L’ex primo cittadino Oldrini: “La città affonda le proprie radici nella Resistenza, a cui questa amministrazione sembra voler togliere ogni riferimento”. Il neo sindaco Di Stefano (Forza Italia): “Sono stato eletto con quasi il 60 per cento dei voti perché i cittadini chiedevano discontinuità, stiamo solo rispettando il mandato elettorale”
Per ricevere una casa popolare è necessario abitare da almeno cinque anni sul territorio regionale. E in graduatoria ha la precedenza chi risiede da più tempo nel comune in questione, per evitare che siano sempre gli stranieri, spesso più poveri degli italiani, a scalare le liste d’attesa. Lo prevede il nuovo regolamento approvato da Regione Lombardia: dal 2 novembre è stato introdotto in via sperimentale a Sesto San Giovanni, se funzionerà entrerà in vigore su tutto il territorio a partire dal 2018.
È questo l’ultimo segno di rottura con il passato nell’ex roccaforte della sinistra in Lombardia, ora governata dal centrodestra. Scelta che ne segue tante altre, tutte nel segno della discontinuità con le amministrazioni precedenti: la decisione di non partecipare alla commemorazione della strage di Bologna, lo stop al progetto della moschea approvato dalla precedente giunta, la richiesta di portare l’esercito in città per garantire più sicurezza ai sestesi, solo per citarne alcune. “Sono stato eletto con quasi il 60 per cento dei voti proprio perché i cittadini chiedevano una netta discontinuità – spiega il neo sindaco Roberto Di Stefano (Forza Italia) – Stiamo solo seguendo il nostro programma, rispettando il mandato elettorale”.
Sesto San Giovanni – 80mila abitanti a nord-est di Milano – dalla fine della guerra aveva sempre visto vincere la sinistra. Il cambio di passo, ora, si fa sentire. Ma c’è chi fa un distinguo tra ordinaria amministrazione e scelte ideologiche. “Si tratta di due livelli diversi: da un lato ci sono quelle scelte amministrative di rottura che fanno parte della logica delle elezioni, dall’altro c’è una frattura valoriale”, commenta Giorgio Oldrini, figlio del sindaco di Sesto del Dopoguerra e a sua volta primo cittadino dal 2002 al 2012. “Sesto (medaglia d’oro alla Resistenza, ndr) affonda le proprie radici nei valori della Resistenza, a cui questa amministrazione sembra voler togliere ogni riferimento. Questo colpisce molto”, continua l’ex sindaco e giornalista.
Oldrini fa riferimento in particolare a due episodi recenti: la scelta di Di Stefano di non partecipare alla manifestazione al monumento al Deportato di Parco Nord (Milano), vandalizzato da ignoti lo scorso 25 settembre, e la decisione di annullare l’adesione del comune all’istituto Alcide Cervi di Reggio Emilia, ente per la salvaguardia della memoria antifascista. “Fatti salvi i valori rappresentati nello statuto, non sono state attivate iniziative o attività compartecipate dall’adesione e la distanza tra le sedi non consente azioni comuni o rivolte alla cittadinanza di Sesto San Giovanni”, si legge nella delibera della giunta, che termina ricordando che l’amministrazione resta comunque “impegnata nella tutela dei valori fondamenti alla base della nostra Costituzione”.
“Noi non mettiamo in discussione proprio nulla – ribatte il primo cittadino Di Stefano, in carica da giugno – La manifestazione del Parco Nord era un corteo di sinistra con il deputato Pd Emanuele Fiano in bella mostra sul volantino a titoli cubitali e tutte le sigle della sinistra evidenziate. Ricordo inoltre che il mio primo atto da sindaco è stato commemorare due partigiani sestesi, Migliorini e De Candia, fucilati dai fascisti”, spiega Di Stefano. “La sinistra può attaccarci solo su queste questioni, che francamente hanno stancato i cittadini. Hanno fatto tutta la campagna elettorali dipingendoci come fascisti e hanno perso 60 contro 40 dopo 72 anni di potere”.
Gli altri provvedimenti presi in questi primi cinque mesi di governo, continua il sindaco forzista, erano già stati annunciati in campagna elettorale: l’uscita da “Ready”, la Rete nazionale delle pubbliche amministrazioni antidiscriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere, e contemporaneamente l’ingresso nell’associazione dei “Comuni Amici della Famiglia”. Ma anche l’applicazione del cosiddetto “daspo urbano”, ovvero multe e allontanamenti nei confronti di commercianti abusivi, mendicanti e clochard. “Non sono cambiamenti epocali – prosegue Di Stefano – ma solo azioni di buonsenso che i cittadini chiedevano da tempo”.
Un capitolo a parte lo merita il progetto della cosiddetta Moschea Milano Sesto, il centro culturale islamico da 2.400 metri quadrati che sarebbe dovuto sorgere nella periferia nord della città con il benestare della precedente amministrazione. Fin dall’inizio dalla campagna elettorale Di Stefano ha sempre detto che, se avesse vinto lui, la moschea non avrebbe mai visto la luce. E così è stato: il 10 ottobre il consiglio comunale ha votato la decadenza della concessione del diritto di superficie sull’area, con i soli voti contrari del Partito Democratico. “Su questo tema il nostro impegno è sempre stato chiaro – continua il sindaco – Oltre a valutazioni politiche ci sono stati anche molti aspetti tecnici, tra cui mancati pagamenti, a far decadere la convenzione”. E se, secondo l’ex primo cittadino Oldrini, la strategia della nuova amministrazione “qualche prezzo lo pagherà”, di tutt’altro parere è Di Stefano: “Se il centrodestra vuole tornare a guidare il Paese deve applicare il ‘modello Sesto’ – commenta il sindaco azzurro – con Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia quanto mai compatti e un forte civismo a stimolare e supportare chi governa”.