I vecchi “messaggi in bottiglia” affidati alle onde non sempre finivano sulla spiaggia. Le comunicazioni disperate o le sconfortanti richieste di aiuto di chi è stanco della vita sono spesso pubblicate sui social ma ugualmente non giungono a riva, affondando nell’indifferenza dei cybernauti dinanzi ai quali scorrono fiumi di post che non destano interesse.

Troppe volte si è stati costretti a prendere atto che un suicidio era stato annunciato sul web senza che nessuno avesse visto o dato peso a simili dichiarazioni. Lo si scopre troppo tardi e ci si chiede perché nessuno se ne sia accorto in tempo per prendere qualche iniziativa.

Facebook ha presentato una sorta di “salvavita”, un sistema tecnologico proattivo basato sull’impiego di intelligenza artificiale e in grado di passare al setaccio tutti i post che vengono pubblicati. Tale disamina permette di rilevare testi i cui elementi hanno connotati di coincidenza con la matrice di controllo che include frasi, espressioni e termini “a rischio”.

L’analisi sintattica e semantica dei post è capace di individuare chi manifesti il proposito di togliersi la vita. La procedura – una volta compiute verifiche e riscontri affidati ad esperti in carne ed ossa – prevede l’allertamento delle strutture sanitarie e della rete di amicizie e conoscenze che fa capo alla persona di cui viene riconosciuta la condizione di forte disagio psicologico.

L’iniziativa è destinata a trovare sbocco negli Stati Uniti ma non approderà sul pezzo di social adoperato dagli utenti europei: le disposizioni vigenti in tema di riservatezza dei personali e il Regolamento comunitario sulla privacy che sarà operativo da maggio 2018 vietano, infatti, i trattamenti di dati sensibili come quelli in questione.

Il fenomeno è preoccupante e lo conferma una ricerca dell’Organizzazione Mondiale della Sanità intitolata “Preventing Suicide” e pubblicata nel 2014, secondo la quale nel mondo c’è un tentativo di suicidio ogni 40 secondi e questa terribile dinamica costituisce la seconda causa di morte per i giovani di età compresa tra 15 e 29 anni.

Il medesimo progetto di Facebook può essere indirizzato per rilevare forme di cyberbullismo e ogni altra manifestazione incivile o illegale e quindi la soluzione tecnologica non lascia indifferenti nemmeno i più scettici. Purtroppo ha un terribile rovescio della medaglia.

L’efficacia dell’iniziativa alimenta il sospetto che determinate forme di controllo di quanto pubblicato dagli utenti possa essere applicato anche con obiettivi meno nobili del tempestivo intervento per fermare chi ha pianificato un gesto estremo.

Cosa succede (e forse già accade) se i social cominciano ad esaminare in modo sistematico e non occasionale quel che digitiamo nelle più diverse occasioni? Se commenti fuori luogo, espressioni oltre il normale registro caricate per fare presa su amici e followers, manifestazioni d’ira e “sparate” ingiustificate (ed ingiustificabili) rischiano di catapultare anche semplici cretini e mitomani con troppo tempo a disposizione in elenchi di “soggetti pericolosi”, anche opinioni e comportamenti urbani della gente normale potrebbero non sfuggire a fastidiose ed inammissibili classificazioni.

Sarò il caso di tenerne conto.

@Umberto_Rapetto.it

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