Società

Le favole sono sessiste?

Mi ha colpito un recente articolo apparso su questo giornale nel quale si presentava un progetto mirante ad eliminare le discriminazioni di genere dai libri scolastici, dalle favole, etc. Sebbene lo spirito del progetto sia ineccepibile, la logica mi sembra dubbia. In primo luogo mi sembra dubbio che questo tipo di discriminazione sia intenzionale e recepita come tale dagli studenti. Se in un problema di aritmetica si descrive la spesa che la mamma fa al mercato, è ovvio che l’attenzione è sulle somme e sulle differenze, non sul sesso dell’acquirente, e io ritengo che gli studenti, anche se giovanissimi, lo capiscano perfettamente. Si scriva pure lo stesso problema immaginando che la spesa la faccia il papà ma è dubbio che gli studenti lo noterebbero: l’informazione è completamente irrilevante rispetto ai dati necessari alla soluzione e viene data a titolo descrittivo.

Quanto alle favole, al contrario dei problemi di aritmetica, le eroine sono frequenti e lamentarsi che cavalieri maschi salvino principesse femmine è fuorviante. Ad esempio in Pinocchio la figura buona più rilevante è la Fata Turchina, nel Mago di Oz è Dorotea (e il mago è un ciarlatano), in Cenerentola le figure rilevanti sono esclusivamente femminili, e così via. Se poi si vuole proprio che l’eroina invece che una fata sia una guerriera basta guardare le donne guerriere dell’Orlando Furioso (che a scuola si studia) come Bradamante e Marfisa, o per cercare modelli più recenti, le Mulan e Pocahontas di Disney. Lo stereotipo del cavaliere e della principessa esiste, senza dubbio, come esistono tanti altri stereotipi: è quello che il lettore più o meno si aspetta e si presta a costruire una narrazione che di solito veicola altri significati come le maschere della commedia tradizionale sono caratteri stereotipati che l’autore può usare. Ciononostante l’inversione dello stereotipo, come negli esempi citati è frequente.

Appuntare la propria attenzione sullo stereotipo è fuorviante per due motivi: in primo luogo significa concentrarsi sullo strumento narrativo anziché sulla narrazione. Se in alcune favole c’è un problema questo non sta nella scelta del sesso dei protagonisti, ma nella storia in sé. Ad esempio Pinocchio è premiato quando diventa un suddito obbediente, dopo essere stato punito ogni volta che ha contestato l’autorità, mentre i veri criminali come Mangiafuoco, il Gatto e la Volpe etc. rimangono impuniti e in fondo non sono neppure giudicati. In secondo luogo significa immaginare che lo studente subisca un condizionamento subliminale dagli strumenti narrativi, e presumere la direzione di questo messaggio. Se in un problema di aritmetica la mamma fa la spesa e si chiede quanti soldi le restino nel portafoglio lo studente riceve un messaggio implicante la sottomissione della donna? Nella società moderna fare la spesa è il ruolo principe che la pubblicità assegna al consumatore e il messaggio che lo studente potrebbe leggere è che la mamma gestisce il potere di acquisto.

Il politically correct ci induce a preoccuparci delle reazioni dell’altro di fronte a qualunque stimolo prima ancora che questo altro le abbia manifestate. Noi vorremmo, per political correctness proteggere l’altro, specialmente se minore, da ogni possibile turbamento. Ma i turbamenti sono inevitabili e fanno crescere, mentre la protezione è paternalistica e deve essere messa in atto soltanto a fronte di rischi certi. Inoltre il nostro presumere le reazioni dell’altro si basa spesso sullo stereotipo del protettore, o del nobile cavaliere, e inventarsi un cattivo da combattere dà soddisfazione; ma la battaglia è male intesa e il rischio è quello di creare una generazione di adolescenti (e al limite di adulti) ipersensibili, che scambiano un contrattempo per un sopruso. Infine questa battaglia difende la pignoleria a discapito della comprensione del messaggio e rende la singola parola usata più importante (cioè più criticabile) del significato complessivo del testo: ciò che noi dobbiamo insegnare agli studenti è saper capire un problema e saperlo risolvere, e che chi fa la spesa è irrilevante.