Il film di Paola Randi è un oggetto piacevolmente misterioso avvistato oggi al Torino Film Festival, capace di divertire e commuovere come raramente accade nel cinema italiano degli ultimi anni, specie quando si tratta di esordi od opere seconde
Un sofà nel cuore del deserto del Nevada. Sopra giace sdraiato un uomo abbigliato da astronauta, al suo fianco un “acchiappasegnali” a forma di ombrello. L’uomo passa il suo tempo imperturbato da qualunque distrazione, perché il suo sguardo non è di questo mondo, forse neppure di questo universo. Tito e gli alieni di Paola Randi è un oggetto piacevolmente misterioso avvistato oggi al Torino Film Festival, capace di divertire e commuovere come raramente accade nel cinema italiano degli ultimi anni, specie quando si tratta di esordi od opere seconde.
La regista milanese è qui infatti alla sua seconda prova, dopo il buon Into Paradiso presentato nel 2010 a Venezia. Fiaba fantascientifica dai sentimenti accesi, è un richiamo a ricordarci che “l’universo ha una voce” e spesso essa coincide col ricordo dei nostri cari che ci hanno – spesso prematuramente – lasciato. Il film nasce infatti da diverse esperienze personali della cineasta, unite alla sua spiccata passione verso un genere che l’Italia contemporanea ben poco sa frequentare con convinzione. Ambientato e girato nella cornice di un ambiente caro al cinema della science fiction dai futuri distopici – i margini della famigerata quanto segretissima Area 51 – ma anche a Las Vegas e con alcuni set nella leoniana Almeria, Tito e gli alieni racconta di un geniale scienziato napoletano detto “Il professore”, incapace di superare il lutto per la perdita della giovane moglie, ricercatrice come lui. Improvvisamente anche il fratello, anch’egli vedovo, viene a mancare e gli “spedisce” da Napoli agli States i nipotini, Tito di 5 anni e Anita di 16.
Insieme all’amica e autista Stella, bizzarra organizzatrice di matrimoni spaziali, dovrà iniziare a capire come funzionano i meccanismi esistenziali dei più piccoli, i cui universi non sono meno sorprendenti delle galassie dell’outer space. Valerio Mastandrea offre al Professore un volto ironico e malinconico, praticamente perfetto. “Io non credo agli alieni, ma dovessi trovare una definizione, per me sono le persone incorruttibili, quelle candide e magnifiche che raramente si incontrano. Insomma per me sono loro i marziani del nostro tempo”. Nei panni di Stella è l’attrice e modella francese Clemence Posey ma a la punta di diamante del cast è indubbiamente rappresentata dai due esordienti, due “scugnizzi” che sembrano usciti dai cavoni di Spaccanapoli, che portano il nome di Luca Esposito (Tito) e Chiara Stella Riccio (Anita). “Io amo Napoli, già vi avevo girato il primo film – spiega Randi – è un luogo magico che ha un profondo rapporto col regno dei morti, i napoletani parlano coi loro defunti. Quindi non c’era per me nulla di più naturale che unire Napoli alla fantascienza il cui ruolo fondamentale e fondativo per me è la ricerca di un antidoto alle nostre paure, ma anche un modo per dare risposte alle nostre aspirazioni, ai nostri sogni più intimi”.
Poesia e commozione, musica e comicità, naturalezza ed invenzioni totalmente folli: in Tito e gli alieni emerge una mescolanza di citazioni che si comprende siano state a lungo fatte proprie dalla regista, amante di Spielberg, Lucas e Nolan, giusto per fare i nomi più “presenti”. Ma nel bellissimo valzer danzato da Mastandrea con la cybertotem spaziale a rotelle LINDA (costruita in onore della moglie defunta…) si intravedono anche echi da Fred Astaire e dal robottino Wall-E della Pixar. Insomma, Tito e gli alieni prodotto da Angelo e Matilde Barbagallo con Rai Cinema è un gioiellino lunare, che dallo spazio è approdato a colpire nel cuore di chi l’ha intercettato al festival. La speranza è che trovi presto una distribuzione per le sale.