di Stefano Lenzi
E’ difficile pensare che il bolognese ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, ma soprattutto il ferrarese ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo Dario Franceschini ignorino i contenuti dell’emendamento al disegno di legge di Bilancio 2018, presentato dai membri della Commissione Ambiente del Senato, che vuole creare un parco fantasma sul Delta del Po. Emendamento, irricevibile, perché estraneo alla materia economico-finanziaria della Manovra 2018, per ora accantonato, ma di cui proprio in questi giorni in Commissione Bilancio a Palazzo Madama si decide il destino definitivo.
Sì, è proprio difficile che in ambienti governativi non si sappia nulla. Infatti, era il 16 novembre 2015, passati da poco tre mesi dal riconoscimento del Delta del Po come riserva MaB (Man and Biosphere) Unesco del Delta, quando il ministro Franceschini convocava negli uffici del suo Ministero i governatori Bonaccini (Emilia Romagna) e Zaia (Veneto), nonché il ministro Galletti a discutere di come trovare una strada, qualsiasi fosse, per garantire una governance unitaria che l’Agenzia dell’Onu richiedeva.
Che il Delta del Po abbia bisogno di una governance unitaria non c’è dubbio, perché i due parchi regionali istituiti da decenni (quello emiliano romagnolo da 29 anni e quello veneto da 20) non sono riusciti sinora a garantire un’efficace tutela della più grande zona umida italiana – che ospita oltre 300 specie di uccelli, 40 specie di mammiferi e 25 tra anfibi e rettili – né a contrastare il diffuso bracconaggio ittico e venatorio, che l’ha fatta classificare da Ispra (l’istituto di ricerca e protezione ambientale del Ministero dell’ambiente) come black spot a livello nazionale. Anzi, ci sarebbe bisogno di un forte, consapevole e attrezzato ente di riferimento capace di salvaguardare un territorio, tra acqua dolce e salata, tra terra e mare, all’altezza delle nuove minacce derivanti dai cambiamenti climatici, che provocano l’innalzamento del livello delle acque del mare, l’alternarsi di fenomeni siccitosi e di precipitazioni improvvise, irruenti e localizzate, che hanno riflessi rilevanti sull’equilibrio idrogeologico della parte terminale del più grande fiume italiano.
E invece di indicare con chiarezza la strada della istituzione di un parco naturale nazionale, previsto dalla legge quadro sulle aree protette (legge n. 394/1991) e quindi atteso da 26 anni, dopo che è fallita l’ipotesi dell’area protetta interregionale, ecco che il genio italico, prima con l’articolo 27 del disegno di legge di riforma della legge 394/1991, al momento fortunatamente agonizzante al Senato, ed ora con un emendamento alla Manovra 2018 si prefigge l’obiettivo di creare un “parco”, né carne né pesce, di cui non si capisce quali siano gli obiettivi e l’assetto e che non si può fregiare né della qualifica di vero parco nazionale, né di quella di parco interregionale.
Come un elefante in un negozio di cristalleria, i membri della Commissione Ambiente del Senato sono riusciti a fare il miracolo di presentare una proposta normativa che cerca di conciliare l’inconciliabile e non deludere alcuni rapaci appetiti localistici e la benevolenza autonomista delle Regioni. Una proposta con la quale si crea un “parco di nuovo tipo”: a) che non ha alcuna vocazione precipua alla tutela della biodiversità; b) non classificabile né come vera area protetta naturale nazionale, né interregionale e senza che sia garantita una governance unitaria; c) dove non viene assicurata nemmeno una tutela efficace per le aree della Rete Natura 2000, visto che alcuni tra i siti più importanti vengono esplicitamente esclusi dal suo perimetro; d) alle dipendenze economico-finanziaria e, quindi, funzionale di Regioni ed Enti locali e non dello Stato, che così se ne lava le mani.
Un ircocervo che scardina e smentisce la vocazione, riconosciuta dalle legge quadro nazionale 394/1991, delle aree protette: nate per garantire la tutela del più ricco e rilevante patrimonio di biodiversità d’Europa che sta proprio nel nostro Paese. Un ibrido, ma anche un precedente pericoloso contro il quale hanno detto la loro in questi giorni 21 associazioni ambientaliste, con in prima fila il WWF, chiedendo il ritiro di questa disposizione.
Se si vuole mettere su una Super-Pro Loco liberi il governo e alcuni parlamentari di farlo, ma non si creino soggetti istituzionali fantomatici, a spese delle legge sui parchi, per accontentare tutti/e e nulla fare, visto che invece il Delta del Po ha proprio bisogno, come tutto il nostro più importante corso d’acqua, di una gestione intelligente, integrata e coordinata e non di furbate di piccolo cabotaggio pur di continuare a navigare nelle nebbie.
* responsabile Ufficio relazioni istituzionali WWF Italia