“Caro professore, la sua nota è ingiusta. Mio figlio ha dato il calcio dopo che il compagno gli aveva detto una parolaccia. Non è la prima volta che mio figlio prende note per colpa di altri. Faccia più attenzione”. Un’affermazione di fantasia in questo caso. Ma che a molti insegnanti è probabile sia capitato di ascoltare, in risposta alla loro notazione ai genitori del ragazzo artefice della performance. Molti genitori, certo non tutti, prendono le difese dei figli. Lo fanno ad oltranza. Lo fanno a prescindere, ormai. Già perché finora, almeno alle scuole primarie di secondo grado, in gioco c’era la condotta. Insomma il voto che aveva il potere di mettere in pericolo il passaggio alla classe successiva, la promozione. Ma dopo la firma del decreto che rende operativi i decreti attuativi della legge 107 del 2015 approvati lo scorso aprile, non è più così. La ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli ha proceduto a rendere esecutivo uno dei cardini della cosiddetta “Buona scuola”.
Con quella firma non finisce la politica buonista di tanti genitori nei confronti dei propri figli, ma almeno si risparmieranno lunghe ma alla fine sostanzialmente inutili discussioni nei Consigli di classe. Discussioni naturalmente non con i genitori che, almeno in questo ancora non hanno voce in capitolo, ma tra colleghi. Da un lato i sostenitori del “ma con me si comporta bene” e del “e poi è un ragazzo che ha tante potenzialità”. Dall’altro gli oltranzisti. Quelli che non vogliono derogare a “buona educazione e rispetto reciproco”, alle “regole dello stare insieme”. Una discussione, progressivamente negli anni, sempre più impari. Segnata fin dall’inizio, quasi sempre. Lo sanno bene gli insegnanti, lo sanno ancora meglio i genitori.
Ormai non si bocciava più. Quasi più. E quando accadeva a determinare la decisione non erano le lingue straniere, né matematica e neppure arte e tecnica, tantomeno lettere con le sue materie. Ad incidere spesso era il comportamento. Il voto condiviso dal Consiglio di classe. Al suo posto ora una “valutazione del comportamento con giudizio sintetico e non più con voti decimali, per offrire un quadro più complessivo sulla relazione che ciascuna studentessa o studente ha con gli altri e con l’ambiente scolastico”. Quanto la “valutazione” sia realmente in grado di “offrire un quadro più complessivo sulla relazione con gli altri e l’ambiente scolastico”, qualche ragionevole dubbio esiste. In dubbio non è ovviamente la valutazione, che di per sé costituisce l’esplicitazione di un voto, ma la sua rilevanza. La sua incidenza sul giudizio complessivo dello studente.
Come accade di consueto, anche su questo tema della scuola ci si divide. Tra chi ritiene che disciplina, rigore e serietà siano prerequisiti fondamentali e chi li ritiene delle gabbie. Degli inutili retaggi di un passato oscurantista. Quel che è indubitale, a prescindere dall’appartenza ad una delle due fazioni, è la realtà. Quella non solo attuale, ma più in generale quella dell’almeno ultimo decennio. Anni di “allentamento della disciplina”. Anni nei quali disciplina, rigore e serietà sono diventati quasi inutili. Anzi avversati strenuamente, quasi si trattasse di elementi discriminatori. Come se ogni atteggiamento, ogni azione, ogni reazione fosse lecita. Come se l’occupazione della scuola fosse l’unico antidoto a problemi strutturali dell’edificio. Come se offendere un insegnante fosse giustificabile. Come se provare ad intimorire un insegnante oppure un preside, magari fino a giungere all’aggressione fisica, non fosse poi una grande trasgressione.
Il decreto Fedeli, certo indirettamente, ma con grande efficacia, offre sostanzialmente agli studenti non meritevoli una grande possibilità. Derubricare le loro bravate a goliardate. Ufficializzare che il comportamento non è parte rilevante del processo formativo degli studenti. E’ un vero peccato che si sia perpetrato questo ennesimo colpo all’autorevolezza della Scuola, al suo ruolo di formazione. E’ scriteriato che accada mentre al Miur sostengono di voler puntare sulla lotta al bullismo, alle discriminazioni.
Avanti così, ministra Fedeli!