Cultura

Prima della Scala, la rivoluzione dell’Andrea Chénier: niente applausi del pubblico fino alla fine (no, neanche alla superstar Netrebko)

Milano si prepara all'inaugurazione del teatro lirico con l'opera di Umberto Giordano, rimasta negletta per 32 anni anche perché - dice il direttore Chailly - mancavano voci che tenessero botta. La regia è di Martone che si porta sul palco la ghigliottina di "Noi eravamo" e che ricorda che la storia non è solo un melodramma al cubo, ma presenta anche le contraddizioni di tutte le rivoluzioni, da quella giacobina alle Primavere Arabe

di Diego Pretini

Niente applausi, vi prego, alla fine delle arie. Se sul palco le scene racconteranno con un drammone straziante l’inizio e la fine della Rivoluzione Francese, di rivoluzionario alla Prima della Scala dell’Andrea Chénier di Umberto Giordano ci sarà soprattutto la richiesta al pubblico del direttore Riccardo Chailly. Chailly – innamorato perso della filologia (usò la partitura originale di Giacomo Puccini per la Fanciulla del West del 2016) – manda a dire agli spettatori della serata di Sant’Ambrogio di trattenere l’entusiasmo e soprattutto le mani fino all’ultimo sipario per “non interrompere il flusso musicale” proprio come voleva Giordano: “Io mi attengo a ciò che c’è scritto sulla partitura“. Siccome, però, lo Chénier è una specie di melodramma al cubo, la squadra è fatta tutta da star: il regista è Mario Martone che sul palco del Piermarini porterà la ghigliottina di Noi credevamo e la coppia di protagonisti amanti nella trama e nella vita sono il soprano più amato dai milanesi, la russo-austriaca Anna Netrebko (alla terza Prima), e il tenore azero Yusif Eyvazov, di lei marito. Ed è già bufera di cuoricini: “E’ ancora più emozionante per me perché l’amore che viene raccontato nella finzione è lo stesso che c’è nella vita” dice lui. “Spesso canto con lui, in fondo ci siamo conosciuti in scena” dice lei.

Accadde tre anni fa alla Manon Lescaut all’Opera di Roma. In quel caso Manon moriva di sete, in questo caso Maddalena di Coigny – nobile strattonata nella polvere dai ribelli – decide di morire per amore, seguendo sul patibolo durante il Regime del Terrore l’amato poeta Chénier dopo aver liberato una prigioniera e averne preso il posto in carcere. Come accade in quasi tutte le opere liriche, anche nell’Andrea Chénier si riconoscono brandelli del mondo che ci sta intorno, tanto più che una volta tanto il personaggio (poeta, amico di Ugo Foscolo) è vissuto per davvero così come per davvero perse la testa nel 1794 con una particolare tendenza alla malasorte visto che sarebbero mancati solo due giorni alla caduta di Robespierre.

“Rivoluzione vuol dire contraddizione – dice Mario Martone – Una contraddizione tra lo slancio vitale e la chiusura tragica di quegli eventi, un’evoluzione che unisce la rivoluzione francese, poi la rivoluzione d’Ottobre, ma anche le Primavere Arabe“. Una contraddizione che nell’opera di Giordano segue la metamorfosi dei personaggi, a partire da Gérard, il servo di Maddalena che nel primo atto si ribella e che nel terzo diventa capo rivoluzionario, duro e violento, ammorbidito di tanto in tanto solo dall’amore per Maddalena, non corrisposto come accade sempre ai poveri baritoni (alla Prima sarà Luca Salsi). “Sono contraddizioni umane – prosegue Martone – perché non si può negare lo slancio vitale della rivoluzione, ma nemmeno i limiti perché coloro che portano avanti quelle azioni sono umani, sono legni storti”. Per questo, secondo Martone, va stracciato l’etichetta di un’opera che ha la Storia solo come sfondo. Al contrario il romanzo strappalacrime e palpitante in primo piano vede cambiare le vite dei protagonisti (fino alla morte, per giunta), ma si porta dietro anche la controversia di un evento che ha cambiato il mondo ma che ha avuto una conclusione tragica.

Chailly continua, anche per il 7 dicembre, nella ricerca delle radici, come lui la chiama e nella sua caccia alle opere perdute, perdute soprattutto in Italia: l’opera negletta mancava dalla Scala da 32 anni (“Troppi”), eppure al Piermarini debuttò nel 1896 con un trionfo. Perdute forse anche perché, dice lo stesso direttore musicale, nel frattempo mancavano le voci che reggessero il colpo di prestazioni che necessitano di superpoteri. Perdute anche per via di mode che hanno trascinato verso altri compositori. Invece – combatte Chailly – lo Chénier, come la Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, rappresenta un momento storico nell’evoluzione della musica. E il teatro, giura il direttore, è entusiasta, nonostante pochissimi musicisti dell’orchestra abbiano suonato prima quella partitura. Resta da capire se l’euforia sarà anche quella dei telespettatori: la Prima della Scala per il secondo anno consecutivo sarà su Rai1. Difficile che abbia il traino ultrapop della Butterfly che con il suo fil di fumo nel 2016 fece quasi il 13,5 per cento di share, con picchi del 21. Ma dopo tutto sono gli stessi ascolti di Fazio.

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