Francesco Grandis, 40 anni, ha rinunciato al suo lavoro da programmatore per paura di restare intrappolato in un presente che non gli apparteneva più. E così, zaino in spalla, è partito per capire in quale direzione volesse andare. Nel libro 'Sulla strada giusta' (Rizzoli), racconta la sua scelta. Radicale
Ogni scelta implica una rinuncia, è una parte del vecchio te che se ne va. Quella di Francesco Grandis coincide con un pianto liberatorio e una chiacchierata con i suoi genitori. E un pensiero che lo ha inchiodato alle sue responsabilità: “Non è questa la vita che volevo”. Da quel giorno sono passati otto anni e di strada – in tutti i sensi -, Francesco ne ha percorsa parecchia. Ma guai a definirlo “coraggioso”. Per lui, ex ingegnere informatico, oggi scrittore e blogger quarantenne, è stata solo una questione di paura: “Aver rinunciato a un buon lavoro da programmatore con stipendio fisso può apparire come una scelta eroica, ma in realtà è stato il panico a mettermi in movimento”, racconta.
La paura di restare intrappolato in un presente che non gli apparteneva più: “Ci voleva più coraggio a restare – ammette -, e poi, una volta abbracciata la filosofia del cambiamento, tutto è diventato più chiaro”. Francesco racconta la sua storia nel libro Sulla strada giusta, che ha autopubblicato. Fino a quando, arrivato alle diecimila copie vendute in sedici mesi, il testo è arrivato nelle librerie con Rizzoli. Dopo il licenziamento si è trovato a gestire un’inebriante sensazione di libertà e una serie di interrogativi. Cosa faccio ora? Come posso dare un senso a tutto questo? C’era poi da fare i conti con le voci degli altri: “In tantissimi mi dicevano che ero stato un pazzo a lasciare il posto fisso, ma poi ho pensato che la mia era una decisione strana, ma non autodistruttiva”, spiega.
Così opta per una scelta radicale: investire i soldi messi da parte con il suo lavoro per fare il giro del mondo. Un viaggio zaino in spalla lungo un anno, che l’ha portato a toccare i cinque continenti e l’ha messo in contatto con i suoi punti di forza e con le sue fragilità: “Quello è stato il mio punto di partenza per cambiare la mia vita e capire in che direzione volevo andare”, ricorda.
Una volta rientrato ha le idee più chiare: il lavoro d’ufficio non fa per lui, per cui decide di proporsi alle aziende come programmatore freelance: “Un impiego di quel tipo non mi vincolava a un luogo fisso e mi consentiva di continuare a viaggiare”, spiega. “Bisogna sapersi adattare e avere spirito di iniziativa – aggiunge -, non si può andare in cerca di soluzioni facili”. È per questo che dal suo vocabolario ha cancellato la voce “scusante”: “La trappola in cui è più facile cadere è quella di pensare che basti un solo passo per vedere illuminata la propria vita – spiega -, invece ci tengo a sottolineare che non è così, che è un percorso lungo e spesso in salita, in cui non c’è un punto d’arrivo”.
Ma in molti casi il cambiamento genera dipendenza. Così è stato per lui, che dopo quattro anni da freelancer si è messo in discussione ancora una volta: “Ho capito che la scrittura è la mia vera passione, così mi sono organizzato per riuscire a vivere solo di questo”.
Già, perché Francesco non è un incosciente, ancor meno oggi che ha un figlio di tre anni: “Nella mia scala di valori il benessere viene prima di tutto – spiega -, io ho semplicemente rinunciato alla stabilità formale di un contratto fisso, ma i conti so farli quadrare bene”. Oggi sono in tanti a chiedergli consigli sulla sua pagina Facebook: “Spesso cercano la spinta necessaria per uscire dalla propria gabbia e dal disagio, ma io non ho competenze specifiche in questo senso – sottolinea -. L’unica cosa che posso fare è condividere con loro la mia storia, poi se qualcuno ci trova qualcosa di buono può prenderla e adattarla alla propria vita”. Spesso, infatti, la risposta è già scritta nelle domande: “Bisogna andare oltre il superfluo per trovare quello che serve per essere felici”, spiega.
La sua, di strada, cerca di portarla avanti nel miglior modo possibile: “Ora che ho la mia famiglia mi sposto meno di prima, ma lo spirito è sempre quello – ammette -, e voglio trasmetterlo anche al mio bambino”. Il viaggio, infatti, è un modo di guardare alla vita: “La scorsa estate io, la mia compagna e mio figlio abbiamo fatto 300 chilometri del Cammino di Santiago – ricorda – è stata un’esperienza bellissima per tutti”. Un’arma in più per affrontare le critiche: “Con gli anni ho capito che attaccare gli altri è solo un modo per non guardare in faccia la propria infelicità”.