Difficoltà economiche e bambini da accudire: la separazione dal compagno comporta "un peggioramento delle condizioni di vita superiore a quello degli ex compagni", spiega Francesca Bettio, prof di economia e membro fondatore del portale inGenere.it. E per l'avvocato esperto di diritto famigliare Simona Napolitani siamo inseriti in "un modello di famiglia antica e retrograda che ritiene che debba essere principalmente la donna ad occuparsi dei figli"
Pubblichiamo la prima di tre puntate sulle conseguenze della separazione nelle famiglie con figli: aspetti economici, logistici e psicologici. Dopo l’articolo focalizzato sulle madri, ce ne sarà uno sui padri e infine il terzo e ultimo sui bambini che devono affrontare questo trauma.
Quasi una donna su tre rimane a casa dopo avere avuto un figlio. Coloro che invece decidono di tornare al lavoro, devono affrontare una realtà in cui i salari per le donne sono più bassi rispetto a quelli dei colleghi mentre l’anno scorso il 19,1% delle donne ha confessato di lavorare part time perché non è riuscito a trovare un lavoro a tempo pieno (contro il 6,5% degli uomini). “Se a questo sommi che più della metà delle madri che si rivolgono alla nostra associazione non riescono a ricevere il mantenimento dall’ex marito, mi spieghi dov’è la convenienza che una donna può avere nel divorziare?”. Eugenia Maifredi è la presidente di Mamme Papà separati. Nella sua associazione di Brescia sfilano settimanalmente maestre, libere professioniste, impiegate. “La richiesta di tutte la mamme è la stessa: il pacco alimentare – continua Maifredi – L’immagine dell’ex moglie arpia e arricchita è un falso luogo comune. La verità è che il divorzio è un lusso in Italia e non si può pensare che qualcuno ne esca arricchito”.
Istat, “per le donne carriere più discontinue e stipendi più bassi” – Cosa succede alle tasche delle mamme divorziate italiane? O meglio, si può essere mamma, lavoratrice e divorziata in Italia? Secondo Francesca Bettio, professoressa di economia presso l’Università di Siena e membro fondatore del portale inGenere.it, “nelle famiglie con capofamiglia donna c’è un maggior rischio di povertà” perché le lavoratrici hanno “minori guadagni, minori pensioni, maggiore incidenza dell’affidamento dei figli in caso di divorzio – continua Bettio –. Le donne lavorano meno anni, meno ore e con un guadagno medio orario più basso”.
Perché non si può guardare alla condizione di impoverimento delle ex mogli – come viene denunciato da molte associazioni – senza inserirla all’interno della condizione lavorativa delle donne del Belpaese. I dati parlano chiaro. Secondo un’indagine Istat presentata a ottobre 2017, la partecipazione delle donne al mondo del lavoro è legata ai carichi familiari. Nel secondo trimestre 2017, per esempio, il tasso di occupazione delle 25-49enni è stato l’81,1% per le donne che vivono da sole, il 70,8% per quelle che vivono in coppia senza figli, e il 56,4% per le madri. In generale, “le donne del nostro paese sono mediamente più istruite degli uomini – si legge sul report dell’Istituto di statistica – ma il loro tasso di occupazione è ancora molto basso”, attorno al 48,1% contro il 66,5% degli uomini.
Tra i motivi di queste disparità il fatto che, secondo Istat, la gestione della famiglia pesa ancora sulle spalle della madre. E infatti i dati rilevano come tra i suoi componenti ci sia “una bassa condivisione nella gestione dei tempi di lavoro e cura”. Le donne lavoratrici, in sintesi, sono destinate a carriere più discontinue e retribuzioni più basse. I dati del 2016, infatti, raccontano di un’Italia dove le donne hanno meno soldi a fine mese per il solo motivo di essere donne, con una differenza rispetto agli uomini del 40% in termini di salario per le donne con un basso livello di istruzione, mentre le laureate guadagnano “solo” il 28% in meno dei colleghi. “Queste disparità comportano più difficili condizioni economiche soprattutto per le madri single” chiude il report di Istat. “Volendo riassumere, a seguito della rottura di un matrimonio le donne subiscono, in media, un peggioramento delle condizioni di vita superiore a quello degli ex compagni – chiude Bettio – ed è maggiore il loro rischio di entrare in povertà”.
“Il 50% delle nostre assistite non ricevono l’assegno” – “Dando uno sguardo al campione dei nostri utenti, possiamo dire che la separazione ha dato il carico da novanta all’impoverimento generale del ceto medio”, racconta Eugenia Maifredi. E mentre i padri separati lamentano che l’assegno di mantenimento è spesso troppo alto, se si considerano le spese che deve affrontare un uomo separato, “non dimentichiamoci che una mamma affidataria non ha solo un affitto o un mutuo da pagare – precisa Simona Napolitani, avvocato esperto di diritto di famiglia e mediatore famigliare – Non immagina neanche quante madri entrano in crisi per i regali che il bambino deve fare alle feste di compleanno dei compagni di classe, per esempio”. Per una lista di spese straordinarie che può diventare lunga e capillare: rette scolastiche, libri, visite mediche, corsi di sport, viaggi studio.
E quando le spese aumentano, si deve pensare a come fare fronte ai conti in rosso. “Almeno il 50% delle nostre assistite non ricevono l’assegno di mantenimento dagli ex mariti”, racconta Bruno Aiazzi, tra i fondatori di One Parent, community di 12mila genitori single. “Non hanno la sensazione di essere tutelate legalmente oppure non hanno i soldi per pagare un avvocato – continua Aiazzi – Quindi spesso si rassegnano e cercano di cavarsela da sole”. Ma inviare curriculum da donna over 35 con un bambino a carico non è semplice. “Parliamoci chiaro – continua la presidente di Mamme Papà separati – dopo i 40 anni per una donna è molto difficile trovare lavoro. Le fanno credere di non valere più nulla. Figuriamoci quando dice di essere divorziata e con un figlio”. Porte chiuse in faccia e suggerimenti di restare a casa ad occuparsi dei bambini. Perché in fondo siamo ancora inseriti in una convenzione sociale basata “su un modello di famiglia antica e retrograda – continua l’avvocato Napolitani – che ritiene che debba essere principalmente la donna ad occuparsi dei figli”.
“Agli uomini fa comodo che siano le donne a perdere il lavoro” – “Le baby sitter costano caro e gli asili chiudono alle 16.30. Rientrare nel mondo del lavoro per una neo mamma è sempre più difficile mentre il precariato ha fatto diventare ormai la norma non garantire la maternità”. A dirlo è Nadia Somma, attivista per i diritti delle donne dell’associazione Demetra. D’altronde, in una società in cui all’uomo sono concessi solo tre giorni di congedo di paternità, è chiaro come sia quasi scontato che tutto il peso dei figli debba gravare sulla donna. “Ho sempre chiesto alle associazioni di padri separati di battersi per una legge che garantisca congedi di paternità e maternità di pari durata in modo che le donne smettano di pagare per avere un figlio – continua l’attivista di Demetra – La verità è che agli uomini fa comodo che siano le donne a perdere il lavoro se restano incinta. Nulla cambierà fino a che non si renderà la genitorialità parimenti divisa fin dall’inizio”.
“Si è dedicata ai figli, e quando vanno via entra in crisi” – L’immagine che ne esce dai racconti delle onlus di madri divorziate è quello di una donna che, dopo la separazione, si arrabatta per il resto della sua esistenza. “Ricordo una mamma separata che, avendo perso il lavoro e non riuscendo a sostenersi con dei piccoli lavori di sartoria, è stata sfrattata e si è ritrovata a vivere in una roulotte a più di 60 anni”. L’esempio raccontato dalla presidente di Mamme Papà separati è esemplificativo di un fenomeno di impoverimento della donna che va ben oltre il periodo in cui si deve occupare dei figli. Infatti, quando il figlio ha raggiunto l’autonomia economica, normalmente gli ex mariti chiedono la revoca dell’assegnazione della casa famigliare alla donna. “È questa una fase in cui la madre può ritrovarsi in grave crisi – precisa l’avvocato Napolitani – Avendo alle spalle anni in cui ha lavorato part time, deve sperare che il giudice non revochi l’assegno di mantenimento” o che questo non sia troppo basso per impedirle una vecchiaia dignitosa. “Per la donna può essere davvero duro – continua Napolitani, che è anche presidente dell’associazione Codice donna – si è presa cura dei figli, non ha avuto modo di mettere via soldi e quando i bambini diventano adulti e vanno via dalla casa di famiglia la madre diventa completamente vulnerabile”.
Così la parabola della moglie-madre-divorziata si conclude spesso con una vecchiaia in solitudine, visto che – stando ai resoconti delle associazioni – la stragrande maggioranza delle madri divorziate non riesce a rifarsi una vita con un nuovo compagno. “Si crede che una madre divorziata non abbia il diritto di avere del tempo libero per uscire con le amiche o per andare a ballare – racconta Nadia Somma – così nelle donne cresce il senso di colpa se cercano di rifarsi una vita sottraendo del tempo ai figli”. Nelle associazioni dedicate all’aiuto di madri divorziate nessun discorso sembra negare le difficoltà degli uomini dopo una separazione, ma una domanda ricorre spesso: “Perché si devono a tutti i costi alleggerire le problematiche affrontate dalle donne?”.