Monica è una addetta mensa che lavora da 24 anni nelle mense scolastiche: “In tutti questi anni ho visto molte cose che anche a me non andavano bene e, se una cosa non andava a me, ero la prima a chiamare la ditta e a fermare il pasto. Se la ditta è poco seria ci fa delle ritorsioni a noi dipendenti che non lo immaginate neppure; noi siamo controllati a vista dalle Commissioni mensa, dal comune, dall’Igiene, e la sanificazione di una mensa scolastica è costantemente monitorata. Voglio solo far sapere che la maggior parte di noi, cuoche e addette mensa, lavora con coscienza e passione proprio perché sa che dietro a ogni pasto c’è un bambino.
Io cambierei molte cose sul menù, e su come viene gestito il sistema, proprio perché vedo cosa piace e cosa non piace ai bimbi, ma sono semplicemente una addetta mensa e purtroppo non ho voce in capitolo. Alle Commissioni Mensa mi sento di dire: vigilate sempre, senza essere eccessivi, sapendo che sotto quella cuffietta ci sono delle mamme che lavorano, e che vigilano a loro volta”. Monica è ciò che fa ogni giorno, di qui non si scappa.
E io chi sono? Io sono Viviana, certo. E lo sono prima ancora d’esser commessa, delegata sindacale, “scrittrice per passione”; ma oggi sono anche funzionaria della Filcams Cgil di Genova, in prestito, un ruolo che vivo come una missione perché tale è nei fatti, e che mi permette di poter raccontare qualcosa che trova sempre troppo poco spazio mediatico.
È da giugno di quest’anno che mi ritrovo catapultata in un contesto vorticoso e costantemente messo in discussione, quello della ristorazione collettiva, che è scolastica ma non solo; eppure si (s)parla solo di quest’ultima…. ci sarà dietro qualche arcano motivo indicibile, che io oggi ipotizzo ed esplicito? La politica? Un partito? La conferma di questa “ipotesi” si può trovare nella strumentalizzazione di certe notizie e osservando ad esempio il bilancio eclatante e drammatico che ci arriva da Torino con migliaia di pasti persi all’interno delle scuole. Un “gioco” pericoloso per tutti.
Che la ristorazione scolastica sia un sistema da rigovernare è un dato oggettivo, ma la soluzione non può essere quella di distruggere un servizio proponendo altro disordine, e soprattutto non può essere quella che deresponsabilizza le istituzioni, propinando il “fai da te” del panino, lasciando il campo a quell’individualismo che è già uno tra i mali del nostro tempo.
Se iniziassimo davvero a indignarci per la sopravvivenza del bene comune per una collettività costruttiva, l’indignazione e gli allarmismi sulla refezione scolastica dovrebbero scattare, attraverso anche una pressione mediatica che invece, soprattutto su ciò che sta a monte, trovo più latitante, e quindi sulle gare d’appalto, sulla loro durata (quali investimenti pensiamo possano essere fatti dentro un appalto di 15 mesi?), sulle basi d’asta, sugli sconti che le aziende fanno al ribasso e le istituzioni accettano (anche se adesso si chiama “offerta economicamente più vantaggiosa” che fa “meno brutto”). Dovrebbe scattare quando sentiamo, e non fa notizia, di stipendi e liquidazioni non pagate, di contratti retrodatati, esuberi gonfiati, corsi haccp non retribuiti, assistenze sanitarie sconosciute ai lavoratori in deroga al Contratto Collettivo.
Un contratto collettivo scaduto da quattro anni. Poi arriviamo alla blatta, senza sminuirla, ma sapendo che non è la blatta il problema nei nostri refettori. È la conseguenza estrema e non quotidiana (per fortuna), mentre quotidiano è lo sfruttamento di chi ci lavora. La soluzione non è il panino, o il contenitore con la frittatina fredda. Non lo è perché distrugge un principio di uguaglianza dentro cui i nostri figli dovrebbero crescere, e siamo noi a doverglielo garantire; non lo è perché non è educativo, né salutare per loro.
Le soluzioni “facili” hanno le gambe corte come le bugie. E se vogliamo raccontarcele ce le raccontiamo, ma io credo che se ci caliamo nella realtà, senza favoleggiare di centri cottura e cucine spaziali. Nel frattempo è necessario essere realisti e iniziare partendo dal fatto che intanto, mentre si favoleggia, e ve lo dico “tera tera”, il ministero e i comuni devono iniziare a “cacciarci più soldi”.
Le delibere che sdoganano il panino a scuola, sono l’ennesima sconfitta di istituzioni e cittadini, una deriva culturale che diseduca i nostri figli e mette a rischio migliaia di posti di lavoro.
Voglio dire un’ultima cosa su questo mondo assurdo, ma pieno di persone che mi stanno arricchendo, e la voglio dire al nostro governo. Questi lavoratori, per lo più lavoratrici donne, delle mense scolastiche, industriali e ospedaliere, arrivano a cinquant’anni che sono sfasciate, devastate da un lavoro estremamente pesante. Troppo sane per la pensione di invalidità, spesso troppo malate per essere considerate idonee al lavoro dai medici aziendali, in un limbo che non lascia scampo: reddito zero. È lavoro usurante, e tale deve essere considerato anche ai fini pensionistici.