Ciò che colpisce leggendo i commenti relativi all’ennesimo attacco terrorista a Bir al-Abed nel Sinai settentrionale è l’assenza della storia. Come se la strage di Bologna o il rapimento Moro ci fossero stati raccontati come avvenimenti tragici a se stanti, completamente sconnessi con gli eventi che li hanno preceduti. Così facendo, gli ‘esperti’ interpellati dalla stampa internazionale sull’attacco contro la moschea sufista Al-Rawda, sciorinano le più variegate ed assurde interpretazioni del tipo: adesso che in Siria ed Iraq il Califfato non c’è più i vari gruppi a questo affiliati si contendono la leadership mondiale a colpi di centinaia di morti ammazzati negli attentati; ed ancora: i servizi di sicurezza egiziani non vogliono cooperare con gli americani per applicare una strategia sul campo simile a quella sperimentata in Iraq ecco perché la situazione nel Sinai gli sta sfuggendo di mano.
Gli artefici dell’attentato alla moschea Al-Rawda erano con molta probabilità membri di Ansar Bayt al-Maqdis (ABM – Ansar Gerusalemme – Champions of Gerusalemme), che nel 2015 ha cambiato il nome in al-Wilayat Sinai (Provincia del Sinai) quando ha abbandonato l’alleanza con al Qaeda e si è sottomessa al potere di al Baghdadi, il califfo dello Stato Islamico. ABM esisteva ben prima dell’avvento dell’Isis ma pochi se lo ricordano ed ancor meno ne sono a conoscenza.
Nel 2014 Ansar Bayt al-Maqdis lanciò un attacco suicida nel Sinai settentrionale dove morirono 33 soldati egiziani. Al-Sisi dichiarò subito lo stato d’emergenza e disse che la guerra nel Sinai sarebbe durata a lungo dal momento che la penisola brulicava di terroristi. Da allora, le forze armate egiziane hanno attaccato nella regione numerose postazioni sospettate di essere basi dei jihadisti, spesso senza prove concrete. Una politica il cui scopo era terrorizzare la popolazione locale per stanare i jihadisti. I critici di Al-Sisi l’hanno definita la “politica della terra bruciata” perché ha inimicato le tribù beduine del Sinai settentrionale, incoraggiandone i membri a sostenere i gruppi jihadisti. In altre parole invece di fiaccare gruppi come ABM li ha resi più popolari.
L’attacco suicida del 2014 avvenne poche settimane dopo la fine dell’intervento armato di Israele contro Hamas a Gaza. La tregua avvenne grazie alla mediazione di al Sisi. Uno dei termini dell’accordo era la riapertura del confine di Rafah, tra Gaza e l’Egitto, importante snodo commerciale per l’Egitto. Subito dopo l’attacco, al Sisi chiuse la frontiera di Rafah che da allora venne aperta solo sporadicamente.
Il 12 ottobre di quest’anno, l’Egitto ha mediato con successo il processo di riconciliazione tra Hamas a Gaza e Fatah in Cisgiordania, nemici dal 2008. Secondo l’accordo il confine di Rafah sarebbe dovuto essere riaperto la scorsa settimana. Ed infatti ciò è avvenuto lo scorso sabato, il valico di frontiera è stato riaperto per tre giorni. Si prevedeva di riaprirlo a tempo indeterminato ieri, sabato, ma a seguito dell’attacco contro la moschea di Al-Rawda si è deciso di tenerlo chiuso ad oltranza.
E’ un interessante parallelo ma non è l’unico. L’attacco contro la moschea di Al-Rawda è stato condotto con esplosivi e armi da fuoco pesanti. Si è trattato di un attentato ben coordinato, ideato da professionisti. Ed infatti è stato quello più letale nella storia moderna dell’Egitto, il precedente record era stato stabilito il 23 luglio del 2005, a Sharm el Sheikh, quando un commando jihadista uccise 88 persone. La sciagura aerea del volo Metrojet 9268 del 2015, dove sono morti tutti i 224 passeggeri a bordo, non è stata ancora classificata come un attentato terroristico anche se sicuramente lo era. Il filo conduttore di tutte queste tragedie è sempre lo stesso: l’aumento della violenza politica in Egitto diretta contro il regime di al Sisi da parte di gruppi jihadisti non improvvisati ma altamente professionali.
Nonostante questi abbiano deciso di appropriarsi del marchio internazionale di al Qaeda prima del 2014 e di quello dell’Isis più recentemente, non significa che siano manovrati dall’estero. Ansar Bayt al-Maqdis combatte il nemico vicino, al Sisi ed il suo regime. Secondo questa interpretazione le sorti del califfato in Siria ed Iraq non hanno alcun impatto sulle strategie dei gruppi armati del Sinai o della Libia. E’ quindi sbagliato credere che la carneficina nel Sinai settentrionale sia consequenziale alla caduta del califfato dello Stato Islamico, ci sarebbe stata a prescindere dalle sorti di Aleppo, Mosul o Raqqa.
A riprova di quanto affermato diversi analisti arabi hanno sostenuto che la tribù di beduini che frequentava la moschea di di Al-Rawda aveva cooperato con i servizi segreti egiziani. E quindi è probabile che il motivo dell’attentato sia stato la vendetta, un’interpretazione più banale ma anche molto più scomoda per al Sisi ed i suoi compari occidentali.