Il presidente del Municipio di Ostia è stato scelto da un cittadino su tre. Ha ottenuto più meno la stessa quota di consensi che il presidente francese Macron ha guadagnato tra i potenziali elettori. Non è un successo della democrazia rappresentativa, anche se la funzione è di natura esecutiva e il messaggio di ogni astenuto è, tutto sommato, l’indifferenza: non m’importa chi governerà. Una delega in bianco ci può anche stare; soprattutto se si pensa, come Henry David Thoreau, che il miglior governo è quello che governa il minimo, perché la gente disciplina sé stessa.

Nella seconda metà dell’800, il socialismo e l’anarchia nacquero come movimenti antiparlamentari e astensionisti. Sempre Thoreau scrisse che “ogni votazione è una sorta di gioco d’azzardo, come la dama o il backgammon, con una lieve sfumatura morale, un gioco con il giusto e l’ingiusto, con le questioni morali; e naturalmente le scommesse lo accompagnano. Il buon nome dei votanti non è in discussione. Può darsi che io dia il mio voto in base a ciò che considero giusto; ma non è per me vitale che il giusto prevalga. Sono disponibile a lasciare ciò alla maggioranza. L’impegno del voto, dunque, non va mai oltre quello della convenienza”.

L’autore di Stato e Anarchia, Michail Bakunin, pensava che i marxisti “per governo popolare intendono un governo del popolo per mezzo di un numero insignificante di rappresentanti del popolo”. Confutava Karl Marx, per il quale “le elezioni sono una forma politica persino nelle più piccole comunità e nelle cooperative”. Thoreau e Bakunin saluterebbero quindi soddisfatti le alte quote di astensionismo dei nostri giorni?

Non tutti gli anarchici furono astensionisti. Per esempio, Camillo Berneri scrisse nel 1936: “Una volta, a Londra, una sezione municipale distribuì dei bollettini per domandare gli abitanti del quartiere se volessero o no la creazione di una biblioteca pubblica. Vi furono degli anarchici che, pur desiderando una biblioteca, non vollero rispondere al referendum perché credevano che rispondere sì fosse votare. A Parigi e a Londra, degli anarchici non alzavano la mano in un comizio per approvare un ordine del giorno rispondente alle loro idee e presentato da un oratore che avevano calorosamente applaudito… per non votare. Se domani si presentasse il caso di un plebiscito (disarmo o difesa nazionale armata, autonomia degli allogeni, abbandono o conservazione delle colonie, eccetera) si troverebbero ancora degli anarchici fossilizzati che crederebbero doveroso astenersi. Questo cretinismo astensionista e così estremo che non vale la pena di soffermarvici”. L’anno successivo Berneri fu arrestato a Barcellona dai compagni comunisti, al cui fianco stava combattendo nella Guerra di Spagna contro i falangisti del Generale Franco. E fu ucciso assieme all’amico Barbieri, anche lui anarchico.

Perché richiamo qui opinioni così discordanti, sparse lungo il giardino del tempo? Oggi l’astensionismo viene spesso liquidato come un raffreddore della società moderna; anzi, una malattia esantematica che non ha soltanto effetti negativi. Si trascura del tutto il significato politico dell’astensionismo, che riguarda profondamente la questione della democrazia, tra le più importanti che l’umanità dovrebbe affrontare per costruire un futuro sostenibile.

Tra la fine del 700 e il 900 ci si è chiesti a lungo come declinare il concetto di democrazia, dando spesso risposte contraddittorie. Il modello uscito dal dopoguerra sembrava soddisfacente ma, come ogni conquista dell’uomo, non è eterno e i gloriosi trent’anni, l’età del welfare dal 1945 al 1975, sono finiti da un bel pezzo. Nel nuovo millennio il sistema democratico si è involuto in silenzio, senza entrare in nessuna agenda politica se non per l’aspirazione di mitigare il rischio elettorale da parte di chi comanda. Nel frattempo, la tradizionale separazione dei tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) appare sempre più nebulosa, così come le modalità con cui scegliamo chi li esercita.

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