Alto quattro metri e lungo un centinaio, è costato 200mila euro ed è 40 centimetri in più di quello che fu a Berlino. Nato sull'onda delle proteste per la creazione di una struttura di accoglienza nel quartiere, dodici mesi dopo è una costruzione definita "eccessiva" e di cui nessuno vuole più parlare. Per il momento serve a proteggere dal "rumore" di 30 donne con i loro figli
“Non so come farò a spiegare a mia figlia perché lei può correre e giocare per strada, mentre altri bambini devono starsene nascosti dietro a un muro”. Neuperlach, periferia sud di Monaco di Baviera, la città più ricca della più grande economia nazionale d’Europa, la Germania. Una mamma indica con gli occhi sua figlia e poi aggiunge: “Spero continui a non farmi domande”. Una di queste infatti potrebbe essere perché, a pochi metri dalla strada dove lei passeggia sempre con il suo cane, da un anno c’è un muro alto quattro metri e lungo un centinaio.
Rispondere non è facile. Perché in questa storia che racconta di come si sia deciso di costruire un mostro di ferro e sassi tra delle case e un centro di accoglienza per migranti non ci sono persone brutte e cattive, a cui addossare la colpa. Da una parte ci sono gli inquilini delle villette accanto alla struttura. Che ora non parlano o ammettono che quella barriera è esagerata. Dall’altra un’amministrazione cieca che per assecondare il volere di pochi ha fatto pagare un conto altissimo a un intero quartiere. In termini di reputazione, ma anche economici: la costruzione è costata infatti 200mila euro. Infine c’è chi ha criticato il muro, paragonandolo a quello di Berlino, e oggi è chiuso nel silenzio.
In teoria doveva essere una protezione dal rumore provocato da 160 giovani migranti. Ma il destino ha voluto che alla fine loro non arrivassero mai. Da lunedì 27 novembre infatti il centro di accoglienza di Neuperlach è abitato da 30 mamme con i loro bambini. Poi arriveranno altre donne, 160 in tutto secondo i piani. Quel muro alla fine serve a “proteggere“ gli inquilini di qualche lussuoso appartamento da bambini che giocano. Ma c’è anche tutto il resto del quartiere, che sta cercando di coprire il mostro con la terra e con le piante, che è pronto ad accoglierli, per cancellare dalla propria coscienza quattro metri di vergogna, costruiti dalla paura.
La paura che ha preso possesso prima di tutto appunto degli inquilini di tre case, affacciate su una stretta strada pedonale. Poco più di una decina di appartamenti, sviluppati in larghezza seguendo lo stesso schema: soggiorno e cucina al piano terra, sopra le camere e di fronte il giardino. Fuori la casetta di legno con gli attrezzi da lavoro, la griglia, l’altalena o la porta da calcio per far giocare i figli a seconda dell’età. Una panchina sotto a un pergolato per chi invece bambini non li ha. “Qui è dove la cultura bavarese resiste e non vuole cambiare”, commenta un passante. Quella cultura e quella tranquillità che vengono messe per la prima volta in discussione ormai tre anni fa, nel 2014, da una notizia: arrivano i migranti.
Il primo a scoprirla è Stephan Reich, un giudice 60enne. Viene a sapere che di fronte alle loro case sarebbe stato costruito un centro di accoglienza per 160 profughi minorenni. Cominciano le prime proteste e dopo anni il centro viene terminato. Ma nel giugno 2016 il comune decreta anche la costruzione di un “Lärmschutzmauer”: una barriera di protezione dal rumore. 160 ragazzi che la sera e nel fine settimana parlano e giocano potrebbero disturbare la quiete dei vicini. Questa è la spiegazione. Non sembra chissà quale misura razzista, in fin dei conti. Fino a quando il muro, nel novembre di un anno fa, viene terminato. Chi ci si ritrova sotto si rende conto del mostro appena creato. Una barriera contro il nulla, perché quei 160 ragazzi, per vari motivi, non arriveranno mai.
Uno dei più scandalizzati è Guido Bucholtz, allora vicepresidente del comitato di quartiere. Quando vede quella parete di sassi, la paura prende anche lui. Raccoglie i video fatti con il suo drone durante i lavori, li monta insieme a quelli storici del muro di Berlino: fa un paragone, dimostrando che il secondo è persino 40 centimetri più basso. Mette il tutto su internet e si scatena il finimondo. A Neuperlach scendono in strada cittadini, bambini e ragazzi: “Abbiamo dimostrato cosa ne pensava il quartiere di quel muro”, ricorda con orgoglio una donna.
Ma arrivano anche giornalisti e televisioni da tutto il mondo: Italia, Inghilterra, Russia, Turchia, persino Giappone. Tutti scrivono: “In Germania si costruiscono di nuovo muri”. La situazione sfugge di mano: la casa del giudice Reich e della moglie est-europea viene imbrattata. “Nazis raus” e “Dreckfascho” si legge scritto in stampatello: “Fuori i nazisti” e “Sporco fascista”. Chiunque ha visto quel muro sa però anche che il paragone con quello di Berlino è eccessivo, ingiusto. “Non necessario”, dirà poi lo stesso Bucholtz che nel frattempo si è dimesso dalla sua carica e della vicenda non vuole più parlare. Il video su internet non c’è più, lo ha rimosso.
“Ora vogliamo solo che l’arrivo delle mamme e dei loro bambini avvenga in tranquillità, lontano dai riflettori”, spiega Walter Meyer, suo collega nell’associazione “Helferkreis-naila”, nata per aiutare i migranti nel centro di accoglienza di Neuperlach e che ora finalmente ha qualcuno di cui occuparsi. Le donne vengono trasferite qui dal centro di via Rosenheimer, dove dormivano in grandi stanzoni e non avevano uno spazio all’aperto in cui far giocare i loro figli. Troveranno una struttura nuova, spaziosa, verniciata di bianco e blu con gli infissi color turchese, affacciata su un prato verde. Da un lato la strada, dall’altro un campo. E poi di fronte il muro.
“E’ una vergogna. Sono persone che scappano dalla guerra e noi le accogliamo così”, dicono due amiche. A un anno di distanza dalle telecamere, dalle prime pagine sui giornali, da quel paragone infamante con la cortina di ferro, la gente è ovviamente ancora divisa. Tra chi passeggia all’ombra del muro, per sgranchirsi dopo pranzo o portare a spasso il cane, in molti la pensano come le due signore. “E’ una visione insopportabile”, confessa un ragazzo. Qualcuno parla invece di una decisione “comprensibile”, come una coppia di anziani. “Avrebbero dovuto fare una parete di vetro, oppure una bella siepe. Non questo stupido muro”, afferma uno degli inquilini delle case. Poi si affretta ad aggiungere: “Noi volevamo solo una protezione dal rumore”. E’ uno dei pochi ancora disposto a parlare.
La famosa macchina amministrativa tedesca in questa storia infatti ha fallito per prima e più volte. Ha proposto una soluzione orrenda, spropositata per altezza e per costo: circa 200mila euro. Senza considerare le conseguenze. Per questo, in qualsiasi tipo di discorso sulla vicenda, prima o poi si sente pronunciare da chiunque la parola “übertrieben”. Eccessivo.
Eccessivo il muro, rispetto alla semplice richiesta di una protezione dal rumore. Eccessivo il conto che il quartiere ha dovuto pagare per un qualcosa voluto da pochi. Neuperlach da anni combatte contro i pregiudizi di chi lo considera un posto pericoloso. Oltre le casette di fronte al muro, esiste un mondo multietnico in cui convivono pezzi di Turchia, Asia e Europa dell’Est. In cui c’è anche una moschea. “Era un quartiere difficile, ora non lo è più. L’integrazione sta funzionando, soprattutto con le nuove generazioni”, racconta un uomo. Sua moglie è insegnante e vive ogni giorno a contatto con questa realtà. Sentire parlare di un quartiere razzista ha fatto male a molti.
“E’ stata una ferita profonda per chi come me è nata e cresciuta a Monaco”, spiega un’altra signora. A lei quel muro fa schifo, tanto quanto i paragoni con il passato. “Sono diventata grande combattendo la vergogna per il nazismo e i campi di concentramento”, racconta. In questa città Adolf Hitler ha gettato le basi per la sua ascesa. Da una birreria bavarese è partito il “Bürgerbräu-Putsch”, il fallito colpo di Stato del novembre 1923. Dachau e il suo campo di concentramento sono a poco più di mezz’ora di macchina. Combattere una vita il disagio per il passato, “per poi trovarsi nuovamente a doversi difendere dalle stesse accuse”.
E così rimane un senso di “banalità del muro”, per parafrasare Hannah Arendt. Emerge la superficialità con cui si è deciso di costruire questo muro e poi anche di criticarlo, dimenticando il valore dei simboli e senza riflettere sul loro significato. Un muro di quattro metri non può essere solo una protezione dal rumore. Un muro lungo cento metri non può essere come quello di Berlino, come un lager.
Su una cosa però non si può discutere: questo “non è un simbolo di Wilkommenkultur”, come ripete più volte una giovane mamma. Quella cultura dell’accoglienza che ora qui sentono quasi come un dovere: “I bambini che arrivano non dovranno mai giocare davanti a quel muro – continua – li voglio vedere il prima possibile nelle scuole e al parco giochi insieme ai miei figli”. Sul lato interno della barriera in rosso appare la scritta “Walls create Strangers”. I muri creano stranieri, “ma ormai questo c’è. Lo stiamo facendo coprire con la terra e con le piante per cercare di non farlo più percepire come tale”, racconta.
Il 2017 è stato l’annozero per Neuperlach. Un quartiere costretto a combattere con i fantasmi del passato di un’intera nazione. Un quartiere che aspettava 160 giovani migranti che non sono mai arrivati. Mentre il muro rimane lì. E a guardarlo adesso, pietra fredda, silenziosa e ripugnante, quel muro ricorda più di tutte una cosa: quello che succede, quando tutti esagerano. Quando vince la paura. Ma ora qualcuno arriva, dà l’occasione di ricominciare. Se e come nascerà una convivenza, lo dirà il futuro. E non solo a Neuperlach.