Michael Flynn, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump, si è dichiarato pubblicamente colpevole di aver mentito alla polizia federale sul caso Russiagate, segnando un’altra pietra miliare nell’inchiesta condotta dal procuratore speciale Robert S. Mueller III. L’ammissione dell’ex generale dinanzi alla corte distrettuale federale a Washington è un segnale inquietante per la Casa Bianca, poiché i documenti del tribunale indicano che Flynn sta cooperando alla continuazione dell’indagine sul presunto coordinamento tra la campagna elettorale dell’allora candidato repubblicano e il Cremlino per influenzare le presidenziali del 2016. E nelle carte dell’indagine spunta anche il nome di Jared Kushner, genero di Trump: secondo una fonte citata dal Washington Post, avrebbe “istruito” Flynt a prendere contatti con i russi.

L’ex consigliere ha ammesso di aver reso false dichiarazioni all’Fbi il 24 gennaio – quattro giorni dopo l’insediamento di Trump – sulle conversazioni avute con l’ex ambasciatore di Mosca Sergey Kislyak durante la transizione. La Casa Bianca ha subito minimizzato la portata della decisione del suo ex consigliere: “La dichiarazione di colpevolezza o l’incriminazione non coinvolgono nessuno che non sia il signor Flynn”, ha dichiarato Ty Cobb, avvocato del presidente degli Stati Uniti. Ma ora, secondo l’emittente tv Abc, Flynn sarebbe pronto a dichiarare che Trump lo istruì perché prendesse contatti con i russi quando era candidato alla Casa Bianca.

Flynn è comparso in tribunale oggi a Washington alle 10.30 locali, le 16.30 italiane. Le accuse sono contenute in un dossier di due pagine in cui il procuratore speciale ha accusato l’ex militare di aver reso “volontariamente e consapevolmente” “dichiarazioni false, fittizie e fraudolente” al Federal Bureau of Investigation. L’ex generale ha ammesso di aver mentito riguardo la richiesta rivolta a fine dicembre 2016 al diplomatico russo di “astenersi dall’escalation in risposta alle sanzioni che gli Stati Uniti avevano imposto alla Russia” dopo il furto di documenti subito dal Partito Democratico. Secondo gli inquirenti, Flynn ha mentito anche quando ha negato di aver chiesto allo stesso Kislyak di ritardare un voto su una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La decisione di collaborare è stata presa “nell’interesse della mia famiglia e del nostro Paese”, si legge in una nota diramata dall’ex militare.

“Kushner istruì Flynn a contattare i russi” – Nello specifico, Flynn ha ammesso di non aver risposto in maniera veritiera quando la polizia federale gli ha domandato degli accordi stretti con i russi il 24 gennaio. Ma, cosa più interessante, ha ammesso che altre persone nel team di transizione sapevano cosa stava facendo. L’ex consigliere per la sicurezza nazionale ha ammesso di aver chiamato un senior official del team, il cui nome non è riportato negli atti del processo, nel resort di Mar-a-Lago il 29 dicembre “per discutere di cosa comunicare all’ambasciatore russo circa le sanzioni imposte dagli Usa”. E quando il diplomatico poco più tardi lo aveva informato che la Russia non avrebbe reagito, Flynn lo aveva riferito a membri del transition team, si legge nelle carte. Secondo cui un “componente di alto livello della squadra presidenziale” aveva istruito Flynn a contattare membri di governi stranieri, inclusa la Russia, circa la risoluzione dell’Onu su Israele. Il nome di questo “senior member” del transition team non è riportato nei documenti, ma  – scrive il Washington Post – secondo una fonte sarebbe Jared Kushner, marito della figlia di Trump.

Abc: “Flynn dichiarerà che fu Trump a chiedergli di instaurare contati con Mosca” – Flynn intende confessare davanti al procuratore speciale che fu il magnate repubblicano a chiedergli di stabilire contatti con la Russia, mentre ancora Barack Obama era presidente. La notizia è stata diffusa da Abc News, che ha citato come fonte un “confidente” di Flynn. Questi, secondo la fonte, si sta preparando a “collaborare pienamente” alle indagini e a dichiarare che Trump gli chiese di contattare il Cremlino, inizialmente per far sì che Stati Uniti e Russia lavorassero assieme contro il gruppo terroristico Stato islamico in Siria.

Le trattative con lo staff di Mueller – Si tratta della conferma che Flynn collaborerà con gli inquirenti. Nei giorni scorsi i legali dell’ex generale avevano notificato agli avvocati del presidente che non intendevano più condividere con loro posizioni riguardo all’inchiesta. I media statunitensi hanno interpretato questo fatto come il segnale che fosse stato aperto, o in preparazione, un canale di collaborazione tra Flynn e la squadra di Mueller. Ovvero tra uno degli uomini più vicini a Trump durante la campagna elettorale e il procuratore incaricato di fare luce sui presunti contatti dell’entourage dell’allora candidato presidente con rappresentanti di Mosca.

Le trattative per avviare la cooperazione con lo staff di Mueller erano cominciate all’inizio di novembre, riporta il Washington Post citando due fonti anonime. Alcuni giorni dopo che il capo della campagna elettorale Paul Manafort era stato incriminato, gli inquirenti avevano avvertito i suoi avvocati che avevano intenzione di voler incriminare anche Flynn e che avrebbero potuto anche accusare suo figlio, Michael G. Flynn. Secondo i testimoni, i due avvocati Kelner e Stephen Anthony avevano fatto pervenire a Mueller un’offerta sulle informazioni che il loro assistito avrebbe potuto far pervenire, quindi i due si sarebbero incontrati.

A fine novembre John Dowd, uno dei legali della Casa Bianca, ha contattato il team di Flynn per uno dei consueti briefing sulla strategia da tenere nel caso Russiagate, ma Kelner gli aveva risposto che non avrebbero più comunicato con gli avvocati del presidente. Era il segnale che Flynn aveva cominciato o si stava attivando per cooperare con Mueller. Ora, tra i termini dell’accordo stretto con il procuratore speciale ci sarebbe anche l’impegno da parte di quest’ultimo a non coinvolgere nell’inchiesta Michael G. Flynn.

Simbolo del Russiagate Flynn è stato il primo a farne le spese avendo dovuto lasciare l’incarico alla Casa Bianca soltanto pochi giorni dopo l’insediamento. Aveva omesso di informare il vicepresidente Mike Pence sui suoi contatti con Kislyak. La sua posizione si è poi ulteriormente complicata – e ha coinvolto il figlio, anche lui attivo nella campagna di Trump – quando sono emerse le sue attività di lobbying legate al governo turco. E’ quindi ben nutrito il dossier sui Flynn, padre e figlio, al punto da far pensare che aprire una collaborazione con Mueller potrebbe risultare particolarmente utile per ‘alleggerirè la loro posizione. E per Mueller il generale in pensione sarebbe una fonte preziosa per entrare nei retroscena della campagna elettorale di Trump.

Flynn è il primo funzionario dell’amministrazione ed il quarto legato alla campagna ad essere accusato formalmente nel quadro dell’inchiesta condotta da Mueller su possibili collusioni tra governo russo e membri del team di Trump, oltre che su eventuali azioni di intralcio alla giustizia e reati finanziari. L’ex presidente della campagna di Trump, Paul Manafort, ed il suo vice, Rick Gates, sono stati accusati formalmente lo scorso mese: si sono dichiarati non colpevoli. E il consigliere per la politica estera della campagna di Trump George Papadopoulos si è riconosciuto colpevole di aver reso una falsa dichiarazione al Fbi riguardo ai suoi contatti con funzionari legati al governo russo. L’accusa a carico di Flynn è la prima dell’inchiesta Mueller che tocca qualcuno alla Casa Bianca ed è uno dei segnali che testimonia che l’indagine si sta intensificando.

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