L’ex prefetto Francesco Provolo si attivò “troppo tardi” determinando in quel modo che l’unica via di fuga dall’hotel Rigopiano fosse “impercorribile per ingombro neve”. Così per i 40 ospiti e dipendenti dell’albergo fu “impossibile allontanarsi”. Morirono in 29 sotto quella valanga che travolse la struttura. E tutto ciò accadde anche perché, sostiene la procura di Pescara, alcuni funzionari della Regione Abruzzo, responsabili della prevenzione rischi, “non si attivavano in alcun modo” affinché venisse redatta la carta sul rischio valanghe, prevista da un legge del 1992. Una cartina che, dicono gli inquirenti, avrebbe determinato “l’immediata sospensione di ogni utilizzo, in stagione invernale” dell’hotel “fino alla realizzazione di idonei interventi di difesa” anti-valanghe.

Le accuse ai 23 nuovi indagati – Furono svariati gli allarmi ignorati, scrive la procura di Pescara nell’informazione di garanzia notificata ad altre 23 persone per il crollo dell’hotel Rigopiano, collassato lo scorso gennaio dopo essere stato travolto da una valanga. Oltre a Provolo, sono sotto inchiesta cinque funzionari della Regione Abruzzo responsabili della prevenzione rischi e della cosiddetta ‘carta valanghe’ che avrebbe forse evitato la tragedia ma non fu mai realizzata nonostante fosse prevista dalla legge. Non compare invece la funzionaria che scambiò per uno scherzo la chiamata allarmata di un amico delle persone intrappolate nell’albergo. Gli inquirenti – guidati dal procuratore capo Massimiliano Serpi e dal sostituto Andrea Papalia – ipotizzano a vario titolo i reati di omicidio e lesioni plurime colpose per tutta la catena dei soccorsi, che va dagli indagati della prefettura al Comune di Farindola. Alle altre persone sotto inchiesta vengono contestati anche i reati di falso e abuso edilizio.

L’accusa al prefetto: “Non tolse la neve” – Nel dettaglio, i pm contestano a Provolo di essersi attivato “troppo tardi” e in questo modo “ometteva di svolgere tempestivamente il ruolo assegnato dalla legge di coordinamento nella individuazione delle deficienze operative”. In pratica, secondo la procura, l’ex prefetto assieme a due dirigenti “determinavano le condizioni per cui la strada provinciale” fosse “impercorribile per ingombro neve, di fatto rendendo impossibile a tutti i presenti (40 persone tra ospiti e personale) di allontanarsi, tanto più in quanto allarmati dalle scosse di terremoto”.

“Funzionari non si attivarono per la carta valanghe” – È duro anche l’atto d’accusa nei confronti dei cinque funzionari della Regione Abruzzo, responsabili della prevenzione rischi. Secondo gli inquirenti, che ripercorrono tutto l’iter di determine e delibere di giunta tra il 2013 e il 2014, nonostante la Regione avesse emanato nel 1992 una legge in tema di rischio valanghe nella quale era previsto che “venisse redatta una carta di localizzazione del pericolo”, i cinque “non si attivavano in alcun modo” nemmeno “predisponendo apposite, doverose, richieste dei necessari fondi” per realizzarla. E quella carta, sostengono i magistrati, “laddove emanata avrebbe di necessità individuato” a Rigopiano “un sito esposto”. L’assenza ha quindi “fatto sì che le opere già realizzate dell’hotel (…) non siano state segnalate dal locale sindaco”. Non solo, perché quella carta avrebbe anche provocato “l’immediata sospensione di ogni utilizzo, in stagione invernale, del suddetto albergo, fino alla realizzazione di idonei interventi di difesa” anti-valanghe.

Indagati 3 sindaci di Farindola – Erano già sotto indagati, come emerso ad aprile, il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, il presidente della Provincia Antonio di Marco, il direttore dell’hotel, Bruno di Tommaso, il dirigente delegato delle Opere pubbliche Paolo d’Incecco, il geometra comunale Enrico Colangeli e il responsabile della Viabilità provinciale Mauro di Blasio. Nell’ordinanza vengono messe in luce le vicende urbanistiche dell’hotel con l’iscrizione anche dei due sindaci che hanno preceduto Lacchetta, Massimiliano Giancaterino e Antonio De Vico, e che insieme ai dirigenti comunali e al geologo Luciano Sbaraglia hanno permesso la costruzione della struttura, oltre che della proprietà del resort. Gli ex amministratori e dirigenti comunali sono indagati per non aver mai preso in esame di “adottare un nuovo Piano Regolatore Generale, che laddove emanato avrebbe di necessità individuato a Rigopiano un sito esposto a forte pericolo di valanghe sia per ragioni morfologiche che storiche”. Se così fosse stato, sostiene la procura, il Comune non avrebbe potuto rilasciare i permessi per la ristrutturazione dell’hotel, perché in “in presenza di un corretto Prg e di parimenti corretto Piano Emergenza comunale non sarebbe stato possibile rilasciare con conseguente impossibilità edificatoria”.

Così morirono le vittime – Nell’informazione di garanzia notificata agli indagati, sono contenute anche le cause di morte delle 29 vittime del crollo dell’hotel: asfissia, ostruzione vie respiratorie e compressioni del torace, violenti traumi contusivi e da schiacciamento a seguito del crollo della struttura, crash syndrome con compartecipazione di un progressivo quadro asfittico, emorragie subracnoidea traumatica, asfissie da valanga e in presenza di basse temperature.

L’ex generale suicida non era indagato – Non è tra gli indagati, come spiegato già nei giorni scorsi dalla Procura, l’ex generale dei Carabinieri Forestali Guido Conti, che si è suicidato venerdì scorso. In una delle due lettere ai familiari l’ex investigatore protagonista del processo sulla mega discarica di Bussi sul Tirino, in provincia di Pescara, aveva scritto che “da quando è accaduta la tragedia di Rigopiano la mia vita è cambiata. Quelle vittime mi pesano come un macigno. Perché tra i tanti atti ci sono anche prescrizioni a mia firma. Non per l’albergo, di cui non so nulla, me per l’edificazione del centro benessere”. Ma secondo la famiglia non c’è alcun “collegamento diretto e indiretto” tra la sua attività e le vittime dell’hotel travolto dalla valanga.

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