Un clic di mouse e l’ordine è fatto. A casa non resta che rimanere in attesa di ricevere il pacco, in arrivo magari già l’indomani. Ma subito dopo la nostra scelta, nel magazzino Amazon di Castel San Giovanni (Piacenza) dove i sindacati hanno indetto uno sciopero proprio per il Black Friday portatore di migliaia e migliaia di clic, qualcuno inizia a muoversi a passo spedito per raggiungere lo scaffale dove il prodotto è stoccato. Con il ritmo scandito dal display della pistola scanner che guida il picker, il lavoratore che raccoglie i prodotti, tra i 100mila metri quadrati del capannone. Qualcuno lo chiama runner, perché qui quella che conta è la rapidità. “Il tempo massimo che hai a disposizione è indicato sulla pistola. Se lo superi, arriva una segnalazione al manager che ti chiede conto del motivo”, spiega Federica Benedetti, segretaria di Piacenza e Parma della Fisascat, il sindacato del commercio della Cisl. “È solo un modo per efficientare il processo – ribatte Elena Cottini, Operations Pr manager di Amazon -. Il display indica la distanza dal prossimo prodotto. Per esempio che è a 15 secondi da qua. Cosa che non vuol dire che tu hai 15 secondi per prenderlo”.
Coperta la distanza di 15 secondi, fa niente se di solito la si misurerebbe in metri e non in secondi, il picker trova l’oggetto da prelevare in mezzo ad altri che non c’entrano nulla, perché lo stoccaggio segue un criterio casuale: quello che arriva dai camion dei fornitori viene messo sui primi scaffali vuoti, senza settori riservati a seconda del genere di merce. Preso il prodotto, lo mette in un carrello insieme agli altri segnalati dallo scanner. E quando è finito porta tutto a un nastro trasportatore. Le cose prelevate andranno a chi le impacchetta ed etichetta. Al picker, invece, tocca ripartire per una nuova raccolta.
“I ritmi di lavoro sono eccessivi – sostiene Benedetti -. I lavoratori non vanno considerati macchine solo perché lavorano ad Amazon. Viene richiesta una produttività che non è possibile mantenere e ci sono diversi casi di stress e attacchi di panico, tanto che stiamo cercando di prendere contatti con psicologi per fornire ai lavoratori un tipo di servizio che non ci è mai capitato di dover offrire. Di solito siamo abituati a fare convenzioni con cinema, teatri e librerie, non con psicologi”. Quello che i sindacati mettono sotto accusa sono soprattutto le condizioni di lavoro: “Chi non garantisce la produttività richiesta riceve pressioni. O un feedback negativo, come lo chiamano. Se questo non è sufficiente, viene invitato a un confronto all’americana one to one dove gli si fa capire che questa non è un’azienda che fa per lui”. E così, uno dei grandi vanti di Amazon, i 1.800 dipendenti a tempo indeterminato che lavorano a Castel San Giovanni, secondo Benedetti è un valore solo sulla carta: “Sono a tempo indeterminato nella forma, ma nella realtà sono a scadenza, perché costretti prima o poi a lasciare quando non riescono più a reggere il ritmo”. Parole a cui da Amazon ribattono con un numero: “Solo il 2,55% dei dipendenti fissi lascia il posto ogni anno”.
Secondo i sindacati l’adesione allo sciopero tra i lavoratori a tempo indeterminato del primo turno ha superato il 50%. Numeri che vengono smentiti dalla società, per la quale la percentuale di persone assenti in mattinata, comprese quelle malate, è del 10%. Scarsa l’adesione tra i lavoratori interinali, quelli con il badge verde appeso al collo: nei momenti di picco come quello natalizio possono arrivare a 2.200, con la speranza di vedere un giorno il loro cartellino virare sul blu, il colore del tempo indeterminato che uno sciopero, chissà, potrebbe rendere per sempre irraggiungibile.
Oltre allo stress, sostengono i sindacati, i lavoratori sono spesso colpiti da problemi fisici per colpa di azioni ripetitive a cui sono costretti, per di più al ritmo imposto dal mantra dell’efficienza: ernie, dolori a schiena e collo, infiammazioni al tunnel carpale. “C’è per esempio una postazione tra due rulli – dice Benedetti – dove l’addetto sposta 20mila pacchi al giorno, da un rullo all’altro. Sempre con lo stesso movimento”. Ventimila nel senso di tanti e tanti pacchi? “Ventimila – conferma la sindacalista Fisascat -. Lo segnala uno schermo lì davanti. è una catena di montaggio come quelle della Ford ai primi del Novecento”.
Da ristabilire, secondo Benedetti, c’è un limite di sopportabilità dei ritmi di lavoro. Dopo di che andranno discussi anche altri aspetti dell’organizzazione del lavoro, come la gestione dei turni: “C’è gente che fa solo il turno di notte. E gente che fa solo quello del pomeriggio, dalle 14.30 alle 22.30, cosa che non gli consente mai di vedere i figli a casa. Non capiamo perché l’azienda ad alcuni imponga questo orario”. E poi ci sarà da entrare nel merito di alcuni aspetti del contratto, come l’introduzione di un premio di produttività.
Istanze a cui finora Amazon ha ribattuto, come fatto in un’intervista a Repubblica da Salvatore Schembri Volpe, direttore Operazioni del magazzino, che “gli stipendi sono perfettamente in linea se non superiori a quelli previsti dai nostri concorrenti nel settore della logistica (i dipendenti del magazzino hanno il contratto del commercio e guadagnano circa 1.200 euro al mese su 14 mensilità, ndr)”. Per poi aggiungere: “Rispettiamo tutto quello che è previsto dal contratto nazionale del lavoro. Anzi garantiamo una serie di tutele in più rispetto a quelle previste dalle normative. Ad esempio una forma di assicurazione sanitaria gratuita a tutti i dipendenti e benefit supplementari come polizze integrative sulla vita e in caso di incidente, sconti sui prodotti acquistati sul portale Amazon e buoni pasto”. Parole che però Benedetti contesta: “Lo sconto sui prodotti Amazon, pari a 100 euro, è concesso solo a fronte di una spesa di mille euro, e nemmeno su tutti i prodotti. E per quanto riguarda assicurazione sanitaria e polizza vita, in busta paga è indicato in una terza colonna un valore figurativo, che non rappresenta né un dare né un avere, e la cosa non è mai stata né pubblicizzata né spiegata ai dipendenti, tanto che nessuno sa utilizzarle”.