Lasciatevelo dire da un vero esperto di governance societaria: “Il monistico presenta alcuni inconvenienti di cui bisogna essere molto consapevoli, per i quali occorre adottare tutte le misure più adeguate che nel caso di Intesa Sanpaolo sono state adottate e che mi auguro vengano prese anche in Ubi”. A dispensare consigli mentre si decide sul suo rinvio a giudizio è Giovanni Bazoli, presidente onorario di Intesa Sanpaolo, nonché vero “dominus” di Ubi Banca. Ruolo, quest’ultimo, non ufficiale ma sancito dalla governance “di relazione” che muoveva le file dell’istituto bergamasco-bresciano e di cui Bazoli è sempre stato campione indiscusso. Altro che “monistico” o “duale”. Rinviato a giudizio assieme agli attuali vertici di Ubi Banca, Bazoli dovrà rispondere di vari reati tra cui l’ostacolo all’attività di vigilanza per aver costituito un patto parasociale occulto tra le associazioni degli azionisti per esercitare “un’influenza dominante” sul gruppo bancario anche “mediante l’esercizio concertato del voto negli organi societari”. Questa la tesi dell’accusa, suffragata da valanghe di documenti e di intercettazioni telefoniche che hanno fatto emergere uno spaccato impressionante di come certi personaggi esercitano il potere e quanto siano articolate e profonde le loro reti di relazioni. Assomiglia più alla governance di un clan che a quella di una banca e getta molte ombre anche sugli “sceriffi”.
Probabilmente vanno lette in questa chiave anche le ultime, non richieste, esternazioni di Bazoli a proposito di Ubi: lui si schernisce (dice di non voler “interferire nelle vicende di Ubi Banca”), ma continua a mandare messaggi. E, non a caso, sceglie di farlo proprio alla vigilia del processo che lo vede imputato assieme ad altre 29 persone, tra cui l’amministratore delegato di Ubi Banca, Victor Massiah. La risposta non tarda ad arrivare: il presidente del consiglio di sorveglianza dell’istituto, Andrea Moltrasio, anch’egli imputato, risponde al “capo” che entro fine anno il consiglio approverà “le linee guida che stiamo mettendo a punto”. Moltrasio non entra nei dettagli, ma ci vuole poco a capire che si sta andando proprio nella direzione suggerita da Bazoli: “Ci sarà ancora qualche riunione, una sicuramente della commissione governance che presiedo”, dice Moltrasio specificando che “la procedura è che il consiglio di sorveglianza approvi le linee guida con indicazioni molto dettagliate che andranno in consiglio di gestione, perché con il dualistico è questo l’organo che deve predisporre lo statuto”.
Intanto, si è tenuta a porte chiuse l’udienza preliminare a Bergamo, dove il gup Ilaria Sanesi ha accolto le richieste dei difensori degli imputati rigettando le richieste di costituzione di parte civile avanzate dalle associazioni di consumatori ed ex soci della banca, tra cui Giorgio Jannone, ex parlamentare che con i suoi esposti ha dato il via all’inchiesta penale. Il gup ha ritenuto non legittimati i richiedenti in quanto non avrebbero subito un danno diretto né dall’ipotesi di reato di illecita influenza sull’assemblea, né da quella di ostacolo agli organismi di vigilanza. Unica parte civile ammessa è la Consob che aveva fatto richiesta in relazione all’ostacolo all’attività di vigilanza. Quanto alla Banca d’Italia, in merito a questa vicenda non ha ritenuto di costituirsi parte civile, alimentando così i commenti maliziosi di quanti ricordano gli interessamenti del capo della vigilanza Carmelo Barbagallo a favore degli attuali vertici dell’istituto e le sfuriate di Ester Faia, consigliere di Ubi nonché moglie di Ignazio Angeloni, del consiglio di sorveglianza della Bce, contro i “nemici” interni, le minoranze messe all’angolo. L’impressione è che la scelta di Via Nazionale di non intervenire al processo venga scambiata per deferenza nei confronti degli importanti banchieri che siedono sul banco degli imputati e, volente o nolente, finisca anche con l’avvallare un determinato metodo di governo societario che emerge con chiarezza dalle carte e che non è certo quello contemplato dal Testo unico e dal codice di autodisciplina.