Il Parlamento aveva iniziato a discutere la procedura di impeachment del presidente, che è stata interrotta dall'annuncio del suo addio. Morgan Tsvangirai, storico leader dell’opposizione: "Ora si vada al voto in modo credibile". Il suo posto sarà preso dal vicepresidente Emmerson Mnangagwa
Il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe si è dimesso inviando, come prevede la Costituzione, una lettera al parlamento. Un passo indietro che arriva dopo il colpo di stato messo in atto dall’esercito la settimana scorsa. Mugabe, 93 anni, era al potere dal 1980 e negli ultimi mesi si erano registrati numerosi scontri e cortei di protesta contro di lui. Alla notizia delle dimissioni, un coro di acclamazioni e giubilo è esploso tra i deputati del Parlamento, mentre migliaia di persone sono scese in piazza a festeggiare. A quel punto lo speaker ha dunque interrotto le procedure di impeachment – avviata dopo la scadenza dell’ultimatum fissato per lunedì 20 novembre alle 11 (ora italiana) – precisando di avere ricevuto una lettera dell’anziano leader con le sue dimissioni “che hanno effetto immediato”. La lettera è stata letta dal presidente del parlamento Jacob Mudenda, che ha spiegato come il prossimo leader sarà scelto entro la fine di mercoledì. Il suo posto sarà preso dal vicepresidente Emmerson Mnangagwa, che resterà in carico fino al termine del mandato che avrebbe dovuto completare Mugabe. Resterà dunque alla guida del Paese fino alle prossime elezioni, che si dovranno tenere entro settembre 2018.
“La mia decisione di dimettermi è volontaria e nasce dalla mia preoccupazione per il bene del popolo dello Zimbabwe e il mio desiderio di assicurare una tranquilla, pacifica e non violenta transizione di potere a sostegno della stabilità della nazione“. Così Mugabe nella lettera di dimissioni.
Dopo 37 anni al potere si chiude l’era del più anziano capo di stato al mondo.
Tra i motivi che hanno portato i militari a prendere il potere anche l’obiettivo del presidente di trasferire il testimone alla seconda moglie Grace, la sua ex dattilografa di 42 anni più giovane, invisa al suo partito, all’esercito e alla popolazione per vari motivi, in particolare per la sua passione per il lusso. Mugabe nei giorni scorsi aveva annunciato le dimissioni che doveva formalizzare in un discorso sulla tv di Stato. Ma circondato dai generali aveva parlato una ventina di minuti senza accennare però a nessun passo indietro. Un gesto che aveva suscitato ulteriori proteste di piazza e la decisione di procedere in Parlamento l’impeachment.
E ora il nodo è quello delle elezioni. Di libere elezioni. Perché quello di Zanu-PF, il partito di Mugabe, è un sistema “basato su gravi abusi dei diritti umani e sulla riduzione degli spazi democratici”, ha detto Morgan Tsvangirai, storico leader dell’opposizione. “Negli ultimi 20 anni abbiamo provato di tutto per rimuovere Mugabe, ma il processo democratico ha fallito”, ha sottolineato il leader del Movimento Democratico per il Cambiamento (Mdc). Ora le dimissioni, ha proseguito, devono portare ad “elezioni libere ed eque”, e serve una situazione che porti ad “elezioni credibili”. Più volte arrestato, brutalmente picchiato dalla polizia, Tsvangirai ha tentato in passato di sconfiggere Mugabe alle urne, in elezioni chiaramente inficiate da brogli e violente intimidazioni contro l’opposizione.
Intanto, mentre in aula si discuteva l’impeachment, centinaia di persone si erano radunate nelle strade antistanti la sede del Parlamento. Con cartelli e bandiere su cui si leggono slogan ‘Mugabe deve andarsene’, i dimostranti hanno manifestato la propria opposizione. Organizzazioni della società civile e collettivi influenti come l’Associazione nazionale dei veterani della guerra di liberazione dello Zimbabwe (Znlwa) avevano invitato a protestare dopo che domenica, quando tutto sembrava indicare che il presidente avrebbe annunciato le sue dimissioni in serata. Cosa che poi non è avvenuta. Altro centro della protesta popolare contro l’ancora presidente è l’università dello Zimbabwe: ieri sono stati sospesi gli esami e oggi gli studenti si erano nuovamente radunati a Harare per manifestare.