Troppi soldi a Libia, Turchia, Etiopia e Somalia e pochi per altri Paesi altrettanto importanti per fermare i migranti in Africa. È questo il messaggio sottotraccia dei rappresentanti dei Paesi africani riunitisi a Bruxelles per la Conferenza di Alto livello organizzata dal Parlamento europeo per discutere del partenariato con l’Africa che è stato ufficialmente lanciato ad Abidjan, in Costa d’Avorio, il 27 novembre. Un partenariato economico che ha tra i suoi obiettivi politici la creazione di posti di lavoro e il blocco del flusso dei migranti verso l’Europa.
“In Niger la situazione nell’ultimo anno è peggiorata”. “In Nigeria non ho ancora visto fondi europei ed italiani”. A parlare sono Mohamed Anacko e Shehu Sani, rappresentanti di Niger e Nigeria presenti a Bruxelles. Anacko è presidente del Consiglio regionale di Agadez, la città del Niger dalla quale transitano tutti i migranti che dall’Africa occidentale arrivano in Libia. Sani, invece, è un senatore che si occupa di diritti umani per il governo della Nigeria, Paese da cui proviene la maggior parte dei migranti sbarcati in Italia nel 2017, quasi 18mila. Ed è anche il Paese verso il quale l’Italia effettua più rimpatri forzati. Due versioni che mettono in discussione l’effettiva efficacia della cooperazione Europa-Africa sbandierata dall’emiciclo del Parlamento europeo.
“Le leggi volute dall’Unione europea contro il traffico di esseri umani colpiscono solo i giovani di Agadez”, aggiunge Anacko. Nella regione è in vigore dal 2015 una legge che vieta a chiunque di portare migranti oltreconfine. Ma il presidente del Consiglio di Agadez spiega che dall’undicesimo secolo nella zona si vive di commerci nel deserto. “Fino a qualche anno fa, i giovani vivevano trasportando i turisti. Ora non ce ne sono più e non esistono alternative a quest’attività. Bisogna costruirne”, prosegue Anackdo.
Lo sforzo europeo, però, è giudicato insufficiente: il Niger è destinatario di 110 milioni di euro provenienti dal fondo fiduciario Europa-Africa, un contributo a tutto il continente che vale nel complesso tre miliardi di euro, il prezzo dell’accordo che Bruxelles ha fatto con la Turchia, sottolinea il politico. L’obiettivo, come ripetuto anche dal presidente europeo Antonio Tajani in conferenza stampa, “è chiudere la rotta del Mediterraneo centrale”, così come è stato fatto con quella balcanica. Solo che in quel caso i Paesi coinvolti erano solo Grecia e Turchia, qui c’è praticamente tutta l’Africa che va dalla Nigeria alla Libia. “La maggior parte dei soldi sono stati spesi per progetti nell’ambito della sicurezza, quelli per creare lavoro devono ancora partire, ad esempio nell’ambito dell’agricoltura”, precisa. “Temiamo che i nostri giovani possano essere attirati dalle organizzazioni terroristiche”: Boko Haram e gruppi che hanno giurato fedeltà all’Isis.
In Nigeria, la situazione è ancora più complessa. Inserito nella lista dei Paesi prioritari con cui cooperare dal nostro Ministero degli esteri, è anche tra i destinatari del fondo fiduciario Europa-Africa, il Trust fund, come Paese nella regione di Sahel e Lago Chad. Secondo l’ultimo rapporto riassuntivo dell’andamento del Trust fund, che risale a settembre, la Nigeria è tra i 14 Paesi che si contendono 106 milioni di euro per rinforzare il ruolo dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni per il rimpatrio assistito.
“La nostra agenzia contro il traffico di esseri umani è sottofinanziata e rischia la bancarotta. L’Italia le ha fornito mezzi anni fa, ma da allora non c’è stato più niente”, sostiene il senatore Sani. “Dovremmo essere trattati con la stessa attenzione di Somalia ed Eritrea per poter raggiungere risultati concreti”. Il senatore stima in 300 milioni il bisogno economico della cooperazione Europa-Nigeria: 200 per creare opportunità di lavoro, altri 100 per una campagna informativa nelle scuole per scoraggiare i potenziali migranti a partire. I soldi, però, non si vedono. “Ormai l’Europa ha assunto questa strategia di pagare i vecchi trafficanti affinché smettano di trafficare uomini, come in Nigeria – commenta – non può funzionare”.
Il Paese sul quale si concentrano gli sforzi umanitari maggiori, soprattutto da parte dell’Italia, è la Libia, grande assente della discussione sul partenariato Italia-Africa. Durante il meeting non sono intervenuti rappresentanti da Tripoli. All’emiciclo del Parlamento europeo, la rappresentante europea per gli Affari esteri Federica Mogherini in merito alle relazioni con la Libia indica come obiettivo per il 2017 il rimpatrio di 15mila persone dai campi di detenzione ai Paesi d’origine: “Non possiamo ignorare il trattamento inumano riservato ai migranti in Libia. Come Unione europea dobbiamo affrontare il problema dei fratelli e sorelle africani ridotti in schiavitù nei centri (libici, ndr). Sono anni che dobbiamo farlo”. Null’altro.
Critiche all’atteggiamento europeo dal ministro degli Esteri maliano Abdoulaye Diop, secondo cui vanno rimesse in discussione le grandi elargizioni fatte alla Libia: quello che sta succedendo ai migranti “è un crimine contro l’umanità” per cui il Mali ha chiesto alla Corte penale internazionale di intervenire. L’Unhcr ha già condannato le politiche di detenzione e respingimento nei centri volute dall’Europa, quindi, prosegue il ministro maliano, “è importante che si possa rivedere quell’accordo, perché non si può trattare con uno Stato che viola apertamente i diritti dell’uomo”. “La priorità – ha aggiunto – è stabilizzare la Libia, fare in modo che sia un partner credibile”. Il messaggio è chiaro: basta soldi a Tripoli.