Il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza di genere, Facebook ha chiuso la pagina Abbatto i muri, in cui 170mila persone lottano insieme a noi contro la violenza e gli stereotipi di genere. Sarà stato certamente un caso ma non lo è considerando che quel giorno lì ai maschilisti e ai misogini duole molto che si parli di un argomento che tendono in gran parte a voler banalizzare.

Dalla pagina antifemminista e maschilista Cara sei femminista, che fa il verso alla defunta pagina Cara sei maschilista, anch’essa caduta nel buco nero su richiesta degli utenti, sono partite segnalazioni a carattere morale che continuano tuttora.

Hanno fatto rimuovere un post in cui si parlava di masturbazione. L’accesso alla conoscenza del proprio corpo e alla sessualità consapevole e consensuale è uno dei diritti di ogni persona. Sfruttare algoritmi che cancellano e bloccano un po’ a caso, segnalando post in cui si parla di donne autodeterminate, facendo in  modo che siano rimossi per “pornografia” è quanto di più meschino possa esserci.

Hanno eliminato immagini di ragazze in bikini, short, mutande e reggiseno. Ma quelle ragazze ci avevano mandato le loro foto per aderire all’iniziativa Body liberation front, che mira a riappropriarsi del diritto (ancora uno) a non vergognarsi di sé: a poter andare al mare, a superare problemi gravi che spesso le tengono chiuse in casa o vestitissime con 30° gradi perché pensano di essere sbagliate, perché hanno la cellulite, le smagliature, perché non corrispondono al modello estetico imposto. Sono immagini accompagnate da storie spesso terribili ma anche di rinascita. E il fatto stesso che Facebook non distingua la pornografia da questo tipo di immagini, che non  suscitano eccitazione, ma reazioni d’odio in chi vorrebbe che tornassero a nascondersi per non turbare la loro vista, vuol dire che il social network di Mark Zuckerberg non è uno spazio per donne. Non è uno spazio in cui chi ragiona, pensa, respira in termini di difesa dei diritti e di recupero dell’autonomia individuale e della soggettività, può ritenere di poter restare.

Capisco che sia un business, che valgono il numero delle segnalazioni, perfino quando arrivano da squadristi maschilisti che non vogliono fare altro che ottenere la censura, usando la policy contraddittoria di Facebook come arma per censurare. E’ vero che è uno spazio privato per cui si fa come vuole il padrone, ma le incongruenze rispetto alle segnalazioni, che io non uso perché fare decidere a Facebook cosa meriti critiche e dissenso e cosa no mi fa specie, sono troppe.

C’è chi segnala razzisti e fascisti che pubblicano foto del duce e immagini di roghi ai campi rom e riceve notizia che si tratta di roba che non vìola gli standard di comunità. La comunità dei razzisti, neonazisti e fascisti, certo. C’è chi segnala insulti, apologia o istigazione alla violenza di genere, definizioni sessiste (“troia, zoccola, cagna” solo per dirne alcune) contro le donne o definizioni orripilanti contro gay, trans, persone che sfuggono alla norma eterosessuale, e riceve come risposta: “Capiamo che possa darti fastidio, vogliamo che Facebook sia il post per tutti, ma non abbiamo riscontrato che viola gli standard di comunità”.

Più o meno il concetto è questo. Poi segnalano un post di Abbatto i muri in cui una ragazza racconta di essere stata insultata e abusata da chi la considerava “troia” e allora, grazie a quella parola, quel post va contro gli standard di comunità.

Questo meccanismo è perfino usato per bloccare dei profili di gestione della pagina, che sono sospesi a ogni post censurato con punizioni che vanno dalle 24 ore ai 30 giorni al per sempre, lo stesso vale per la segnalazione da usare nel caso si sia preoccupat* per qualcun@ che ha minacciato il suicidio. Tu devi tranquillizzare Facebook, ripartire da capo e poi fermarti a pensare come faccia il social a capire, sempre che sia interessato a farlo, dove sta la segnalazione vera e dove quella censoria o strumentale.

La pagina di Abbatto i Muri ora è visibile, anche se saremmo tentat* di spegnere tutto e rilassarci. Ma lo dobbiamo a 170mila utenti che ogni giorno la popolano e grazie a essa raccontano le proprie storie. Dobbiamo loro il fatto di mantenere in vita uno spazio che non è più neppure nostro. E’ delle persone che lo usano. Riposeremo un po’, forse, o prima o poi capiterà che il numero delle segnalazioni faranno chiudere la pagina e noi saremo presenti altrove.

Il punto è quanto può essere sciocca e irresponsabile e scandalosa la gestione economica e politica del social.

Per informazione: a parte altri nostri spazi di recupero, nel caso in cui ci chiudano definitivamente, abbiamo attivato un profilo Instagram in cui ripubblicare le foto censurate e le storie delle ragazze che ce le hanno inviate. Davvero non meritano di essere nascoste, zittite e censurate le numerose voci che la pagina raccoglie. Fate un po’ voi.

Aggiornamento del 28/11/2017: Facebook ci ha scritto e si è scusato per alcuni dei contenuti rimossi, che sono stati ripristinati

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