Sono lontani i tempi di Woody Allen nelle vesti del maldestro rapinatore nel film Prendi i soldi e scappa. L’assalto alla banca non ha più le connotazioni di violenza e di rapidità che per anni hanno caratterizzato lo spettro degli impiegati allo sportello o degli sfortunati clienti in sala. Trentuno milioni di dollari (a voler essere precisi 30 milioni e 950mila) sono stati sottratti qualche giorno fa dalla cassaforte di una nuova criptovaluta che – nata come Realcoin – è oggi etichettata Tether.
Tutti guardano con ammirazione la crescita pressoché esponenziale del Bitcoin, il cui valore supera ogni giorno nuovi sorprendenti traguardi. Anche i ladri non sono rimasti indifferenti alle prospettive di questa evoluzione e l’episodio è la plateale dimostrazione della capacità adattiva del mondo del crimine, pronto ad adeguare le proprie condotte delittuose in ragione dei mutamenti di contesto.
Le cosiddette cryptocurrency sono nel mirino dei più turbolenti birbaccioni e la dolorosa ammissione di Tether di esser stata rapinata ci dà idea di come tutto stia cambiando. Se in tante città “calde” capitava di leggere “chiuso per rapina” sulle vetrate o le porte girevoli di ingresso di banche ed uffici postali, stavolta l’avviso alla clientela è stato affisso su una pagina web. La startup della monetica virtuale ha poi rimosso il proprio statement (che comunque è stato storicizzato in Rete) per evitare che al danno economico si andasse a sommare quello di immagine, ma il fatto resta.
Nessun sacco sulle spalle, nessuna robusta borsa da ginnastica, nessun pacco: i soldi sono stati portati via grazie alla sottrazione dei “token” elettronici corrispondenti all’importo in questione. L’immaterialità del denaro evita sparatorie, spargimenti di sangue e ogni altra devastante conseguenza “concreta”, ma il risultato in termini di quattrini spariti non cambia.
Il forziere digitale di Tether è stato scassinato il 19 novembre e l’intangibile malloppo è stato catapultato all’indirizzo di un “risparmiatore“ non autorizzato e identificato con l’indirizzo “16tg2RJuEPtZooy18Wxn2me2RhUdC94N7r”. Gli incaricati della sicurezza di Tether hanno ritenuto di pubblicare (e poi di cancellare) l’invito a non accettare trasferimenti di quelle somme. Quei “token” – come accadeva in passato con le banconote – sono “segnati” e qualsivoglia transazione sarà riconducibile alla sottrazione indebita (con ogni conseguenza legale per chi si renderà complice di ogni successivo passaggio di mano del maltolto).
Nel frattempo, le attività finanziarie sono temporaneamente sospese. Sono state anche avviate una serie di iniziative investigative per identificare i responsabili della clamorosa operazione brigantesca e per prevenire future esperienze negative di questa natura. Tra le prime mosse c’è stato il fulmineo aggiornamento del software Omni core utilizzato per le movimentazioni e che – a quanto pare – ha spalancato le porte ai cyber delinquenti.
E’ la storia del recinto e dei buoi scappati. Come sempre si interviene soltanto dopo che è accaduto qualcosa di grave. Mai che qualcuno ci pensi un pochino prima.
@Umberto_Rapetto