il Pd è germogliato dalle tradizioni più alte e più nobili della storia politica del Paese. Ha nel suo dna l’europeismo. Ed è di tutta evidenza che non può essere questo il nostro posizionamento". Lo scrive sui social Pina Picierno rispondendo alle proteste sui social per il post del Pd sulla questione del piano di Difesa Ue in cui si legge 'bravo Matteo' a proposito delle posizioni di Matteo Salvini.
"Mi vergogno, infatti. E sono allibita", aggiunge la vice presidente del Parlamento europeo.
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "Ma vi siete bevuti il cervello Elly Schlein? Vi mettete a scimiottare Salvini. I riformisti sono vivi? Hanno qualcosa da dire? Paolo Gentiloni, Lorenzo Guerini certificate la vostra esistenza in vita al netto di Pina Picierno e Filippo Sensi". Lo scrive sui social Carlo Calenda, rilanciando un post del Partito democratico sulla questione del piano di Difesa Ue in cui tra l'altro si legge 'bravo Matteo' a proposito delle posizioni di Salvini.
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "In Italia si aggira un tizio - si chiama Andrea Stroppa - che rappresenta gli interessi miliardari e le intrusioni pericolose di Elon Musk. Dopo avere espresso avvertimenti vagamente minatori e interferito sull’attività di governo, questo Stroppa ha insultato due giornalisti, Fabrizio Roncone e la moglie Federica Serra, con il metodo tipico dell’intimidazione". Lo dice il senatore del Pd Walter Verini.
"Esprimiamo solidarietà ai due giornalisti. E ci chiediamo anche cosa aspetti Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio di questo Paese, a far sentire la sua voce contro queste ingerenze, questi attacchi, questi tentativi di intimidazione a giornalisti e giornali”, aggiunge il capogruppo Pd in Antimafia.