Economia & Lobby

Mafie, è lecito inserire le attività illegali nel calcolo del Pil?

Nel 2015 il Pil italiano è cresciuto anche grazie al lieve aumento dell’economia illegale. Lo certifica un Report dell’Istat. Ma sarebbe necessario interrogarsi sulla scelta di considerare voci riconducibili alle attività delle organizzazioni mafiose.

di Eleonora Montani (Fonte: lavoce.info)

I numeri dell’economia “non osservata”

L’11 ottobre è stato reso noto il Report dell’Istat sui dati dell’“economia non osservata” nei conti nazionali negli anni 2012-2015. Il Report, che stima il prodotto dell’economia sommersa e delle attività illegali, enfatizza il “lieve aumento dell’economia illegale nel 2015”. Una buona notizia: il Pil sale e con lui il benessere di tutti noi. Ma come la mettiamo con l’indubbio disvalore delle attività che contribuiscono al segno positivo nel segmento di attività illegale?

A partire da settembre 2014, gli Stati membri dell’Unione europea hanno adottato il nuovo sistema europeo dei conti nazionali e regionali. Il sistema, in osservanza del principio di esaustività dei conti nazionali, che impone di ricomprendere nelle stime nazionali tutte le attività produttive di reddito indipendentemente dal loro status giuridico e in risposta a una superiore esigenza di omogeneità nei conti dei diversi Stati dell’Unione, ha previsto l’ingresso nel Pil nazionale dell’attività illegale.

Sono tre le attività illecite che contribuiscono alla formazione del prodotto interno lordo: il traffico di sostanze stupefacenti, i servizi della prostituzione e il contrabbando di tabacco.

Tabella 1 – Economia sommersa e attività illegali. Anni 2012-2015, milioni di euro

Fonte: Report Istat 11 ottobre 2017
Tabella 2 – Incidenza delle componenti dell’economia non osservata sul valore aggiunto e sul Pil. Anni 2012-2015, valori percentuali

Fonte: Report Istat 11 ottobre 2017

Nel corso degli anni, nonostante un calo dell’economia non osservata attribuibile a una diminuzione della cifra del sommerso, la stima delle attività illegali si è mantenuta costante quando non è aumentata.

In base all’ultimo dato reso noto dall’Istat, si stima che le attività illegali abbiano generato un valore aggiunto pari a 15,8 miliardi di euro, 0,2 miliardi in più rispetto all’anno precedente (Report Istat 11 ottobre 2017 – Prospetto 11).

Tabella 3 – Principali aggregati economici per tipologia di attività illegale. Anni 2012-2015, miliardi di euro

Fonte: Report Istat 11 ottobre 2017

La stima delle attività illegali

L’Istat ha sviluppato una procedura particolare per stimare ciascuna delle attività illegali che concorrono a comporre il Pil.

Per il traffico di stupefacenti la stima è basata sulle informazioni relative alle componenti della domanda. L’approccio presuppone che, a partire dalla misurazione dei consumi finali sia possibile ricostruire il processo produttivo attraverso il quale i beni o servizi illegali sono stati messi a disposizione dei consumatori e, di conseguenza, di misurarne le grandezze economiche.

Per la stima dei servizi di prostituzione si utilizzata invece un approccio basato sull’offerta. La metodologia poggia sulla stima preliminare del numero di prostitute, alle quali si attribuisce un numero di prestazioni giornaliere e un numero di giornate lavorate. Il valore del servizio offerto è determinato sulla base dei prezzi praticati per le varie tipologie del servizio.

Anche per stimare l’attività di contrabbando di tabacco si utilizza un criterio basato sull’offerta. La procedura parte dalle informazioni sulle quantità di merce sequestrata parametrata attraverso l’utilizzo di un coefficiente che rappresenta la capacità di controllo da parte delle autorità di contrasto. Il passaggio dalle quantità ai valori viene effettuato applicando un prezzo di vendita calcolato a partire da quelli al consumo dei prodotti legali.

La mafia e l’economia

Al di là di ogni considerazione di ordine economico sulla necessità di utilizzare un sistema omogeneo tra paesi Ue e di comprendere nelle stime dei conti nazionali tutte le attività che producono reddito, appare evidente la profonda contraddizione insita in questa scelta. Se da un punto di vista economico si può ritenere neutro lo status giuridico del reddito, in uno Stato di diritto la criminalità dovrebbe essere sempre combattuta.

Tanto più in Italia, dove la stretta relazione tra mafia ed economia non è certo una novità. Già Giovanni Falcone sosteneva che per colpire la mafia occorre colpire i suoi interessi economici e ne metteva in evidenza la centralità per le organizzazioni criminali. Le indagini più recenti hanno poi rivelato una intensa crescita dei legami tra economia lecita ed economia illecita. Di più, le ricostruzioni delle attività della realtà criminale hanno messo in luce come il traffico di sostanze stupefacenti possa essere considerata la principale fonte di reddito delle organizzazioni criminali. Anche sotto questo punto di vista, appare allora lecito interrogarsi sull’opportunità della scelta di ricomprendere nel Pil voci riconducibili alle attività delle organizzazioni mafiose, come se lo stato riconoscesse e si avvalesse dei benefici prodotti dall’antistato.