Licenziata per aver superato il periodo massimo di malattia per infortunio, viene reintegrata dal giudice del lavoro di Milano. È arrivata poco dopo i giorni più turbolenti dei magazzini Amazon di Castelsangiovanni, freschi di sciopero del Black friday, la sentenza del tribunale che ha dato torto al gruppo di Jeff Bezos sulla vicenda che ha avuto come protagonista proprio una lavoratrice del comparto di logistica piacentino. Parliamo di una 40enne, che era stata assunta con il Jobs Act, quindi senza previsione di reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa, e aveva perso il posto a causa del superamento del periodo di comporto, cioè di malattia, che nel commercio è di 6 mesi. E così, dopo 180 giorni, l’azienda le aveva spedito la lettera di licenziamento.
La donna, assistita dalla Cgil e dall’avvocato Boris Infantino, ha però deciso di ricorrere alle vie legali visto che, secondo la sua ricostruzione, l’infortunio patito era stato causato dall’assenza di condizioni di sicurezza all’interno del reparto in cui lavorava la dipendente licenziata. “La sentenza si è basata proprio su questo, cioè sul fatto che parte del tempo di comporto era conseguente a una malattia professionale causata da infortunio sul lavoro. Quindi non computabile nel periodo di malattia. Siccome la responsabilità è di Amazon non può essere conteggiato in quel modo”, ha spiegato l’avvocato.
In pratica, mentre la 40enne si trovava sul posto di lavoro, era caduta fratturandosi un dito di una mano. Dopo aver chiesto e ottenuto un primo periodo di malattia, era tornata al suo impiego in un reparto in cui era costretta a utilizzare le mani e quindi, nell’arco di 20 giorni, si era vista costretta a richiedere nuovamente uno stop a causa del riacutizzarsi del dolore. Le indagini avviate dal tribunale di Milano, che hanno previsto sopralluoghi e raccolta di testimonianze all’interno del magazzino, hanno portato alla sentenza che ha stabilito, oltre al reintegro, “che le condizioni di sicurezza nel reparto non erano state rispettate, perché il punto in cui era caduta è stato ritenuto una insidia e quindi pericoloso anche per gli altri lavoratori. A questo punto – ha precisato l’avvocato Infantino – la responsabilità dell’infortunio è stata riconosciuta ad Amazon. Il periodo di assenza, quindi, non si poteva conteggiare nel comporto, cioè nella malattia. Avevamo tentato un approccio extragiudiziale ma che non ha portato a nulla e nella causa Amazon non ha voluto conciliare”.
E così, come si legge nel dispositivo della sentenza (le motivazioni si avranno entro 60 giorni), il giudice del lavoro di Milano, Paola Antonia Di Lorenzo, ha accettato il ricorso e dichiarato la nullità del licenziamento che era arrivato con la lettera del 20 marzo 2017 e ha ordinato alla società Amazon Italia Logistica Srl di reintegrare la 40enne nel proprio posto di lavoro presso la sede di Castelsangiovanni (Piacenza). Inoltre, ha condannato la ditta di logistica al pagamento di una indennità commisurata all’ultima retribuzione, non inferiore alle cinque mensilità, oltre al pagamento delle spese legali e alla regolarizzazione previdenziale e assistenziale della lavoratrice.
Nel frattempo prosegue la vertenza, avviata dopo lo sciopero del Black Friday. Ma il gruppo di Seattle, anche in questo caso, non è apparso particolarmente disposto al dialogo annullando un incontro già fissato con i sindacati nei giorni scorsi. “Facciamo notare ai vertici della società di Jeff Bezos che in Italia abbiamo risolto la questione sulla democrazia rappresentativa a metà del secolo scorso. Quindi invitiamo caldamente Amazon a riaprire il tavolo di trattativa perché chiudere ogni canale di dialogo tra azienda e lavoratori è un atteggiamento totalmente controproducente in questa fase”, ha dichiarato Fiorenzo Molinari, segretario Filcams Cgil di Piacenza.