Ignazio Licata, fisico teorico di 59 anni, dopo la laurea in fisica e matematica all'Università di Palermo ha iniziato la sua carriera passando da Parigi e Londra. "Non credo che in Italia avrei avuto lo stesso livello di libertà, ma certamente tornerei a casa se ci fosse una realtà a cui potere dare un valido contributo”. Per ora, dice, "la mia patria è la fisica" e “la precarietà uno stato permanente diffuso”
“Chi sei?”. “Un viandante scientifico”. “E dove vivi?”. “Nella repubblica indipendente e sovranazionale della fisica”. Esiste una categoria di studiosi, che i non addetti ai lavori raggruppano nella generica e fanciullesca espressione di “scienziati”, che non hanno patria ma sono in costante viaggio alla ricerca della risposta – e delle persone – con cui lavorare sui problemi scientifici che stanno analizzando. “Scienziati e studiosi sono figure per vocazione molto meno stanziali di quanto si possa immaginare”. Ignazio Licata, fisico teorico, appartiene a questi migranti della scienza.
“Il filosofo Ernst Bloch diceva: ‘Io abito le mie costruzioni intellettuali’, e sarei tentato di confermarlo. La mia casa è la fisica teorica”. Non avere una fissa dimora, per il fisico 59enne, ha significato innanzitutto rispondere alla domanda: “Come trasporterò i miei libri?”. “Quando questa storia è cominciata mi chiedevo se mi sarei trasformato in uno di quei viaggiatori alla Edward Morgan Forster o alla William Maugham, con troppi bauli al seguito o al contrario senza nulla di personale. Fortunatamente tutto è coinciso con lo sviluppo dell’informatica, e oggi non c’è alcun problema a portarsi dietro tutti i libri e la musica indispensabili alla sopravvivenza”.
Ed ecco quindi Ignazio, con radici siciliane radicate a Trapani, vivere da decenni delocalizzato tra Emirati Arabi, dove insegna fisica e cura un progetto sui materiali quantistici, seminari Al Birla Center, in India, e corsi nella scuola invernale ed estiva di uno dei più antichi osservatori al mondo, il Research Institute for Astronomy and Astrophysics of Maragha (RIAAM) in Iran. “Molti giovani sentono questi spostamenti come una forzatura dovuta al gioco variabile delle opportunità – racconta Ignazio in un caffè di Trieste, dove ha tenuto una conferenza su fisica ed economia, di rientro da un convegno in Germania –. In realtà non è così. Direi che con il tempo si capisce che è stata una scelta anche e non te ne rendevi conto del tutto. Inoltre, credo che un tour di formazione sia indispensabile per un giovane studioso”.
Dopo una laurea in fisica e matematica all’Università di Palermo, dove c’è una grande attività in fisica della materia condensata e astrofisica, e una grande tradizione nella fisica dei raggi cosmici e nell’astronomia a raggi X, ai tempi dell’università diversi professori hanno consigliato a Ignazio di esplorare realtà accademica diverse per approfondire gli aspetti fondazionali della meccanica quantistica e relatività. Prima a Parigi (con Jean Paul Vigier), poi da David Bohm a Londra – dove ha avuto modo di entrare in contatto col premio Nobel Abdus Salam – e infine a Roma (con Giuseppe Arcidiacono). Ecco come inizia una perfetta carriera da viandante scientifico. “Non credo che in Italia avrei avuto lo stesso livello di libertà, ma certamente tornerei a casa se ci fosse una realtà a cui potere dare un valido contributo”. D’altronde, “il tasso di sicilianitudine, prima latente e inconsapevole, ora aumenta con gli anni”. Con questa spinta di ritorno verso i luoghi dove è nato, è con dispiacere che il fisico non vede nelle politiche del Belpaese un progetto per fare rientrare i suoi giovani cervelli in fuga, a differenza che in Cina e in India, per esempio, “dove è stata coltivata la formazione di un paio di generazioni all’estero, per poi creare le condizioni del loro rientro”. In Italia, invece, i giovani continuano a “cercare all’estero migliori opportunità per crescere”, e il meccanismo si interrompe quando non trovano un motivo per tornare nel posto dove sono cresciuti.
Ma essere migrante per amore della scienza obbliga anche ad accettare “contratti stranissimi” un po’ ovunque nel mondo, senza avere nessuna tutela e diventando – oltre che “cittadino del mondo” – “precario del mondo”. “La precarietà è ormai uno stato permanente diffuso” che, per uno scienziato, non può che intrecciarsi con la purezza della sua materia di studio. “È in gioco una battaglia sottile per difendere l’autonomia della scienza in tempi in cui deve dimostrare il potenziale finanziario dei suoi prodotti”. Il rischio intravisto dal fisico teorico 59enne è che “la ricerca di frontiera si estingua”. Quella stessa ricerca che per lui è stata così fruttuosa, portandolo, insieme all’astrofisico Fabrizio Tamburini, a dimostrare – cambiando l’interpretazione di alcuni segnali stellari – l’esistenza della materia oscura.
“Questa è una di quelle cose che credo possa accadere solo ai ‘viandanti scientifici’. Con Fabrizio Tamburini, che ha iniziato sulle tracce di Dennis Sciama, il relatore di Stephen Hawking, ci siamo incontrati a un convegno dove, guarda caso, si discuteva di emigrazione scientifica. Da allora non abbiamo smesso di scambiarci idee”. Ma mentre nel resto del mondo piovono inviti prestigiosi per raccontare le loro scoperta, “in Italia, mi sarei aspettato più reattività da parte dei media”, racconta Licata, lasciando forse trasparire un desiderio di riconoscimento maggiore nel suo paese. “Ma quale patria? La casa è la fisica”, cambia tono lo studioso. Perché questa è solo un’altra storia ordinaria per un viandante scientifico.