Avrei qualcosa da dire sulla trasmissione di Chi l’ha visto e sulla gogna cui è sottoposta la donna che ha dato 30 anni fa in adozione una bambina frutto di uno stupro. Troppo facile prestarsi alle storie lacrimevoli ignorando i risvolti culturali che una storia del genere può scatenare. La conduttrice Federica Sciarelli dovrebbe sapere che una donna che ha dato un bambino in adozione è tutelata da norme precise. Sul sito del ministero della Salute, alla voce “parto in anonimato” è scritto:

“In ospedale, al momento del parto, serve garantire la massima riservatezza, senza giudizi colpevolizzanti ma con interventi adeguati ed efficaci, per assicurare – anche dopo la dimissione- che il parto resti in anonimato. La donna che non riconosce e il neonato sono i due soggetti che la legge deve tutelare, intesi come persone distinte, ognuno con specifici diritti. La legge consente alla madre di non riconoscere il bambino e di lasciarlo nell’Ospedale dove è nato (DPR 396/2000, art. 30, comma 2) affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica. Il nome della madre rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”.

Cosa si pensava di fare, dunque, con la trasmissione di Chi l’ha visto? Trasmissione che viene descritta come servizio pubblico. Cosa si pensava di ottenere, eccetto un No? Sapevano nella redazione della trasmissione che la donna, come scritto nella lettera, aveva detto No anche se convocata in tribunale? E non si sentono mortificati in Rai ad aver obbligato la donna a giustificarsi perfino? Quale pubblico servizio può esserci in una trasmissione che discute di una donna che ha tutto il diritto di restare anonima? Esiste qualcun@ che può informare le donne che hanno fatto la stessa scelta circa le violazioni alle quali sarebbero soggette nel caso in cui il loro diritto all’anonimato rischiasse di essere compromesso? Quanti danni psicologici si creano in una donna che ha dato un bambino in adozione immaginando di poter contare su una legge che poi si pensa di non prendere in considerazione?

Tutto ciò perché la questione deve essere trattata al di fuori della dinamica di opinionisti contro opinionisti che sui social mettono in croce la donna. Non sarebbe dovuta accadere una cosa del genere. Quante donne si sentiranno tutelate, ora, quando qualcuno proporrà loro il parto in anonimato? Non fa parte delle costanti campagne antiabortiste la raccomandazione secondo cui una donna dovrebbe portare a termine anche le gravidanze non volute poiché basterebbe dopo dare in adozione i bimbi partoriti?

Non si parla solo del fatto che nessuno ha il diritto di giudicare questa donna e che lei non sta facendo niente di sbagliato. Si parla del suo diritto a essere lasciata in pace, tanto più che la bambina di allora era frutto di uno stupro. Nei paesi in cui non esiste l’aborto legalizzato, le donne si battono perlomeno per aver diritto all’interruzione di gravidanza in caso di stupro. Non sempre questo viene concesso, perché secondo retorica comune basta fare un figliolo e ci si sente improvvisamente felici come pasque. E’ la donna che deve scegliere liberamente se tenere il bambino o superare il trauma prendendo distanza da tutto, egli incluso.

Quello che va detto chiaramente a tutte le ragazze, donne, che non vogliono tenere i bambini e vogliono darli in adozione è che il loro nome non sarà mai reso noto e che se qualcuno oserà farlo sarà in piena violazione del Dpr 396/2000, art. 30, comma 2. Se domani un’altra trasmissione porterà sul palcoscenico una ragazza alla ricerca della madre biologica è bene che se ne inventi una per creare incontri che catturano consensi, così come avviene anche in altri pessimi show della tv.

La prossima volta chi subirà la gogna mediatica e sui social? Sotto a chi tocca.

Ps: tanta solidarietà alla donna.

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